lunedì 10 aprile 2017

Solo Francesco sul Ruanda non ha taciuto

I media italiani, salvo eccezioni, hanno dedicato un assordante silenzio alle parole del Papa sulla Chiesa e il genocidio del Ruanda. Eppure sono parole storiche, lo sono davvero, perché rovesciano una posizione alla quale il Vaticano e i vertici del clero ruandese erano rimasti aggrappati per quasi un quarto di secolo. Nell'aprile-luglio 1994 furono massacrati circa un milione di Tutsi ruandesi, e con loro chi Tutsi non era e li difese, li nascose o semplicemente si rifiutò di uccidere. Molti, in quel cattolicissimo Paese, si rifugiarono nelle chiese e vennero trucidati lì: quelle chiese sono oggi memoriali di morte.
Cosa fece il clero cattolico in quei cento giorni? Preti e vescovi tacquero; alcuni cercarono di offrire riparo alle vittime; molti furono complici degli assassini, quantomeno per omissione, o assassini essi stessi. Non un grido, non un appello, non una denuncia, non una condanna si levò. Da allora la posizione ufficiale della Chiesa è stata che i singoli rei, anche se indossavano la tonaca o il saio, dovevano pagare; ma che l'istituzione non era minimamente coinvolta. Ed ecco cosa ha detto invece Bergoglio lunedì 20 marzo al presidente ruandese Paul Kagame: «Rinnovo l'implorazione di perdono a Dio per i peccati e le mancanze della Chiesa e dei suoi membri, tra i quali sacerdoti, religiosi e religiose che hanno ceduto all'odio e alla violenza, tradendo la propria missione evangelica». «Ecco, staremo tutti meglio» ha poi twittato il presidente ruandese. Quando un Papa chiede perdono, Dio diventa più vicino, specie ai sopravvissuti, i quali chiedono solo che venga riconosciuto il loro dolore.
Pietro Veronese

(Il Venerdì 31 marzo)