giovedì 19 aprile 2018

Dalla nave Exodus all'amico Trump

1947-1948

Quella di Israele è una storia di tensioni e conflitti che ha inizio il 29 novembre 1947. È il giorno in cui l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la Risoluzione 181, fissa il Piano di spartizione della Palestina, territorio occupato militarmente dalla Gran Bretagna dalla fine della prima guerra mondiale. Qui tra gli anni '20 e agli anni '40 l'incessante flusso migratorio di ebrei da Europa, Urss e Usa aveva esasperato i rapporti con gli arabi e gli scontri tra comunità si facevano sempre più frequenti. La Risoluzione dell'Onu stabilisce quindi la creazione di due Stati, uno ebraico e uno arabo, con la città di Gerusalemme che sarebbe rimasta sotto l'amministrazione internazionale. Il piano viene accettato con favore dagli ebrei, mentre i palestinesi e le nazioni confinanti avversano fortemente la spartizione dei territori. All'indomani della risoluzione ha inizio la prima guerra tra ebrei e arabi. Il 15 maggio 1948, quando le truppe britanniche lasciano definitivamente la Palestina, il neonato Stato di Israele viene attaccato da Egitto, Siria, Giordania, Libano e Iraq. Il primo conflitto arabo-israeliano, durato fino a marzo 1949, causa 20 mila morti e l'esodo di 700 mila palestinesi.

1956
Passano sette anni e gli israeliani sono nuovamente chiamati alle armi. È il 26 luglio 1956, l'Egitto occupa militarmente il Canale di Suez e ne annuncia la nazionalizzazione. Gran Bretagna e Francia spingono Israele a intervenire in soccorso degli interessi europei, così il 29 ottobre l'esercito israeliano invade la striscia di Gaza e la penisola del Sinai. Dieci giorni e duemila morti dopo, Usa e Urss impongono il cessate il fuoco. Sul Canale di Suez arriva una missione Onu e Israele si ritira.

1967
La missione internazionale termina nel 1967. E la tensione tra Israele ed Egitto torna alle stelle. Il 22 maggio, pochi giorni dopo la partenza degli ultimi caschi blu, il presidente egiziano Nasser dice che l'unica soluzione ai problemi del Medio Oriente è il "totale annientamento di Israele». Una provocazione per Israele che il 5 giugno attacca simultaneamente Egitto, Siria e Giordania. È l'inizio della Guerra dei Sei giorni, che si conclude il 10 giugno con la totale vittoria dello Stato ebraico, che conquista molti territori tra cui Gerusalemme Est, la Cisgiordania e Gaza. L'intervento dell'Onu, che con la Risoluzione 242 chiede il ritorno ai confini di prima della guerra, non ha alcun effetto.

1973-1978
La vittoria israeliana della Guerra dei Sei giorni è un colpo durissimo per Egitto e Siria, che ottengono rivalsa nell'ottobre del 1973 con la Guerra del Kippur. Nonostante non riconquistino nessun territorio, quello dei due paesi arabi è un importante successo politico e di propaganda: dimostrano, per la prima volta, che è possibile mettere in difficoltà Israele. Quella del Kippur è l'ultima guerra che coinvolge lo Stato ebraico e l'Egitto. A metà degli anni Settanta i rapporti tra i due paesi migliorano notevolmente.
Nel novembre del 1977 il presidente egiziano Sadat visita Gerusalemme ed è il primo capo di Stato arabo a riconoscere a Israele il diritto di esistere. A settembre del 1978 Sadat e il premier israeliano Begin si incontrano a Camp David, negli Usa, dove pongono le basi della pace firmata nel marzo del 1979. Israele inizia il ritiro graduale dal Sinai, restano occupate Cisgiordania e Gaza.

1982
Se i rapporti con l'Egitto non sono più critici, il problema ora viene dal Libano: all'inizio degli anni '80 molti membri dell'Organizzazione per la liberazione della Palestine vi si rifugiano e da lì fanno partire le loro azioni contro Israele. Il 6 giugno 1982 inizia la Guerra del Libano, che termina nel 1985. Il conflitto ha uno dei suoi momenti più drammatici tra il 16 e il 18 settembre 1982, con il massacro di Sabra e Shatila. Miliziani libanesi si introducono, con la collaborazione dell'esercito israeliano, nei due campi profughi nella zona ovest di Beirut per vendicare la morte del presidente Bashir Gemayel. Il massacro dura tre giorni: perdono la vita circa 3 mila persone. L'Onu condanna le violenze come "atto di genocidio" e in Israele ci sono manifestazioni di protesta contro la guerra. Queste portano alla formazione di una commissione d'inchiesta che attribuisce la responsabilità delle violenze al ministro della Difesa Ariel Sharon.

1987-1993
A metà degli anni '80 la situazione politica nei territori palestinesi occupati si fa più complicata. Nel 1987 ha inizio la Prima Intifada, una sollevazione di masse contro il dominio israeliano: sei anni di proteste e più di mille morti. Sono gli accordi di Oslo a mettere fine alle ostilità. Questi sono siglati dal Capo dell'Olp Arafat e dal primo ministro israeliano Rabin a Washington il 13 settembre 1993. L'impegno per la pace costa caro al Primo ministro Rabin, ucciso da un estremista di destra il 4 novembre 1995.

2000-2014
Dopo il fallimento di nuove trattative tra Israele e Olp, il 28 settembre del 2000 Ariel Sharon compie una passeggiata nella spianata delle moschee e proclama Gerusalemme Est territorio israeliano. Le proteste palestinesi sono durissime e danno inizio alla seconda intifada. Ci saranno seimila vittime prima di arrivare a una tregua di fatto, che regge in Cisgiordania ma non a Gaza, che dal 2007 è controllata dagli estremisti di Hamas. Seguono, a Gaza, tre successive operazioni militari israeliane: "Piombo fuso" (2008-2009). "Colonna di nuvole" (2012) e "Margine di protezione" (2014).

2017-2018
Il 6 dicembre 2017 Donald Trump decide il trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme (il trasloco è previsto per il 14 maggio 2018). Si accendono così nuove tensioni, alimentate anche dal 70° anniversario della nascita di Israele (che per i palestinesi è la "Nakba" la Catastrofe) e dal 40° degli scontri del 30 marzo 1976, quando Israele represse con la violenza le manifestazioni contro la confisca delle terre dei palestinesi. Intanto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sotto indagine giudiziaria da un anno per  diversi reati tra cui corruzione e frode, prima annuncia un accordo con l'Onu per il trasferimento degli immigrati africani in Israele verso l'Europa e il Canada, poi fa marcia indietro per le proteste sia in patria sia all'estero.
Federico Marconi

(L'Espresso 8 aprile)