NELLA CHIESA CI
VUOLE UN TERREMOTO
Atti 2, 1-11
2 Mentre il
giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme
nello stesso luogo. 2 Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come
di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si
trovavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e
si posarono su ciascuno di loro; 4 ed essi furono tutti pieni di
Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo
Spirito dava loro il potere d'esprimersi.
5 Si
trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che
è sotto il cielo. 6 Venuto quel fragore, la folla si radunò e
rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria
lingua. 7 Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano:
«Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? 8 E com'è che li
sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? 9 Siamo Parti,
Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della
Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10 della Frigia e della Panfilia,
dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di
Roma, 11 Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare
nelle nostre lingue le grandi opere di Dio».
Questa settimana
dedicherò la meditazione biblica alla prima lettura perché mi pare
caratterizzare in modo evidente il significato della festa di
Pentecoste che la liturgia cattolica di oggi propone alla nostra
riflessione.
Non sapremo mai
con esattezza quanto tempo fu necessario ai discepoli e alle
discepole di Gesù per riprendersi dallo sconforto in cui la
crocifissione del loro maestro, li aveva gettati.
Probabilmente
nei primi giorni prevalsero lo sconforto e la desolazione. I loro
cuori erano sconvolti: avevano dovuto fare i conti con una sconfitta
totale. Tutte le loro speranze e i loro sogni erano crollati.
Quel “regno di
Dio” di cui Gesù aveva annunziato l’avvicinamento, anzi
l’imminenza, era una illusione da abbandonare?
E poi… il
dolore della perdita del loro “maestro messianico” aveva creato
un vuoto incolmabile. Avevano pure temuto e vagamente intuito che
l’avvicinarsi a Gerusalemme potesse rappresentare per Gesù una
trappola, ma non erano riusciti a percepire il rischio mortale al
quale Gesù andava incontro. Del resto, il loro stesso maestro, con
tutta probabilità, aveva messo in conto uno scontro duro, ma non la
morte ignominiosa che ora avevano constatato.
Se si può ipotizzare che Giuseppe
d’Arimatea o Nicodemo abbiano dato una degna sepoltura a Gesù, lo
scandalo di quella crocifissione, di cui era subito corsa la voce da
Gerusalemme ai villaggi, restava nel cuore dei discepoli e delle
discepole come una ferita aperta e inguaribile.
E avvenne la
dispersione, lo scoraggiamento, il ritorno alle proprie case e alle
proprie occupazioni. Qualcuno probabilmente rimase a Gerusalemme.
Nei giorni del
lutto, della dispersione, dello sfaldamento del gruppo Pietro,
Andrea, Giovanni, Maria, Giovanna….presero strade diverse, ma
nessuno di loro riuscì a cancellare, ad archiviare il ricordo di
Gesù, quel profeta appassionato. Nel più totale smarrimento
riandarono ai giorni trascorsi con Gesù e a piccoli gruppi – chi a
Gerusalemme chi in Galilea – ripresero a trovarsi, a confrontarsi,
a fare memoria del maestro, a pregare come Gesù aveva loro
insegnato.
Lentamente
Maria di Magdala e le altre donne,
Pietro, Andrea, Maria la mamma di Gesù, Giacomo il “fratello del
Signore” sentirono lentamente, a fatica, riaccendersi una fiamma
nei loro cuori.
La “causa”
di Gesù, le cose per le quali egli aveva vissuto, il messaggio che
aveva trasmesso non potevano essere lasciate cadere.
Ciò che gli
occhi del corpo non avevano visto, gli occhi della fede avevano
cominciato a vedere. I cosiddetti “racconti di apparizione”, che
troviamo nei Vangeli, sono la espressione letteraria di quella fede
che rifiorì nei loro cuori.
Le “apparizioni”
indicano che la luce della fede penetrò in loro: Dio non ha
abbandonato Gesù, ,ma ha trasformato la morte in vita. Ora egli, il
profeta crocifisso e sconfitto, è il messia di Dio per noi.
Lentamente avviene una svolta: tra incertezze e tentennamenti si apre
un varco di speranza. Anzi, comincia a serpeggiare l’interrogativo:
come dobbiamo riprendere la fiducia in Dio che animò la vita di Gesù
e continuare la sua opera?
Paradossalmente
la morte di Gesù, con l’ignominia della croce, che li aveva
completamente spiazzati, è diventata il punto di partenza per un
nuovo cammino; anzi una nuova comprensione, alla luce della fede nel
Dio che ha dato una vita nuova a Gesù, di tutto ciò che con il
nazareno avevano vissuto.
