lunedì 12 giugno 2017

PACE CON GLI ULTRACONSERVATORI

C'è una telenovela vaticana che dura da anni: da quando nel 1988 Marcel Lefebvre ordinava quattro vescovi senza mandato pontificio e guadagnava così, per lui e i suoi seguaci, la scomunica e la qualifica di "scismatico". In realtà però, come nei veri romanzi d'appendice, per capire bisogna fare un passo indietro. La sacra rappresentazione inizia a Roma, nel 1970, quando colui che, per unanime consenso viene considerato (e lo è stato veramente) «il più grande vescovo missionario» del XX secolo fonda la Fraternità di San Pio X. Durante il Concilio Vaticano II, Lefebvre interviene ben 14 volte: una contro la riforma liturgica, le altre contro l'ecumenismo, la collegialità e la libertà religiosa. Matura in lui il convincimento che se quell'assise si arrende alla modernità è solo colpa di Paolo VI e della sua fissazione per «la dignità della persona umana», responsabile di aver portato la Chiesa Cattolica a detronizzare il «primato di Cristo» per introdurre nelle menti dei fedeli l'eretico «primato dell'uomo su Dio». Proprio come in ogni sit-comedy, dal 1976 in poi (quando, alla Fiera di Lille, Lefebvre celebra la Messa contro Paolo VI che lo aveva sospeso a divinis) la saga manda in scena episodi «conclusi in se stessi», con ambientazione invariata, la narrazione si limita alle relazioni di un ristretto numero di personaggi saldi in un contesto culturale e sociale autoreferenziale, in situazioni insolite e spesso paradossali che suscitano ilarità. Perché se agli inizi il Vaticano fa entrare in campo mediatori del calibro dell'allora cardinale Ratzinger (si dice che suo fratello Georg e il suo futuro segretario Georg Gänswein abbiano, a vario titolo, soggiornato a Ecõne) o del cardinale Gagnon, dal 1988 in poi la «pratica lefebvriani» viene affidata a personaggi quasi folcloristici di seconda e terza fila. Poi, con l'arrivo di papa Francesco, che a Buenos Aires aveva già "tutelato" con la personalità giuridica della sua diocesi le comunità lefebvriane sbarcate nel Paese, qualcosa cambia. E così, durante il viaggio di ritorno da Fatima lo scorso 13 maggio, dal Papa si è appreso che la Congregazione per la Dottrina della fede ha pronto un documento per chiudere anche formalmente la questione; che i lefebvriani già ricorrono (come tutti) alla Santa Sede per gli atti di giurisdizione pontificia (ha citato i casi di abuso, di riduzione allo stato laicale e quelli per la Penitenzieria Apostolica); che hanno ricevuto la giurisdizione per le confessioni e i matrimoni; che i rapporti con il capo della Fraternità sono ottimi. E che l'importante è continuare a «camminare, camminare, camminare, poi si vedrà».
Filippo di Giacomo
(L'Espresso 2 giugno)

Tutto fa brodo. Ponti d'oro ormai a tutti i fondamentalisti senza eccezione.
Franco Barbero