Qualcuno mi domanda che cosa penso dei preti oggi.
Intanto la mia è un'opinione e non un giudizio anche perché nutro molto affetto verso numerosissimi confratelli.
Anche
tra noi preti c'è un po' di tutto: chi è più motivato, preparato, appassionato e felice e chi è più un funzionario che svolge un lavoro.... Ma i preti,
in larga parte, a me sembrano persone disponibili, spesso in
prima fila.
Nelle parrocchie e nei luoghi del servizio ai più deboli
della società, sono davvero molti i
preti che cercano di testimoniare l'evangelo con la loro vita.
Sovente a 70 – 80 anni sono ancora sulla breccia e, ovviamente, la
tentazione della routine esiste. In ogni caso, l'istituzione ti guarda di buon occhio se sei un prete obbediente, teologicamente allineato.
Poi
esiste il fatto che, se vai fuori dai binari della "sana dottrina", diventi “eretico”, perdi lo stipendio, il
ruolo sociale e spesso ti trovi solo o quasi. Per un prete di 40 –
50 anni o più non è facile trovare un'alternativa anche economica
per la propria sopravvivenza.
Questo dato economico di dipendenza dal
riconoscimento ufficiale della gerarchia spesso impedisce altre
scelte. Molti confratelli lo dicono chiaramente. Per me è stato difficile, ma assolutamente liberante non essere "pagato" dalla mia chiesa.
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Sarebbe
molto diverso se il prete non ricevesse denaro tramite la sua
chiesa, ma potesse provvedere a sé o mediante un lavoro laico o
mediante l'autofinanziamento comunitario. Ma, ovviamente, queste
scelte comportano anche una precarietà veramente difficile da
accettare.
A me sembra che nella attuale stagione di ripensamento,
di grande mobilità dei quadri culturali e antropologici, di
galoppante secolarismo e di ambigui ritorni del sacro, il prete è il
primo a sostenere l'impatto di questa profonda “crisi”. Ancora:
spesso è attorniato da laici più clericali di lui.
Può
anche darsi che molti preti non abbiano nemmeno il tempo di studiare
due o tre ore al giorno e questo certo rende meno facile
l'aggiornamento biblico e teologico e può favorire un facile
adeguamento ai documenti ufficiali.
Del resto, nel mio frequente
dialogo con parecchi confratelli, non mi prefiggo mai di “convertire” altri alla mia
visione teologica, ma di ascoltare, accostare, confrontare percorsi,
ricerche ed esperienze. L'idea annessiva è devastante e contraria
allo spirito del dialogo fraterno. Non mi appartiene.
A
livello numerico la crisi è quasi esclusivamente contenuta dai
numerosi sacerdoti stranieri (e in larga misura molto conservatori)
che sono presenti nelle diocesi. Si è cercato di affrontare la crisi mediante l'accorpamento di più parrocchie e comunità. Così si corre il rischio di avere più funzionari che pastori e di mantenere la struttura clericale al centro della comunità . La consacrazione delle donne al
ministero è ancora preclusa in base ad una teologia patriarcale e medioevale.
Avverrà, ma ci vuole un cammino culturale e teologico che dovrebbe essere già acquisito da qualche secolo.
Tempo fa scrissi: “Nella stagione presente ritornano, in alto e in
basso, nella chiesa cattolica come nella società, le patologie
legate all'ubbidienza, all'ordine, alla “sana dottrina
catechistica”. Molti, moltissimi preti che vivono nelle realtà
popolari sentono l'esigenza di “aria nuova”, avvertono che
l'istituzione è spesso una casa vuota, ma non possono “sporgersi”
più di tanto”.
Il
rischio è di “perdere il
posto “ a 50 -60 -70 anni. La gerarchia promuove solo i
più obbedienti, i “fedelissimi”, e mette in atto una serie di
controlli e di minacce davvero efficaci. Ma è già importante che
questi preti segnalino il disagio , gettando germi di rinnovamento e segnalando gli interrogativi emergenti con alcune pratiche pastorali già più inclusive”.
Franco
Barbero 2001