mercoledì 19 settembre 2018

Creato in Italia e venduto in Usa il nuovo farmaco che salva la vista

Un farmaco ideato, sviluppato e prodotto in Italia è stato autorizzato negli Stati Uniti per il trattamento dei pazienti affetti da una rara malattia della cornea che provoca cecità. L'agenzia americana che regola i farmaci, ha autorizzato infatti Oxervate, nome commerciale del principio attivo cenenegermin, messo a punto dopo oltre 30 anni di ricerca in Italia. Il farmaco, prodotto negli stabilimenti di Dompé a l'Aquila, rappresenta oggi l'unica possibilità di trattamento per i pazienti affetti da cheratite neurotrofica moderata o grave, una malattia dell'occhio che, prima di Oxervate, era priva di terapie.
Il farmaco italiano è stato creato a partire dal lavoro di Rita Levi Montalcini. Questo innovativo collirio e infatti il primo trattamento autorizzato a base di Ngf (Nerve Growth Factor), il fattore di crescita dei neuroni che ha fatto guadagnare alla scienziata italiana il Nobel nel 1986. L'Ngfe è una proteina solubile che stimola la crescita, il mantenimento e la sopravvivenza dei neuroni. Ci sono voluti moltissimi anni di lavoro per poterne ricavare un farmaco pronto per l'uso: prima Ngf è stato ottenuto partendo dai topi, poi si è riusciti a estrarlo da Dna ricombinante umano, per via biotecnologica. Si è scelto di utilizzarlo come terapia della cheratite neurotrofica perché la malattia distrugge uno degli organi più innervati del nostro organismo, ovvero la cornea che è quindi più sensibile all'effetto del fattore di crescita dei nervi. Inoltre, pur colpendo meno di 5 persone ogni 10mila, la cheratite neurotrofica è una patologia neurodegenerativa contro la quale non esiste alcuna alternativa terapeutica. «Mentre la prevalenza della cheratite neurotrofica è bassa, l'impatto su un singolo paziente può essere devastante - dice Wiley Chambers, oftalmologo presso il Centro per la valutazione e la ricerca di droghe della Fda - In passato, era necessario ricorrere agli interventi chirurgici». Un traguardo importante per tutta la ricerca italiana.
Valentina Arcovio

(La Stampa 24 agosto)