domenica 25 febbraio 2018

PER LA CONVERSIONE DELLA CHIESA

I fedeli laici: unica speranza per un clero ammalato di potere.


Tempeste.
Una dietro l’altra.
Tempeste mediatiche, numeriche, emotive. Mi riferisco alle tante notizie che affollano i media cartacei, televisivi, della rete e che riguardano la vita del clero cattolico. Accusato oggi di non vivere il celibato in favore di condotte omosessuali, ieri di esorcizzare (e/o molestare) piccole ragazze con il demonio in corpo, l’altro ieri di pedofilia e domani chissà di cos’altro. Si tratta di questioni scottanti, complesse, lette all’interno del clero a volte a partire da un timore scandalistico, a volte nel senso spiritualizzante di una conversione individuale e altre volte alla luce di movimenti politici più o meno occulti che si servirebbero di notizie da gossip o da cronaca nera per assediare ancora una volta la chiesa romana, con i forzieri provenienti dall’otto per mille.
Personalmente non sento di identificarmi con nessuna di queste posizioni. E’ da ormai diverso tempo che quando vengo a conoscenza di queste notizie cerco di non lasciarmi tirare giù dalla voglia di gossip ma di allargare piuttosto lo sguardo e magari, perché no, farlo scendere in profondità. E, forse per un senso di rivalsa rispetto ad una matematica in cui sono stato sempre una schiappa, cerco di trovare il comun denominatore  riguardante le situazioni su cui rifletto e medito. Un esercizio a volte molto complesso e delicato, se non rischioso, in un’istituzione ecclesiale in cui la libertà di vedute è limitata da un magistero che sembra non potersi mettere in discussione.
Ci provo anche questa volta però e mi pongo questa domanda: cosa accomuna l’esercizio di un potere medievale tramite un esorcismo rivolto ad una bimba fragile con il fenomeno dei preti milionari e goderecci? E tutto questo come si rapporta al problema della pedofilia all’interno del clero, dello scarso numero di vocazioni presbiterali e a quello della doppia morale? Ad esempio nel caso dell’omosessualità mentre si continua ad indicare gravemente scorretta la situazione di chi la vive, è pienamente tollerata all’interno del clero… ed è a questa doppia morale che spesso ci si appiglia accusando come l’istituzione ecclesiastica. Chissà...se forse si usasse misericordia e tenerezza verso tutti in  tutti gli ambiti ci sarebbero meno spigoli a cui aggrapparsi.
Ma torniamo alla domanda: cosa accomuna tutte queste questioni diverse, alcune apparentemente molto lontane tra loro? La concezione stessa del sacerdozio cattolico. Questo è la mia risposta, certamente opinabile. Una concezione errata del sacerdozio a partire dal suo stesso nome. Non è questa la sede di una ricostruzione storica di come siano andate le cose ma non posso dimenticare quanto un colto prete dopo l’ordinazione presbiterale mi disse: “Gennaro ricordati che sei un presbitero, non un sacerdote”. Ogni giorno capisco meglio quell’affermazione. La Scrittura sostiene pienamente che l’unico sacerdote è Cristo e chi guida la comunità ha tutt’al più il ruolo di sorvegliante cioè vescovo, di anziano cioè presbitero, di diacono cioè servo. Tutti incarichi e ministeri che hanno a che fare con delle relazioni improntate al servizio, alla vigilanza paterna, all’esperienza di fede da condividere. Incarichi e ministeri mai in accordo con i verbi del potere, con i munus di cui è pieno il diritto canonico e la teologia del sacramento dell’ordine. Il sacerdozio cattolico oggi più che mai andrebbe riconsiderato e ricollocato nella giusta dimensione evangelica,  anche alla luce degli studi storico-critici che consentono di risalire a quello che era il pensiero originario di Gesù di Nazareth e della sua prima comunità.
Noi abbiamo fatto, nei secoli, di un ministero e di un servizio un potere e una potestà. Ci siamo rivestiti di sacro e spogliati di umano, credendo di poter coprire con i paramenti sacri la fragilità dei corpi e dei cuori,  simili a ai corpi e ai cuori di tutto il genere umano. Abbiamo tentato di confondere con incensi variegati l’odore della vita, delle passioni e delle pulsioni che pure abitano la nostra vita come la vita di tutti gli umani. Abbiamo cercato di divinizzare la nostra presenza, creando un mito sociale le cui conseguenze ci si stanno ritorcendo contro in termini di aspettative, attese, pressioni,  richieste. Abbiamo  voluto far credere a tutte le nostre comunità, con l’aiuto magari di qualche laico affezionato, che il clero così come lo pensiamo noi (cioè il clero stesso) è essenziale alla vita e alla continuità della chiesa quando potrebbe (e dovrebbe) essere ripensato e riformato alla luce  delle esigenze odierne della comunità e della comprensione attuale dell’intenzione di Cristo espressa dal Vangelo. 
Il problema è che il sacerdozio cattolico è concepito unicamente come un potere. Fatta salva la pace di chi cerca di viverlo come un servizio e di coloro che pongono l’accento su altro.... Il potere. Il credere di ricoprire un ruolo di potere e viverlo in questo modo, magari autorizzati se non stimolati da tutta una teologia mitologica che ha prodotto nei fedeli un senso di bigottismo medievale, terreno fertile per la manipolazione delle menti. Un potere manipolativo che consente allo psicopatico in talare di turno di far del male ad una ragazzina esorcizzandola, che permette alla persona con difficoltà affettive più o meno serie di rifugiarsi in un’istituzione che si mostra asessuata e che dona in cambio una forte identità sociale grazie alla quale, magari, poter vivere di nascosto qualche pulsione perversa e incontrollata. Un potere che come tutti i poteri vive una morale a doppio senso, non tollerando negli altri ciò che tollera in sé, proprio come quei politici corrotti o quei farisei dal doppio peso di cui parla Gesù.
Un potere che affascina e nelle cui brame cadono giovani a volte mossi dal più bello degli innamoramenti e dal più spirituale degli entusiasmi ma che poi si ritrovano, dopo qualche anno di sacerdozio, a fare i conti con quel l’umanità che avevano sotterrato sotto la magia dell’abito nero, garante di tante attenzioni e ammirazioni, pane buono per i narcisismi del nostro tempo. Un potere che come molti poteri non si interessa solo a norme e leggi morali ma anche al portafogli delle persone: basti pensare a come nella nostra esperienza ecclesiale i laici, anche nelle questioni economiche (si tratta dei loro soldi) hanno nel migliore dei casi solo un potere consultivo e mai deliberativo: la cassa è sempre e solo nelle mani del clero. 

