domenica 16 aprile 2017

Una testimonianza gioiosa

Da parte sua, Jorge Mario Bergoglio ha da poco compiuto quattro volte vent'anni, ma riesce a vivificare la sua età avanzata con una fede, un entusiasmo e una capacità di sognare a occhi aperti che lo rendono più giovane e fresco di tanti che lo sono anagraficamente. Egli si trova a governare, lo sappiamo, una chiesa attraversata da una gravissima crisi di credibilità, ma anche da un vistoso deficit di motivazioni, soprattutto nei paesi di antica cristianità, in cui la stanchezza troppo spesso diventa tristezza e dunque sconfessione dell'allegria evangelica, di quella testimonianza gioiosa che dovrebbe sgorgare dall'adesione al Signore. È necessario dunque, prima ancora di ascoltare i suoi discorsi o valutare le sue riforme strutturali, guardare al suo esempio: a come vive, si muove, abbraccia le persone, parla, presso chi si ferma durante le udienze pubbliche, e a come esce, per riprendere un verbo a lui caro. Così, mi pare che Francesco stia proponendo l'unica strada credibile per la sua Chiesa, chiedendole di imboccare la via dell'autenticità, della semplicità e dell'essenzialità, senza soffermarsi sulla moltiplicazione delle strutture e delle opere. Questa è la sua prima riforma, mi auguro pienamente riuscita. Riforma, infatti, è ablatio, togliere via, non aumentare né complicare, ma semplificare: un'operazione analoga a quella dello scultore che deve togliere dalla pietra nuda per far emergere la nobilis forma che vi è contenuta. Il profumo del vangelo (Evangelii gaudium 34) si diffonde esclusivamente grazie all'essenzialità, alla sobrietà, alla povertà. E unico criterio di semplicità e di essenzialità è il vangelo, nulla di più. Se si opera una scissione con l'essenziale del vangelo, «l'edificio morale della chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro maggiore pericolo. Perché allora non sarà propriamente il vangelo che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche» (Eg 39). Difficile sbilanciarsi, in ogni caso, su se e quanto la scomposizione di ogni ipotesi di restaurazione cattolica avviata da Bergoglio influirà sulla situazione ecclesiale italiana: ecco perché comincia a crescere, comprensibilmente, l'attesa per l'assemblea della Cei prevista per il 22-25 maggio prossimi, quando per la prima volta i vescovi saranno chiamati a votare una terna di candidati alla loro presidenza, da sottoporre poi al papa perché ne scelga uno. Sta per avviarsi, dunque, il dopo-Bagnasco, e in molti ritengono si tratterà di una svolta decisiva per la cattolicità nazionale. Perché rimane la domanda: quanto e come essa si mostra in grado di vivere, in termini di pastorale, linguaggi, stili ecclesiali accoglienti ed ecumenici, sulla linea chiaramente tracciata dal primo papa gesuita? Non è facile rispondere; e un esperto conoscitore di cose ecclesiali come Alberto Melloni, di recente, ha evidenziato il paradosso che, a dispetto del terzo di vescovi nominati da Francesco, la Cei sinora «sembra rimasta al palo», quasi scioccata dalla novità apportata da questo papa fuori dalla norma… Fermo restando che non bisognerebbe mai dimenticare che, come amava sottolineare il vescovo don Tonino Bello, un vescovo che l'odore delle pecore se lo portava continuamente addosso, «una Chiesa che non sogna non è una Chiesa, è solo un apparato: non può recare lieti annunzi chi non viene dal futuro».
Brunetto Salvarani

(Rocca, 07/2017)