sabato 3 giugno 2017

Velo e islam: integrare non forzare
Alcuni episodi di cronaca hanno radicato nell'opinione pubblica la convinzione che tutte le ragazze che indossano il velo siano automaticamente vittime di un'imposizione della famiglia e mai protagoniste di una scelta indipendente e libera.

Ultimamente si parla molto di ragazze picchiate dai propri genitori musulmani, chiuse in casa, costrette a seguire tradizioni che non sentono proprie e vittime per questo di violenze fisiche e psicologiche. Vero. Succede. Ma non è questa la normalità.
C'è una tendenza pericolosa nei media a demonizzare i genitori a prescindere, per la sola "colpa" di essere musulmani E invece molto facile provare empatia e solidarietà per le giovani ragazze, più simili a noi, vittime di queste ingiustizie e imposizioni di un islam che noi vediamo come il nemico numero uno.
Negli ultimi anni, a causa degli attacchi terroristici in Europa rivendicati dal sedicente Stato islamico, questo distacco tra "noi" e i musulmani si è via via accentuato; i musulmani sono quasi sempre i "cattivi" delle nostre storie, sono quelli che ammazzano le persone, maltrattano le donne e le costringono ad indossare il velo. Come si può, in questo contesto, accettare che ci siano ancora donne che scelgono l'islam o il velo per se stesse?
Molto spesso io vengo giudicata dalle persone come una «cattiva musulmana», perché non rispecchio il loro stereotipo di quella che dovrebbe essere una musulmana pia e devota. E, allo stesso modo, molte ragazze che indossano il velo liberamente e per scelta si sentono spesso dire frasi come «Ribellati a questa cultura medievale e maschilista» o «Non puoi essere libera con quel velo in testa!».
I racconti di cronaca recente e il modo in cui vengono presentati, hanno creato un blocco all'interno delle menti di molti, che non gli permette di andare oltre e comprendere chi hanno davanti; e una ragazza-vittima che indossa il velo per imposizione o una donna indipendente e libera che per motivi culturali, religiosi o politici ha scelto di coprirsi il capo? Il tentativo di tutelare le ragazze oppresse da famiglie e comunità soffocanti, ha avuto l'effetto collaterale di portarci a non saper rispettare le libertà di quella maggioranza di ragazze che in Italia ha scelto consciamente di indossare lo hijab.
Con questo non intendo assolutamente sminuire le problematiche all'interno di alcune realtà, dove ragazze musulmane giovanissime sono costrette con la violenza a seguire determinate regole e costumi. Per alcune ragazze la ribellione equivale alla salvezza; non vogliono indossare il velo, non vogliono seguire le tradizioni, e hanno trovato il modo per uscirne e per non doverlo fare da sole.
Per le ragazze musulmane di seconda generazione che crescono qui, specie quando sono in piena adolescenza, quando le differenze culturali e religiose tra loro e le loro coetanee iniziano a farsi sentire e a pesare, è normale rimanere influenzate da ciò che vedono e sentono intorno a loro. La loro consapevolezza di sé e dei propri diritti cambia, e la società in cui vivono le incita a ribellarsi.
Queste ragazze sono e si sentono parte di due culture contemporaneamente, ma molto spesso, almeno nella loro infanzia, quella di origine tende a prendere il sopravvento. Questo accade perché in Italia fatichiamo ancora a vederle come italiane a tutti gli effetti; tante volte non hanno la cittadinanza pur nascendo o crescendo qui, e altre volte, anche se la hanno, continuano ad essere trattate come straniere fino ad arrivare a sentirsi tali.
È anche per questo che poi, per molte, la ribellione adolescenziale diventa una ribellione all'islam, alla propria cultura di origine, un modo per riuscire a farsi accettare e sentirsi parte integrante della società in cui vivono e con la quale interagiscono quotidianamente. Non riescono più a vedere la ricchezza nella propria diversità, bensì la reputano un ostacolo.
osì, purtroppo, diventa facile strumentalizzare la propria condizione pur di entrare a far parte del gruppo e di velocizzare i tempi dell'integrazione.
Ma l'integrazione non va mai forzata. È un processo lento e delicato. Sicuramente queste ragazze vanno assistite affinché non finiscano vittime delle imposizioni della propria famiglia, ma neanche di quelle della società. Anche perché l'equilibrio che raggiungerebbero sarebbe precario in entrambi i casi, e finirebbero prima o poi per scontrarsi con tutto e tutti nella ricerca del loro posto all'interno del mondo.
Sabika Shah Povia

(Confronti, maggio 2017)