Matteo 20, 1-16
Le parabole, come sappiamo, non vogliono dettare comportamenti universali e, in questo caso, non esiste da parte di Gesù, l'intenzione di fissare le regole per un'azienda agricola.
Le
parabole sono spesso delle provocazioni,
ci aiutano a cambiare il
nostro modo di
vedere le cose. Cozzano contro le nostre
logiche
collaudate e ci invitano ad andare
oltre.
In
qualche modo noi saremmo stati tra quei lavoratori che, protestando,
avrebbero ricordato al padrone della vigna il peso sopportato di
un'intera giornata di lavoro. Avremmo forse anche noi mostrato il "cartellino dell'orario" e difeso i nostri "meriti". Nel suo pellegrinaggio da villaggio a villaggio fino a Gerusalemme Gesù, per testimoniare l'amore sovversivo di Dio, non ha messo al centro della sua attenzione i "pii", ma si è chiaramente rivolto ai "peccatori", ai lontani, alle persone emarginate.
Gesù
è stato "partigiano" di quelli dell'ultima
ora, li ha
accolti a prescindere dai loro
"meriti", mettendo in crisi
le persone che
avevano una mentalità meritocratica, la
religione della cosiddetta giustizia
retributiva.
Del
resto, proprio i versetti conclusivi del capitolo 19 dello stesso
Vangelo (19, 27ss), mettono in luce quanto gli stessi discepoli
fossero legati al concetto di retribuzione, del "quanto me ne
viene"...Se per Gesù la parabola rendeva ragione della sua scelta preferenziale per gli ultimi e gli emarginati, le donne e gli "impuri" della società del suo tempo, Matteo doveva fare i conti con un contesto nuovo.
Può
darsi che Matteo avesse in mente le
pretese di anzianità di alcuni
che forse
reclamavano per sé un'autorità quasi
intoccabile, un
atteggiamento reverenziale
nei loro confronti.
Forse l'evangelista
pensava ai membri di
origine ebraica della sua comunità, che
provavano irritazione per le funzioni di
leadership ormai esercitate
da persone
giunte dal cosiddetto paganesimo.
I
nuovi venuti volevano esserci e contare davvero, ma i primi arrivati
rischiavano di sentirsi privati della loro primogenitura. Si tratta
di tensioni ben comprensibili, di cui tutti/e abbiamo fatto
personalmente esperienza nelle nostre parrocchie o comunità.Semplicemente lavoratori nella vigna
Un Dio geometra o ragioniere, che tenga la contabilità esatta dei meriti e dei demeriti, che segni sul Suo taccuino della storia le ore di lavoro ordinario e straordinario di ciascuno/a di noi, che annoti le presenze e le assenze, che funga da amministratore del condominio umano, è totalmente estraneo al pensiero di Gesù.
Le persone che incontravano Gesù
percepivano che non c'era situazione
che le
escludesse dall'amore incondizionato di Dio.
Anzi, per Gesù
il Padre aveva atteso e
accolto il figlio prodigo con una grande
festa.
Un
Dio così, ovviamente, non era facilmente “digeribile” dai tanti
primi della classe che la società e la religione del suo tempo
onoravano, riservando agli altri marginalità e disattenzione.
Ma
proprio di questo Dio, così indigesto ai potenti e ai “virtuosi”,
Gesù dava testimonianza ogni giorno. Il profeta di Nazareth era il
simbolo vivente di questo Dio dell'accoglienza; le sue parole e la
sua maniera di relazionarsi facevano “gustare” un Dio diverso,
dal cuore sempre accogliente. Ma non si tratta semplicemente di una bella idea; si tratta di una pratica sovversiva, di un comportamento quotidiano che parta sempre dagli ultimi e dalle ultime.
Sì , davvero: Gesù ha fatto “gustare” la presenza del Dio accogliente. Questa è la missione dei cristiani nel mondo e costituisce l'essenza della vocazione di ciascuno/a di noi.
Se personalmente ci sentiamo accolti
dall'amore di Dio in modo radicale
ed
incondizionato, se non vantiamo diritti di
primogenitura, di
superiorità o di esclusività,
allora potremo nella nostra vita
quotidiana
dare testimonianza di questo Dio il cui cuore
è un oceano
di tenerezza, di perdono, di
calore e di fiducia.
“
Dobbiamo
imparare continuamente a non
confondere Dio con i nostri schemi
religiosi e
morali.
Dobbiamo permettere a Dio di essere altro
da noi.
Dobbiamo semplicemente permettergli di
essere Dio” (
José Antonio Pagola).
Forse
su questa strada impareremo cheabbiamo bisogno degli “operai dell'ultima
ora” perché essi spesso sanno vivere e
testimoniare
l'amore di Dio con meraviglia e
freschezza. Forse gli " operai dell'ultima ora"
non hanno in testa tutto l'arsenale
catechistico, ma ci dicono più chiaramente
la realtà dell'oggi in cui siamo chiamati/e a
testimoniare il Vangelo.