martedì 4 luglio 2017

Obesofobia, nuovo razzismo un tanto al chilo

Rihanna mette su qualche chilo. Gli uomini la condannano, le donne l'assolvono. I primi l'accusano di non essere capace di tenere a freno i suoi appetiti. E le rimproverano con sarcasmo di aver abusato del servizio in camera negli alberghi. Come dire ingorda e pure pigra. Le fan invece si schierano con lei e viralizzano i social con l'hashtag #thickhanna. Creando un movimento d'opinione a sostegno della cantante.
In realtà le cattiverie sui suoi rotolini e cuscinetti erano già cominciate un paio d'anni fa, ma adesso i primi look estivi della popstar hanno fatto riesplodere la questione. In effetti Rihanna è vittima di quella che potremmo definirla legge di Chris Crandall. Lo psicologo sociale dell'Università del Kansas è autore di una teoria sulle ragioni del pregiudizio antigrassi che dilaga negli States e si diffonde a macchia d'olio in un Occidente eternamente a dieta. Al punto da fare della magrezza un culto.
La demonizzazione del sovrappeso, secondo Crandall, nasce dal fondo individualista e puritano del conservatorismo americano. Che considera l'autodisciplina e l'autocontrollo dei doveri sociali e morali. E dunque l'oversize diventa automaticamente una colpa e un peccato. Un indizio di indolenza, inaffidabilità, immoralità, svogliatezza, sgradevolezza. E perfino di scarsa intelligenza.
E se a mettere su peso è una donna, per di più di colore e per di più di successo, i carnefici si sentono ancor più autorizzati a colpirla. Confermando che l'obesofobia, parente stretta dell'idiozia, sta diventando una gravissima forma di discriminazione. Sempre più vicina al razzismo.
Marino Niola

(il Venerdì, 23 giugno)