sabato 24 febbraio 2018

INTERVISTA A DON FRANCO BARBERO


Franco Barbero. “Ringrazio Dio che non ho allontanato nessuno”. Le coppie omosessuali

di Piergiacomo Oderda
L’intervista
“Per me la disobbedienza ecclesiastica è stata la conseguenza di una obbedienza evangelica».
 Franco Barbero e il suo cammino di amore. 
Sul balcone di fronte all’unica finestra illuminata di via Città di Gap 13 a Pinerolo sventola la bandiera della pace. Non può che essere la sede della comunità. Alla porta/bacheca, mi soffermo sulle date dei prossimi gruppi biblici. Sul tavolo, un bicchiere d’acqua, un commentario del Vangelo di Luca, una copia del giornale “Riforma”. Franco Barbero, gioviale come sempre, è innanzitutto curioso del mio lavoro di insegnante di religione in un istituto tecnico torinese.
Cito un passaggio di una sua intervista tratta dal testo curato da Paolo Rigliano, psicologo milanese, “Gesù e le persone omosessuali” (La meridiana, 2014). “Ho cercato in questi cinquant’anni di attuare una sistematica disobbedienza canonica e liturgica annunciando la benedizione di Dio alle coppie omosessuali che me lo chiedevano”. «Nella mia comunità e nelle venti comunità che seguo», dice quasi sillabando, «non c’è nessuna differenza di percorso per chi prepara il matrimonio, il corso che io faccio qui a delle coppie etero, omo, transessuali, separati, divorziati, è uno solo per un principio antropologico e anche evangelico, tutti sono fragili e benedetti figli e figlie di Dio e voglio manifestare questa accoglienza di Dio dentro la Chiesa. Per me la disobbedienza ecclesiastica è stata la conseguenza di una obbedienza evangelica».
Il primo omosessuale l’ha conosciuto, il 7 dicembre del 1963, «ero giovane, assolutamente impreparato, non ho mai avuto nella mia vita un’emozione omosessuale e quindi la mia morale era quella dei testi. E’ stato un incontro sconvolgente in cui ho pregato, sofferto, pianto. Ero talmente ignorante, pensavo che ci fosse un omosessuale ogni mille. Questo ragazzo me ne ha portati undici o dodici dopo due mesi! Ho dovuto superare una prigione da modello unico. Ringrazio Dio finché vivo che non ho allontanato nessuno. Gli ho detto: “tu continua ad andare ai sacramenti, vivi la tua relazione purché sia una relazione bella, che abbia sentimenti, vivi la sessualità, non negarti l’eucarestia, non star lì a parlarne subito in giro”. Così l’ascolto mi ha guarito dal pregiudizio, 55 anni fa la parola omosessuale era impronunciabile. L’omosessuale era visto come uno ossessionato dal sesso, un malato, “a son inverti”, si diceva in piemontese. Dopo, ho conosciuto i più grandi psicanalisti di questo campo, Paolo Rigliano, studiosi che ho conosciuto in Germania, negli Stati Uniti, a Toronto. Allora conoscevo poco l’ebraico, credevo che Sodoma parlasse degli omosessuali».
Da cinquant’anni Franco Barbero è in contatto con la vita, le gioie, gli amori, i tormenti, le passioni e le lotte di migliaia di omosessuali.
Come avviene l’incontro?
«Qualcuno ha sentito parlare male o bene di me. Sono incuriositi, mi mandano un’email, una telefonata; mi chiedono un dialogo riservatissimo e devo dire che sono specialmente contenti che io non sia omosessuale perché mi dicono “Lei non fa una battaglia che la interessi personalmente”. Ogni persona parte dal racconto che non si è sentita accolta nella chiesa, “non ci siamo sentiti ascoltati prima di tutto”. Le nostre parole, accoglienza, misericordia dicono il rovescio, una sottile emarginazione. Non ci rendiamo conto come in nome della fede abbiamo fatto soffrire molto persone. Il lavoro è quello di ascoltare, ho versato molte lacrime di condivisione, ho conosciuto molti che si sono suicidati, ho conosciuto tantissime risurrezioni di persone che ora vivono riconciliati con Dio, con il proprio corpo, con i propri sentimenti, che hanno costruito una vera famiglia».
