venerdì 14 aprile 2017

Il ricambio dei vescovi

Molte, dunque, sono state da subito le attese suscitate dal pontefice argentino. Attese, comunque, di un cambio di passo: evidenti, quelle relative allo stile di papato, al suo vissuto e alla sua predicazione (meno teologica e più pastorale, per dirla in estrema sintesi); meno appagate, almeno sinora, quelle riferibili alle trasformazioni strutturali della curia e degli altri organismi di governo vaticano. Un atteggiamento quanto mai distante rispetto al passato più o meno recente è senz'altro quello che Bergoglio ha scelto di adottare nelle scelte dei vescovi locali, non meno che nei concistori, dedicati a formare i cardinali che prenderebbero parte a un eventuale futuro conclave (per intenderci, a oggi i vescovi nominati da Francesco a capo delle 226 diocesi italiane sono poco meno di 100, e presto il ricambio toccherà diocesi fondamentali quali Roma e Milano). Pur senza prestarsi al gioco sin troppo facile delle contrapposizioni frontali, così care alla vulgata giornalistica, appare indubbio che – ad esempio – le successioni avvenute all'interno della Conferenza episcopale emiliano-romagnola siano di per se stesse eloquenti: dopo il cardinal Caffarra (uno dei quattro che hanno firmato la richiesta di chiarimenti al papa sull'Amoris laetitia resa nota lo scorso novembre), a Bologna è sbarcato don Matteo, come si fa chiamare di regola Zuppi, proveniente da un'esperienza consolidata presso i poveri nella Comunità di Sant'Egidio; dopo l'arcivescovo Luigi Negri, cresciuto nelle fila di Comunione e Liberazione e noto alle cronache nazionali per le posizioni conservatrici, a Ferrara-Comacchio, il cremonese Gian Carlo Perego, reduce dalla direzione della Fondazione Migrantes; mentre a Modena-Nonantola è giunto don Erio Castellucci, prete forlivese, parroco, teologo aperto e molto vicino al mondo giovanile, che da Forlì ha portato con sé nella residenza episcopale una famiglia albanese che già abitava con lui in parrocchia. Quest'ultima particolarità, la provenienza da esperienze pastorali significative, caratterizza altre nomine episcopali degli ultimi tempi: il nuovo vescovo di Padova, Carlo Cipolla, era parroco e vicario per la pastorale; don Gero Marino, prima di diventare vescovo a Savona, era da parecchi anni parroco a Chiavari; don Daniele Gianotti, della diocesi di Reggio Emilia, era a guida della parrocchia di Bagnolo in Piano prima di essere eletto, poche settimane fa, vescovo di Crema. Ma anche al sud alcune scelte sono apparse controcorrente rispetto al passato, basti pensare all'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, anch'egli parroco e studioso. L'elenco potrebbe proseguire, senza peraltro cambiare la sostanza di ciò che risulta evidente. Nonché perfettamente in linea con quanto lo stesso Francesco sosteneva, il 27 febbraio 2014, in occasione di un'udienza straordinaria alla Congregazione per i vescovi, in merito alle caratteristiche che questi ultimi dovrebbero possedere per essere dei buoni vescovi. Non tanto «apologeti delle proprie cause né crociati delle proprie battaglie», né scelti in base a «eventuali scuderie, consorterie o egemonie», facendo leva piuttosto sulla sovranità di Dio in base a due atteggiamenti fondamentali: il tribunale della propria coscienza davanti a Dio e la collegialità. Dovrebbero rimanere in diocesi senza recarsi troppo in giro per «incontri e convegni», e mostrarsi capaci di agire non «per sé» ma «per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare». Abbiano «relazioni sane», «solidità cristiana», «comportamento retto», «capacità di governare con paterna fermezza» e «distacco nell'amministrare i beni della comunità». E siano costantemente «vicini alla gente», in linea con l'ormai celebre esortazione suggerita ai presbiteri durante la sua prima messa crismale, il 28 marzo 2013, «siate pastori con l'odore delle pecore, non gestori o intermediari».
Brunetto Salvarani

(Rocca, 07/2017)