domenica 18 giugno 2017

L'ESEMPIO DI UNA MADRE

«Ha fatto una cosa atroce», ha detto ieri Valeria Collina parlando dell'attentato commesso dal figlio Youssef a Londra lo scorso 3 giugno. Una cosa atroce «che non si può e non deve essere giustificata». Una cosa atroce che non ha niente a che vedere con l'Islam e con la fede. Una cosa atroce, frutto solo dell'«ignoranza» e della «cattiva informazione». È commossa, mentre parla, la madre di Youssef. Cioè, non proprio commossa, ma stravolta dal dolore. E incredula. Non è questo l'Islam cui lei è giunta dopo una lunga ricerca. Non è questo il messaggio di amore e di rispetto che lei ha sempre cercato di trasmettere al figlio. L'Islam, dice più volte Valeria, è cultura e conoscenza. L'Islam è tolleranza e comprensione.
Per la madre di Youssef, sarebbe quasi banale limitarsi a implorare il perdono. Come si fa anche solo a immaginare che basti chiedere scusa alle famiglie delle vittime per mettersi in pace con la propria coscienza dopo l'irreparabile commesso da un figlio? Valeria è convinta che l'unica cosa da fare per non sprofondare definitivamente nella disperazione sia per lei impegnarsi oggi in prima persona per educare i più giovani al rispetto reciproco e all'accettazione dell'alterità. Il male che sta rodendo dall'interno l'Islam è l'ignoranza, ed è solo diffondendo cultura che si può quindi sperare di sconfiggere i radicalismi e mettere un termine alla violenza estrema.
È questo il messaggio più forte che ci arriva dalle parole di questa madre e che possono essere utili in primo luogo ai musulmani. I ragazzi hanno bisogno di valori cui appoggiarsi, ma devono anche fare lo sforzo di studiare e di approfondire le proprie conoscenze. Hanno il diritto di praticare la religione che vogliono e di seguirne tutti i precetti, ma non dovrebbero mai cedere agli «stupidi radicalismi» che, diffusi su Internet, incantano, indottrinano e manipolano le persone più fragili e meno solide.
Valeria non si dà pace: come ha fatto a non rendersi conto che dietro lo sguardo sempre più intransigente del figlio si celava il mostro della radicalizzazione? Che cosa le è sfuggito? Come è stato possibile che lei, madre, non abbia capito la gravità della situazione? Sono cose che non dovrebbero succedere, ma che, nella vita, talvolta accadono. Anche semplicemente perché, quando la tragedia ci tocca da vicino, si resta spesso sordi e ciechi. Forse è per questo che le parole della mamma di Youssef vanno dritte al cuore. E sono un appello non solo a tutti gli altri genitori, ma anche a tutti i musulmani che sanno — e che forse, però, dovrebbero ripetere più sovente pubblicamente — che il terrorismo, con la fede non c'entra nulla e che la forza del proprio credo non dovrebbe mai portare all'intolleranza. Sono parole, quindi, che fanno bene all'Islam e che incitano alla comprensione reciproca. C'è una condanna netta del terrorismo e delle radicalizzazioni islamiste, senza "se" e senza "ma" nonostante sia il figlio ad esserne l'oggetto. Ma c'è anche la voglia di evitare letture superficiali, perché non è l'Islam che porta alla violenza, ma l'ignoranza e l'assenza di studio che permette ai radicalismi di insinuarsi nella nostra società.
Michela Marzano

(la Repubblica 8 giugno)