Franco Barbero è un appassionato di cristologia, cito sempre dal testo di Rigliano, “Gesù picconatore del muro tra il puro e l’impuro, contestatore di una lettura precettistica della Torah”. Non si limita ad un discorso consolatorio, attrezza i suoi discepoli, li prepara per una lotta. “Sono venuto a portare il fuoco nella terra e cosa voglio se non che divampi?” Gli omosessuali sono soggetti della pastorale in quanto interpreti autorevoli della loro esperienza. «Questo modello che abbiamo noi, i santi, i bravi, i cattivi, i puri, gli impuri è il modello divisorio che non fa della Chiesa una casa ma la rende un palazzo dove c’è chi governa. “La chiesa che diventa casa” è un insegnamento di papa Francesco. Il mio impegno è quello di rendere la loro vita dentro l’abbraccio di Dio. Diventa un soggetto attivo della tua fede, lascia stare di prendertela contro l’istituzione, lotta per la giustizia, le leggi a livello politico, giuridico ma soprattutto godi della benedizione di Dio. Ho scritto un piccolo libro “Senza chiedere permesso”, tu non devi tutte le volte andare dal prete e dire “sono omosessuale”, io mica vado a dire “sono etero”, vivi la tua vita, cerca di non essere mai violento, di attivare i sentimenti, le relazioni, in pace con te e con gli altri.  E’ molto importante che conoscano la Bibbia, che compiano una lettura adulta della Scrittura. A Pinerolo c’è un bellissimo gruppo, “La scala di Giacobbe”, un gruppo ecumenico, cattolici, valdesi, un gruppo fondato nella comunità di base». E’ «una situazione di attivazione della conoscenza e della liberazione dai sensi di colpa e nello stesso tempo una lotta per non autoghettizzarsi. Nelle minoranze, uno dei rischi è la vittimizzazione».
Come si struttura il percorso pastorale? Ho letto che si basa su “incontri personali e di gruppo per almeno un anno”.
«Le cose affrettate non le faccio perché siamo già reduci da una storia di ritualismi». Franco mi regala il testo “Benedizione di coppie omosessuali” (2013), edito da una casa francese. «Ho riportato una ventina tra le quattrocento celebrazioni che ho fatto. E’ una liturgia in cui gli sposi scelgono con me le letture. Facciamo conoscenza con il gruppo che parteciperà alla liturgia».
Quando è in viaggio Franco tiene un gruppo biblico anche alla stazione Termini, «magari tre o quattro coppie le incontro in stazione. Che gioia vedere questa gente che si riconcilia e dice “Dio è bello”, perché lo capisci che non ti sta giudicando, ti sta accompagnando. Ho fatto matrimoni tra un ebreo e una cristiana, oppure tra due donne islamiche che non trovavano un iman. Raccomando, “facciamo delle cose semplici!”, in una società povera dove troppi sono poveri, non permettiamoci lo spreco, è un primo segnale evangelico».
Nel libro “Il posto dell’altro. Le persone omosessuali nelle chiese cristiane” (La meridiana, 2000), Barbero accenna alla chiamata di Abramo, “Abramo non parte se Dio non lo sradica”.
Occorre uscire dal nascondiglio della propria terra per uscire allo scoperto, una vita prima prigioniera del pregiudizio e della paura sente germinare dal profondo una pianticella di felicità. Mi accorgo troppo tardi di aver toccato un tasto dolente, «Lei sa dove è nato questo testo? A Roma perché nel 2000 c’era il grande giubileo. Con alcuni omosessuali dissi: “Facciamo un giubileo degli omosessuali”».
