mercoledì 12 aprile 2017

PRETI

Qualcuno mi domanda che cosa penso dei preti oggi.
Intanto la mia è un'opinione e non un giudizio anche perché nutro molto affetto verso numerosissimi confratelli.
Anche tra noi preti c'è un po' di tutto:  chi è più motivato, preparato, appassionato e felice e chi  è più un funzionario che svolge un lavoro.... Ma i preti, in larga parte, a me sembrano persone disponibili, spesso  in prima fila.
Nelle parrocchie e nei luoghi del servizio ai più deboli della società, sono davvero molti i preti che cercano di testimoniare l'evangelo con la loro vita. Sovente a 70 – 80 anni sono ancora sulla breccia e, ovviamente, la tentazione della routine esiste. In ogni caso, l'istituzione ti guarda di buon occhio se sei  un prete obbediente, teologicamente allineato.
Poi esiste il fatto che, se vai fuori dai binari della "sana dottrina", diventi “eretico”, perdi lo stipendio, il ruolo sociale e spesso ti trovi solo o quasi. Per un prete di 40 – 50 anni o più non è facile trovare un'alternativa anche economica per la propria sopravvivenza.
Questo dato economico di dipendenza dal riconoscimento ufficiale della gerarchia spesso impedisce altre scelte. Molti confratelli lo dicono chiaramente. Per me è stato difficile, ma assolutamente liberante non essere "pagato" dalla mia chiesa. .
Sarebbe molto diverso se  il prete non ricevesse denaro tramite la sua chiesa, ma potesse provvedere a sé o mediante un lavoro laico o mediante l'autofinanziamento comunitario. Ma, ovviamente, queste scelte comportano anche una precarietà veramente difficile da accettare.
A me sembra che nella attuale stagione di ripensamento, di grande mobilità dei quadri culturali e antropologici, di galoppante secolarismo e di ambigui ritorni del sacro, il prete è il primo a sostenere l'impatto di questa profonda “crisi”. Ancora: spesso è attorniato da laici più clericali di lui.
Può anche darsi che molti preti non abbiano nemmeno il tempo di studiare due o tre ore al giorno e questo certo rende meno facile l'aggiornamento biblico e teologico e può favorire un facile adeguamento ai documenti ufficiali.
Del resto, nel mio frequente dialogo con parecchi confratelli, non mi prefiggo mai  di “convertire” altri alla mia visione teologica, ma di ascoltare, accostare, confrontare percorsi, ricerche ed esperienze. L'idea annessiva è devastante e contraria allo spirito del dialogo fraterno. Non mi appartiene.
A livello numerico la crisi è quasi esclusivamente contenuta dai numerosi sacerdoti stranieri (e in larga misura molto conservatori) che sono presenti nelle diocesi. Si è cercato di affrontare la crisi mediante l'accorpamento di più parrocchie e comunità. Così si corre il rischio di avere più funzionari che pastori e di mantenere la struttura clericale al centro della comunità . La consacrazione delle donne al ministero è ancora preclusa in base ad una teologia patriarcale e medioevale.  Avverrà, ma ci vuole un cammino culturale  e teologico che dovrebbe essere già acquisito da qualche  secolo.
Tempo fa scrissi: “Nella stagione presente ritornano, in alto e in basso, nella chiesa cattolica come nella società, le patologie legate all'ubbidienza, all'ordine, alla “sana dottrina catechistica”. Molti, moltissimi preti che vivono nelle realtà popolari sentono l'esigenza di “aria nuova”, avvertono che l'istituzione è spesso una casa vuota, ma non possono “sporgersi” più di tanto”.
Il rischio è di “perdere il posto “ a 50 -60 -70 anni. La gerarchia promuove solo i più obbedienti, i “fedelissimi”, e mette in atto una serie di controlli e di minacce davvero efficaci. Ma è già importante che questi preti segnalino il disagio , gettando germi di rinnovamento e segnalando gli interrogativi emergenti  con alcune pratiche pastorali già più inclusive”.
Franco Barbero 2001