Luca, più di
cinquant’anni dopo l’evento della morte di Gesù, scrive quella
meravigliosa pagina che tutti abbiamo conosciuto nella nostra
infanzia come “la discesa dello Spirito Santo”, là nel cenacolo.
L’evangelista
accorcia i tempi; sembra che quel trovarsi insieme tutti nel medesimo
luogo avvenga a cinquanta giorni dalla Pasqua. Ci volle molto tempo
di più con tutta probabilità per ritessere le fila di quel
“movimento itinerante” del nazareno che sembrò disperdersi alla
morte del pastore…, ma Luca ci trasmette la sostanza dei fatti
senza renderci esattamente conto del tempo che fu necessario per
ricostruire le tessere del mosaico dei discepoli e delle discepole di
Gesù.
Dio riunisce i
dispersi, le donne in prima fila…
Il dipinto
lucano (che non è una cronaca o una fotografia, ma una pagina di
alta teologia) ritrae l’evento comunitario: Dio, che qui è
chiamato Spirito Santo (=vento che viene da Dio)cambia il cuore, le
prospettive, la confusione, la paralisi dei discepoli. Queste donne e
questi uomini percepiscono che lentamente Dio ha illuminato i loro
cuori e riaperto davanti a loro una strada.
Le immagini
lucane sono stupende: bisogna leggerne il significato…
Senza il ”vento
gagliardo”, senza la forza e la luce che solo Dio poteva dare loro,
i discepoli avrebbero abbandonato il sentiero di Gesù. Solo ora
capiscono, ci suggerisce Luca, autore del libro degli Atti, che è
stata la mano, la luce, la presenza di Dio che ha rotto i loro
indugi, ha riaperto la “casa chiusa” del cenacolo, ha dato il
coraggio di nuove parole.
Dalla confusione
e dallo smarrimento essi sono passati ad una nuova consapevolezza:
dal “cenacolo chiuso” alla piazza, dal silenzio e dalla paura
alla parola e alla testimonianza.
Qualche volta ci
vuole un vento impetuoso
Pensando alla
chiesa di oggi, nella quale pure non mancano persone e segni
promettenti, sento il bisogno di questo vento gagliardo che metta un
po’ a soqquadro questa casa in cui si procede più per ripetizione
che per invenzione, per creatività.
Per “parlare
lingue nuove”, per uscire dagli arcaici manuali liturgici,
sacramentali, dogmatici ci vuole, a mio avviso, niente meno di un
terremoto teologico e pastorale. Constato un certo attaccamento
malsano alle formule, una certa attitudine a ripetere frasi fatte,
astratte, linguaggi fuori corso, completamente insignificanti per
l’uomo e la donna di oggi. Si continua a ripetere che “Gesù è
morto per i nostri peccati” , che il Battesimo ”cancella il
peccato originale”, che Gesù è un ibrido di natura umana e
divina…, che i miracoli non sono magie…La predicazione e la
catechesi ripetono anziché reinventare le parole per dire la fede
dentro la cultura dell’oggi.
Si prega per
“rinunciare a Satana”, senza la minima consapevolezza
dell’immenso lavoro teologico di rielaborazione che è stato
compiuto nei secoli rispetto a questi linguaggi.
Le “grandi
opere di Dio” (v 11)non vengono proclamate nelle “lingue” di
oggi, ma occultate e rese impercettibili in una litanica ripetizione
di formulazioni di 17 o 18 secoli fa.
Dio è vento
caldo, rispettoso, sospinge senza costringere, ma io oggi invoco per
la mia chiesa uno tsunami divino, un vento gagliardo, un terremoto
che ci risvegli dal sonno, che ci faccia uscire dal Medioevo, dalla
cultura della cristianità, per darci la voglia e il gusto per
entrare nel mondo di oggi con una appassionata fiducia in Dio e nella
fecondità del Vangelo nella vita di tutti i giorni.
Ma questo non
sarà possibile se non butteremo a mare,con coraggio e discernimento,
tutto un arsenale di devozioni, di dottrine, di santi e madonne, di
luoghi comuni che non hanno nessun fondamento nella Scrittura e
nell’insegnamento del Gesù storico.
Non si dica che
ci vogliono tempo e pazienza. Nessuno di noi vuole fare un monumento
al nuovismo o alla fretta, ma è evidente che la storia cammina e la
chiesa istituzionale accumula ulteriori ritardi. E’ tempo di una
sana impazienza, anche perché l’argomento della pazienza- che i
difensori dell’istituzione portano in campo- in realtà è la
difesa dell’immobilismo.