Un potere che come tutti i poteri non vuole cambiare, non vuole ripensarsi, non fa crescere gli altri e non riforma se stesso per la paura forse di guardarsi allo specchio e scoprirsi semplicemente ciò che si è: uomini come gli altri, fragili, poveri, deboli e nello stesso tempo preziosi, amati e bellissimi. Cristiani come gli altri: non persone chiamate a seguire Gesù più da vicino, predilette dal Santo o dalla Madonna di turno, con un potere sacro e una capacità di mediazione divina. Forse è proprio a da  questa cattedra di normalità che occorrerebbe ripensarsi. Magari a partire da questo ripensamento le comunità diverrebbero adulte, meno dipendenti, davvero ministeriali. Comunità in cui tutti, nella diversità dei servizi e dei carismi, possono sedersi alla stessa mensa senza distinzioni di potere e di rango. In fondo anche oggi, almeno per me, vale quanto affermato dal grande De André: bisogna fare un po’ di strada per evitare di “diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”.  Spero che i tanti cristiani cattolici, chiamati “laici” dal clero, sappiano capirlo presto aiutando noi, membri di questa classe scelta, a convertirci e cambiare rotta.
Gennaro Pagano, presbitero, psicologo, specializzato in Educazione e Sviluppo, Direttore del centro educativo Regina Pacis.