giovedì 4 maggio 2017

Alcuni studi importanti

Forse il teologo cattolico che ha espresso, a mio avviso, in modo più chiaro quanto lei stava ora illustrando e Hans-Joachim Schulz di cui apprezzo da molti anni la competenza, il coraggio, la chiarezza. Quando si pretende di includere nella "verità cristiana" certe dottrine (e il nostro Autore cita espressamente il caso dell'ordinazione sacerdotale riservata esclusivamente agli uomini), la confessione di fede "viene infelicemente snaturata", anzi tale obbligo imposto dalla gerarchia "ha l'effetto di una caricatura" (Concilium 3/2001). Ma sono stato davvero lieto di leggere nello stesso studio del nostro Autore parole molto liberatrici rispetto a quell'ossessione dogmatica che impedisce il passaggio dalla prigionia delle dottrine alla vitalità della dimensione narrativa, liturgica, diaconale. Anche la confessione di fede pretesa dal vangelo di Giovanni non si riferisce ad una "natura" divina di Gesù (nel senso del Concilio di Nicea) o a una "seconda persona" di Dio, bensì proprio alla messianicità di Gesù (Gv 20,31 ). La varietà delle "formule" nelle origini cristiane fu un fatto evidente che ora gli studi dimostrano. Si vedano i due volumi "Verus Israel" (Edizioni Paideia) e "Colei che è" (Edizioni Queriniana) per averne una ampia documentazione.
Il Nuovo Testamento, nel suo insieme, non contempla nessuna dottrina della Trinità (nel senso di tre persone o ipostasi di Dio" (ivi, pag. 56). Anche i linguaggi triadici, che servono ad esprimere l'azione salvifica di Dio attraverso Gesù e il soffio-spirito del Suo amore, non hanno nulla in comune con il dogma della Trinità così come venne definito nel 381.

Concordo pienamente con questi studi. Il teologo Schulz scrive e dice queste cose da molti anni. Nel numero della rivista internazionale di teologia che ho citato si trovano altre osservazioni: "Se la dottrina ecclesiale non vuole diventare vittima di una disintegrazione dalla totalità della vita della chiesa, essa deve orientarsi all'annuncio riferito personalmente e ad una risposta di fede, come avviene nella confessione di fede e nella preghiera liturgica. Il fatto che nel cattolicesimo moderno, le risoluzioni dottrinali dei concili e del papa vengono intese come criteri decisivi di una dottrina vincolante dipende da progressivi fraintendimenti, che si sono verificati solo molto tempo dopo i sette concili ecumenici della chiesa antica e che solo verso la fine del XVIII secolo hanno portato ad un cambiamento di valore e ad una sopravvalutazione del concetto di "dogma"... È perciò da considerarsi una hybris (arroganza, una presunzione, un delirio di onnipotenza, una "ubriacatura" del potere) il fatto che il magistero del papa, per questioni delimitabili a priori della "dottrina della fede e della morale", postuli una forma di approvazione e di indefettibilità che il concilio non accordò nemmeno alle Scritture" (Idem, pag. 66).
Negli ultimi 50 anni simili osservazioni sono comuni ed ho cercato di documentarle in due volumi tuttora reperibili che curai circa 36 anni fa: "Il vento di Dio" (pagg. 60-70) e "Oltre la confessione" (pagg. 66-82). Ora ho solo fatto accenni. In un prossimo volume prenderò in considerazione il "simbolo trinitario", le formule triadiche che aprono orizzonti davvero fecondi senza cedere al triteismo. Non si tratta di buttare a mare la dimensione dottrinale della fede o addirittura di relegare in un cantuccio la ricerca della verità, ma di recuperare la priorità dell'annuncio della Parola di Dio, della liturgia e della diaconia-servizio sulla dottrina.

Franco Barbero, 2001