mercoledì 17 maggio 2017

C'è un prete che i narcos vogliono morto

Donald Trump? Posso dirle che passerà, mentre i migranti ci saranno sempre». Padre Alejandro Solalinde, 72 anni, è uno dei più famosi difensori dei migranti, soprattutto centroamericani, che attraversano il Messico per raggiungere la frontiera con gli Stati Uniti. Da oltre un decennio ha fondato nello Stato di Oaxaca, nel Sud Ovest del Paese, i suoi primi "centri di accoglienza" Hermanos en el camino, dove i migranti in viaggio ricevono assistenza umanitaria e legale. Ogni anno vi transitano più di 20 mila persone che possono fermarsi, mangiare, lavarsi, riposarsi e conoscere i loro diritti. Per questa sua missione Padre Solalinde è diventato in Messico un nemico giurato dei narcos che gestiscono il traffico di esseri umani e che lo hanno più volte minacciato di morte. Ma anche delle gerarchie ecclesiastiche locali e dei politici corrotti. Da tempo vive sotto scorta. Quest'anno l'Università autonoma di Citta del Messico lo ha candidato al premio Nobel per la pace.
Padre Solalinde, in che modo crede che l'elezione di Trump cambierà la situazione dei migranti che attraversano il Messico per raggiungere gli Stati Uniti?
«Il presidente Donald Trump è, nella storia recente, un elemento congiunturale, passeggero, effimero. La migrazione invece è un movimento molto forte, storico. Quella verso gli Stati Uniti continuerà, nessuno può fermarla».
Lei ha condotto molte battaglie contro i cartelli che sfruttano e uccidono i migranti. Ha denunciato omicidi, desaparecidos, fosse comuni.
«Per i narcotrafficanti i migranti sono una merce. Li sequestrano per avere un riscatto, li costringono a trasportare droga, a prostituirsi. A volte anche a diventare loro sicari. Ma in Messico non sono solo i narcos a sfruttarli. Anche polizia e funzionari pubblici commettono azioni illegali. C'è anche un traffico di organi, seppure tutti lo neghino sempre».
Lei ha parlato anche di fosse comuni.
«Questo Paese è una fossa comune. Alcune sono state scoperte, ma sono solo una piccola parte».
Perché li uccidono?
«I migranti vengono assassinati perché non possono pagare un riscatto. Oppure perché non hanno i soldi per la quota del "diritto di transito" che in alcuni Stati i narcos chiedono a chi passa nei territori che controllano. Oppure ancora perché si rifiutano di trasportare droga. Ma li uccidono anche per sottrarre loro gli organi».
Ha avuto molti problemi anche con la gerarchia cattolica messicana?
«Sì. Li ho avuti e li ho. La mia vocazione di missionario itinerante impegnato a aiutare i migranti mi ha creato molti problemi con la gerarchia. Io sto in mezzo alla strada, mentre la Chiesa messicana e "residenziale". Stanno in una parrocchia, in una chiesa dove le persone vanno. La mia vocazione è il contrario: andare dove stanno quelli che soffrono. Andargli incontro, non aspettarli. Penso che potremmo anche essere complementari, io missionario e loro vescovi, ma in realtà preferiscono che non ci siano sacerdoti come me. Perché loro non condannano i governi corrotti, mentre io lo vedo quante ingiustizie si commettono anche da parte del potere. Conosco la corruzione dei politici. E la denuncio».
Papa Francesco?
«Non so se il Papa sa quello che faccio, ma io sono un suo fan. Sono certo che sta cercando di rinnovare la Chiesa nella giusta direzione. Francesco non è un capo di Stato, è un pastore evangelico».
E qual è la giusta direzione?
«Tornare al Vangelo. Bisogna sopprimere lo Stato del Vaticano, la Chiesa nella sua dimensione politica. I vescovi non devono più essere dei principi, dei funzionari di uno Stato, ma soltanto guide spirituali. Non devono risiedere in palazzi fastosi ma stare insieme alla gente. Nel prossimo futuro la Chiesa dovrà combattere a favore dell'ecologia, dell'uguaglianza nel mondo, per la diminuzione della povertà e per un governo globale che non abbia come leggi quelle dell'economia di mercato ina quelle della giustizia e del benessere dei popoli».
Un cambiamento profondo.
«A questo Papa toccherà risolvere il problema del celibato dei sacerdoti e forse anche quello del ruolo delle donne nella Chiesa. Ma sono convinto che nei prossimi anni la Chiesa si rinnoverà moltissimo per tornare a essere autentica Chiesa di Cristo. Nella Chiesa dobbiamo tornare a essere tutti fratelli, senza titoli o cariche. Tutti uguali come voleva Gesù Cristo».
Qual è la sua relazione con la Teologia della liberazione dei sacerdoti latino-americani?
«Ne faccio parte. La Teologia della liberazione nacque negli anni Settanta quando in America Latina dominavano le dittature militari, e le gerarchie cattoliche erano per lo status quo. Come lo sono adesso. Invece il compito della Chiesa dovrebbe essere quello di edificare una nuova società a partire dagli esclusi, dagli "scartati". Come dice papa Francesco».
Poche settimane fa è stato nuovamente minacciato dopo che ha attaccato i narcos per l'uccisione della giornalista Miroslava Breach. Perché ammazzano tanti cronisti e sacerdoti in Messico?
«Da noi c'è molta violenza, ma soprattutto molta censura. Al governo non piace che si sappia la verità. Né che si indaghi sulla corruzione e sui delitti commessi anche dai funzionari politici».
Si è parlato molto della cattura e dell'estradizione del Chapo Guzmán, il più potente narcos messicano. Cosa cambia ora secondo lei?
«Poco. Sono azioni isolate. Il Messico oggi è un Paese dove i cartelli del narcotraffico sono nelle istituzioni. Basta osservare quanti governatori o ex governatori sono ricercati per delitti legati al crimine organizzato. Si può dire che oggi il Messico e un narco-Stato. Anche se il governo ovviamente nega».
Omero Ciai

(Il Venerdì 5 maggio)