Covid-19, 500 mila invisibili rischiano di essere esclusi dalla vaccinazione
Marina Della Croce
Il Manifesto
23.02.2021
Sono
sotto gli occhi di tutti eppure per le istituzioni praticamente non
esistono. Sono tanti, quasi un esercito: 500 mila persone tra senza
fissa dimora, sia italiani che stranieri, uomini e donne privi di
documenti o di un permesso di soggiorno, apolidi, ma anche una parte
della popolazione Roma e Sinti. Invisibili dal punto di vista
amministrativo e per questo impossibilitati in piena pandemia a
rientrare nel piano nazionale vaccini.
A
sollevare l’attenzione su di loro sono state, con una lettera al
ministro della salute Roberto Speranza. le associazioni che aderiscono
al Tavolo immigrazione e salute (Tis), tra cui la Caritas, Emergency,
medici senza frontiere, Associazione studi giuridici sull’immigrazione
(Asgi), Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) e Sanità di
frontiera. Tutte hanno chiesto al nuovo governo di emanare al più
presto indicazioni nazionali per definire le modalità di inclusione nel
Piano nazionale vaccinazioni di queste 500 mila persone. «Il diritto al
vaccino c’è, ma non è praticabile», spiega l’avvocato Marco Poggi
dell’Asgi. «Aver individuato nel medico di famiglia il tramite per
l’accesso al vaccino rischia di tradursi in un ostacolo insormontabile
per questa particolare fascia di popolazione. A meno che in ogni Asl non
si individui un medico di riferimento per queste persone».
Quello
che le associazioni chiedono è di prevedere una «flessibilità
amministrativa così come indicato dall’Aifa, eventualmente anche mediata
da enti locali oppure da organizzazioni dell’associazionismo e del
terzo settore» per agevolare le vaccinazioni anche a coloro che la
momento sono esclusi perché non hanno documenti come la tessera
sanitaria, il codice fiscale o una carta di identità.
Il
tavolo ricorda come anche nelle indicazioni dell’Aifa ci sia la
raccomandazione di effettuare le vaccinazioni alle persone, sia italiane
che straniere, che si trovino in condizioni di fragilità accettando
«qualsiasi documento (non necessariamente on corso di validità) che
riporti l’identità delle persone da vaccinare». Ma anche che, «in
mancanza di un qualsiasi documento verranno registrati i dati anagrafici
dichiarati dalla persona e l’indicazione di un' eventuale
ente/struttura/associazione di riferimento».
Nonostante
queste il fatto che per prenotare il vaccino occorre iscriversi a una
piattaforma nazionale o presso il medico di famiglia oppure in un altro
luogo attraverso il codice fiscale o la tessera sanitaria, rischia di
rappresentare un ostacolo per la popolazione più fragile. Esempi in tal
senso on mancherebbero. Le associazioni ricordano come questo sia già
accaduto in alcune Regioni «con l’obbligatorietà della ricetta
dematerializzata e la prenotazione on line».
I
dati forniti dall’Istituto superiore di sanità evidenziano come i casi
di positività al Covid 19 sono meno numerosi tra gli stranieri rispetto a
quelli riscontrati tra i cittadini residenti ma, avvertono e
associazioni, «tra le persone straniere c’è un certo numero di diagnosi
ritardate che, comportando un aggravamento clinico, portano a una
maggiore ospedalizzazione rispetto agli italiani. Il ritardo diagnostico
spesso, è determinato dalla scarsa assistenza socio- sanitaria».
Da
qui la richiesta di valutare la possibilità di procedere alla
somministrazione del vaccino nei centri per i migranti, negli alloggi
affollati e nei rifugi per senza tetto.