venerdì 2 giugno 2017

Cresima e cresimandi: parliamone
La "confermazione" è un traguardo che, spesso, per ragazzi e ragazze, invece di essere sprone per una rinnovata vita di fede, si trasforma quasi in un rito di chiusura della partecipazione alla vita ecclesiale. Come rimediare? Le prospettive suggerite da papa Francesco agli adolescenti.

La visita di Francesco a Milano, il 25 marzo, ha attirato un gran numero di presenze e allora certi cronisti, nella fretta di sottolineare (ai loro ascoltatori via radio o al loro pubblico televisivo) i grandi numeri intorno ai vari eventi papali, hanno parlato nelle cronache di una cresima riguardante settantamila giovani.
Per chi conosce la complessità dell'esercizio del cresimare, la notizia è parsa immediatamente assurda; e, del resto, qualche minuto dopo nei vari report giornalistici si è fatta chiarezza e, trascurando di gonfiare degli eventi a costo di deformarli, si è precisato che il papa aveva parlato a settanta/ottantamila cresimati e cresimandi, riuniti in uno stadio, invitandoli a porre attenzione al fatto più centrale nella vita di adolescenti che sono da poco già stati, o che tra poco lo saranno, "confermati" nel loro percorso di fede. Cioè: dopo aver ricevuto il battesimo - di solito, da infanti - quando non loro stessi, ma padrini e madrine hanno fatto le "promesse", ora è giunto, o sta giungendo il momento in cui, senza più deleghe, essi stessi hanno pronunciato o dovranno rendere noti i loro "impegni di fede".
L'ambiguità per altro rimane, perché a seconda del livello di un auspicabile superamento della sacralizzazione della confermazione, ci saranno molte diocesi che si regoleranno secondo gesti e significati legati all'antico linguaggio. Linguaggio per cui la giovane o il giovane vengono investiti della figura del militante - «soldato di Cristo» - nella diversità delle situazioni in cui cresce.
Non molti, purtroppo, si prenderanno la responsabilità di attirare l'attenzione sul fatto che nei percorsi di crescita dei giovani la loro posizione può e deve essere variabile e distesa su un tempo di cui è difficile vedere i termini. D'altronde, è esperienza diffusa che, una volta "fatta" la cresima - di solito, in età adolescenziale -, i ragazzi e le ragazze assai spesso tendono a disertare il luogo in cui la loro fede è cresciuta, sia una parrocchia o una comunità di base. Magari tornano nelle feste più importanti, o per ricorrenze particolari (matrimoni, funerali), ma non più con l'assidua frequenza di prima. Ritengono, forse, di aver raggiunto un traguardo, e si sentono dispensati dal procedere oltre.
Come sarebbe bello, invece, se qualche tempo dopo la cresima, diciamo tre o quattro anni dopo, essi/esse ribadissero pubblicamente alla loro comunità l'intenzione, con l'aiuto di Dio, di vivere responsabilmente la fede - pur attraversata da dubbi, interrogativi e profonde inquietudini - facendola davvero propria, e ogni giorno più consapevole.
Il sacro quindi è soggetto a diversi momenti distesi in vari tempi. Opportuno quindi il discorso di Bergoglio il 13 aprile (proprio nel giorno del Giovedì santo) quando, secondo l'uso canonico, ha consacrato l'olio che viene chiamato "crisma", che è proprio il responsabile di una consacrazione al Signore della vita di una persona in modo formale, e quasi proveniente da un'autorità che sta in alto.
Nel dare il via alla consacrazione dell'olio crismatico, il papa ha usato un linguaggio inusitato sul quale è importante nasca un dibattito e l'apertura a nuove esperienze. Egli, ricordando come madre Teresa di Calcutta andava incontro ai poveri, ha commentato: «Lei, con il suo sorriso e il suo modo di toccare con le mani le ferite, ha portato il lieto annuncio [dell'Evangelo] a tutti. Il modo di toccare con le mani le ferite: le carezze sacerdotali ai malati, ai disperati. Il sacerdote uomo della tenerezza. Concretezza e tenerezza!». Una prospettiva di empatia ben lontana dalla "Militia di Cristo Re" che molti ancora legano all'unzione con il sacro crisma.
A chi è sulla strada della fede l'invito è, dunque, a testimoniare pubblicamente, nelle parrocchie canonicamente stabilite come nelle comunità di base, il proprio, pur faticoso, percorso di fede. In tal modo si aiuterebbe a mettersi in discussione e in cammino anche quella componente delle chiese che si considera matura e confermata e - essa forse pensa - ormai magari dispensata dal testimoniare, personalmente e nella vita, la propria fede.
Giovanni Franzoni

(Confronti, maggio 2017)