Per una democrazia pluralista, conflittuale e sociale
23-10-2020 - Alessandra Algostino
Volerelaluna
Il
quadro è fosco. La rappresentanza scivola in rappresentazione ed è
surrogata dalla governabilità; il Parlamento è ridotto al ruolo di
organo di ratifica; le scelte politiche sono sempre più eterodirette e
incanalate in rigidi parametri economici assunti come dogmi; la
discussione e la formazione di norme attraverso processi di integrazione
e mediazione politica cedono alle imposizioni della governabilità; i
partiti politici, da veicolo fra società e istituzioni e organizzazione
in forma collettiva di rivendicazioni e visioni del mondo, divengono
partiti liquidi, leggeri, catch all, appiattiti sulle istituzioni, tesi
alla propria riproduzione, governati dal leaderismo, comunicanti
attraverso slogan o tweets.
È
un processo che parte ormai da lontano; per citare solo qualche
passaggio: nel 1975 la Trilaterale lamenta l’eccesso di democrazia;
degli anni Ottanta è la svolta (non solo italiana) in senso neoliberale;
nel 1993 è adottato un sistema elettorale maggioritario; del 2013 è
l’emblematica critica della J.P. Morgan alle Costituzioni dei paesi del
Sud Europa, per la debolezza degli esecutivi e l’eccessiva tutela dei
lavoratori e del diritto di protesta. Elementi eterogenei, quelli appena
citati, ma che restituiscono l’intensità del processo che sta svuotando
la democrazia, come democrazia politica, economica e sociale, i tre
profili che, non a caso, la Costituzione associa.
Che
fare? Occorre ripartire dal cuore della Costituzione, l’art. 3, secondo
comma, assumendo come obiettivo «l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»,
ovvero occorre mettere al centro la partecipazione come essenza della
democrazia nella pluridimensionalità con la quale è scritta nella norma
costituzionale. Questo significa reagire su più fronti.
La
crisi del Parlamento è parte di una degenerazione più ampia della
democrazia, che la revoca in dubbio anche nella sua declinazione
economico-sociale. Pensiamo alla deregolamentazione nel mondo del
lavoro, che contraddice la tutela dei lavoratori e l’idea stessa di una
Repubblica fondata sul lavoro inteso come strumento di dignità ed
emancipazione; alla contrattazione aziendale – per restare alle
relazioni industriali – che sostituisce quella a livello nazionale
prevista dalla Costituzione per contrapporre la forza del numero, per
dirlo con Mortati, alla forza di chi possiede i mezzi di produzione;
pensiamo, in senso ampio, alla regressione nella garanzia dei diritti
sociali (quanto mai evidente oggi, in epoca di epidemia, in relazione,
ad esempio, all’abbandono della medicina territoriale).
Restando
alla democrazia politica, rivitalizzare il Parlamento implica, in primo
luogo, una doppia azione: da un lato, occorre che esso ritrovi
rappresentatività, capacità di rispecchiare il pluralismo e i conflitti
che attraversano la società; dall’altro lato, è necessario che
riacquisti autonomia e potere nei confronti del Governo. Sono due
profili connessi: un Parlamento più rappresentativo, innestato nella
società, può essere anche un Parlamento in grado di esercitare un ruolo
più incisivo nelle proprie funzioni.
Mi
limito a due esempi. Primo. Modificare il sistema elettorale,
introducendo una formula proporzionale, un sistema proporzionale puro,
effettivo, senza soglia di sbarramento, senza liste bloccate, per
favorire l’effetto “specchio della realtà”, l’emersione delle minoranze e
incoraggiare la partecipazione di chi non si sente ora rappresentato.
Secondo. Intervenire sui regolamenti parlamentari, non solo come atto
dovuto a seguito della riduzione del numero dei parlamentari, ma per
superare gli eccessivi poteri del Governo, ad esempio in relazione ai
maxiemendamenti e alla questione di fiducia; per assicurare uno spazio
adeguato alle minoranze, ragionando di creazione di uno statuto
effettivo delle opposizioni (si sottolinea, al plurale); per rafforzare
la possibilità che il Parlamento sia luogo di discussione e confronto,
agendo ad esempio sui contingentamenti eccessivi dei tempi.
Adottare
un sistema elettorale proporzionale e dotare il Parlamento di strumenti
in grado di recuperarne la dimensione quale luogo di discussione e
adozione di scelte politiche e norme, rafforzandone il ruolo, tuttavia
non è sufficiente. È la stessa Costituzione che ricorda
l’imprescindibilità di ragionare in termini di effettività e in
quest’ottica centrale è in primo luogo un ragionamento sui partiti
politici. Il partito è un soggetto collettivo intrinsecamente ibrido,
sospeso fra società e istituzioni, con il compito di contribuire alla
realizzazione di un’osmosi fluida tra i due elementi e alla
determinazione della politica nazionale. Oggi il rapporto del partito
con la società si può qualificare come “primitivo”: il partito tende a
blandire i cittadini – in realtà sempre più sudditi – con promesse e
letture che semplificano la realtà, o si limita a sfruttare, quando non a
fomentare, gli umori più immediati che percorrono la collettività, con
il fine di autoriprodursi in un orizzonte autoreferenziale. I movimenti
sociali, il mondo dell’associazionismo, non trovano più un interlocutore
che traghetti le loro istanze nelle istituzioni; per tacere del fatto
che sempre più spesso il dissenso che essi esprimono è represso
(inasprimento delle pene per le occupazioni, reato di blocco stradale,
diffuso ricorso a misure cautelari e di prevenzione).
Occorre
che i partiti ri-partano da una presenza nella società, strutturando in
forma collettiva, e all’interno di una concezione del mondo, idee e
bisogni, veicolando rivendicazioni sociali ma anche “educando” e
orientando, ovvero svolgendo una funzione rappresentativa ma anche di
indirizzo. In tal modo possono trovare voce il pluralismo e la
conflittualità che attraversano la società.
Fantapolitica?
No, ma sicuramente la rotta sulla quale sono indirizzati i partiti
politici è difficile da invertire: entra in gioco la questione, di
ascendenza gramsciana, circa l’assonanza esistente tra forma-partito e
forma-impresa o, in senso più ampio, il ragionamento sulla correlazione
esistente fra i mutamenti intercorsi nella struttura economica
(semplificando, dal modello fordista a quello post-fordista del
finanzcapitalismo globale) e la metamorfosi del partito politico.
Pare
ingenuo ragionare di configurazione dei partiti, o della loro
democrazia interna, se non si leggono le loro trasformazioni come parte
di un contesto dove è mutato il modello di capitalismo e sono
profondamente cambiati i rapporti fra politica ed economia, con una
radicale inversione dell’influenza d’indirizzo e regolativa, ormai
appannaggio della seconda. In particolare, è evidente il ruolo che nella
metamorfosi del partito gioca, a partire dagli anni del liberismo
thatcheriano e reaganiano, la progressiva negazione del conflitto
sociale. E, allora, tornando all’incipit di questo discorso, per
concludere, è necessario recuperare la connessione fra i differenti
profili della democrazia. Rilanciare la democrazia politica, il
parlamentarismo, non può prescindere dalla considerazione del contesto
economico-sociale e dalle misure che concretizzano la democrazia sociale
ed economica, muovendo da quelle che incidono sul conflitto sociale
riequilibrandone i termini: diritti sociali, progressività del sistema
tributario, diritto del lavoro ex parte lavoratore.