Interviene a Roma sul cammino di Abramo e quando torna a Pinerolo «il Vaticano mi fa sapere che devo ritrattare quella relazione. Allora ho detto: “No, non ritratto”; lì è cominciata l’ultima serie dei processi. Questo testo mi ha affascinato, nell’ebraico c’è tre volte “sradica, sradica, vai, vai, vai”. Il midrash ebraico narra che la famiglia di Abramo era una fabbrica di piccoli idoletti. Il papà notava che suo figlio non era un operaio molto produttivo. Nel cuore di Abramo stava risuonando la voce di Jahvé che gli diceva “Parti!”. Abramo ha le sue inquietudini, “Dove vado? Qui ho una casa sicura, qual è la terra?” Jahvé risponde: “Te la indicherò io” e Abramo si fida. Quel brano è stato la mia totale sfortuna. La gerarchia mi ha chiuso una porta ma Dio mi ha aperto un portone perché di lì ho cominciato a sentire tanti omosessuali, lesbiche, transessuali. E’ stata una grande benedizione. Prima era una cosa più silenziosa, poi si sono rotti gli argini. Mi hanno dato tre mesi per ripensarci, ho detto “No, guardate, non posso, solo dirmi tacere e obbedire, non è la mia strada”».
Sempre dall’intervento tenuto in occasione dell’anno giubilare, riprendo l’idea del “kairòs”, “l’amore omosessuale è un kairòs, un’opportunità che Dio ci offre per comprendere e vivere più intensamente la nostra realtà di uomini e per rendere più viva la testimonianza”. «“kairòs” viene usato poche volte», spiega Barbero differenziandolo dai termini “aìon” e “krònos”, «per dire un tempo in cui Dio ti offre una nuova opportunità. Se la chiesa ascolta la voce delle donne, degli omosessuali, degli eretici ci sono veramente delle chiamate di Dio. Guai se non avessi incontrato, ascoltato gli omosessuali. E’ caduto il castello ma non è caduta la fede, è caduta l’impalcatura ma la casa no. Credo che una delle cose che mi rincresce di più della nostra Chiesa è che perde spesso le occasioni che Dio ci dà di conversione. In questo senso l’accoglienza dei più deboli, dei più marginali è un’accoglienza “kairotica”, ci offre l’opportunità di ripensare al Suo amore che non ha le nostre barriere, i nostri confini».
Nel testo sulle benedizioni ricorre sovente la tematica del sorriso di Dio, «è quello che la Bibbia chiama la “berakhà”, la benedizione di Dio. Dio guarda il creato e dice “Tutto è buono”. Noi cominciamo subito dicendo che al bambino che si presenta in comunità dobbiamo togliergli il peccato. Piuttosto la comunità accolga, benedica questo uomo e questa donna, questa famiglia, benediciamo la nascita di un bimbo, l’accoglienza di un bimbo, di una bimba».
Franco si concede un sorso d’acqua, il mio sguardo cade sullo “Shemà Israel” appeso alla parete, vicino alla sura aprente del Corano, «queste tre religioni sono il centro e il cuore della mia fede, sogno il giorno in cui queste tre religioni impareranno a darsi la mano». Non nasconde una sofferenza, «non si legge più la Bibbia, non si sa leggerla, i preti hanno dimenticato o devo dire purtroppo il più delle volte non hanno studiato, non conoscono l’ebraico, non conoscono il testo greco, si fidano, interpretano i miti come cronaca. I linguaggi biblici bisogna decodificarli, storicizzarli».
Dedica in “Confessione di fede di un eretico” (ed. Mille, 2017)  una sezione a Maria di Nazaret, « una donna ebrea che ha un figlio pazzo come Gesù, un profeta che si mette sulla strada del Battista. Il vangelo di Marco è precisissimo, scrive “éxesthe”, Maria va incontro a Gesù con i fratelli e le sorelle, gli dicono “ma sei fuori di testa!”, “éxesthe”».
Sabato 24 febbraio alle 17 la teologa Selene Zorzi interverrà nella Biblioteca di Pinerolo per un incontro organizzato dal gruppo “La scala di Giacobbe”, moderato da Luca Galli. «E’ una teologa molto aperta, cattolica, il libro è intitolato “Il genere di Dio. La chiesa e la teologia alla prova del gender” (La meridiana, 2017). Quando noi abbiamo maschilizzato Dio facendolo un dio patriarcale abbiamo anche stravolto la sua immagine, bisogna ritornare ai linguaggi plurimi su Dio, Dio come sorgente, come soffio vitale. L’Islam dice: “Ti ho dato novantanove nomi di Dio ma il centesimo Dio te lo darà nel tuo cuore”, i nostri nomi sono delle approssimazioni, Dio è al di là di ciò che le nostre parole possono esprimere».
(Dal sito nazionale delle comunità cristiane di base)