sabato 20 marzo 2021

Squilli di verità, tocca al giudice ed ex ministro Moro difendersi 


La verità vincerà, aveva assicurato Lula. E la verità, almeno un pezzetto di verità, ha, almeno per ora, vinto. Con la decisione del giudice del Supremo Tribunale Federale Edson Fachin di annullare tutte le condanne contro l'ex presidente emesse, nell'ambito dell'operazione Lava Jato, da Sérgio Moro e poi dalla sua sostituta Gabriela Hardt, Lula torna in possesso dei suoi diritti politici e si avvia, a meno di sorprese, a partecipare alle elezioni del 2022.

MA L'ESULTANZA DEL MOMENTO, espressa, sulle reti sociali, da 450mila riferimenti a Lula in una sola ora, non ha di certo cancellato, come hanno sottolineato gli avvocati Cristiano Zanin e Valeska Teixeira, «i danni irrimediabili» causati «all'ex presidente, al sistema di giustizia e allo stato di diritto»: dalle ripetute aberrazioni giuridiche (il celebre «non abbiamo prove, ma abbiamo convinzioni», la condanna «per atti indeterminati») fino alle umiliazioni inferte, all`arresto, ai 19 mesi di carcere, all'addio al sogno di ricandidarsi per la presidenza. Con tutte le tragiche conseguenze che tale persecuzione giudiziaria ha avuto per il paese.

Cinque anni ci ha messo Fachin, uno dei giudici più vicini alla Lava Jato e più ferocemente anti-Lula, per riconoscere ciò che era ovvio fin dall'inizio: che, cioè, la 13ma sezione della Corte Federale di Curitiba presieduta da Moro non era competente per giudicare i casi del triplex di Guarujá, della tenuta di Atibaia, della sede dell'Istituto Lula e delle donazioni da questo ricevute, in quanto non direttamente connessi alla Petrobras (cioè all'oggetto specifico della Lava Jato del Paraná).

Ma, come se ciò non bastasse, la sua decisione, che dovrà essere confermata dalla plenaria del Stf, ha mirato piuttosto a beneficiare l'ex giudice ed ex ministro di Bolsonaro più che lo stesso Lula. Perché, con l'annullamento di tutte le condanne, Fachin intendeva lasciar cadere anche le denunce contro la parzialità di quello che un tempo era l'idolatrato simbolo della (impropriamente definita) «Mani Pulite brasiliana».

PRIMA OVVIAMENTE che la «Vaza Jato», cioè l'intercettazione e la divulgazione dei messaggi scambiati su Telegram tra Moro e i procuratori dell'ormai dissolta task force di Curitiba, mostrasse cosa si nascondesse dietro l'immagine di imparziale e integerrimo arbitro della partita che l'ex giudice, presso un'opinione pubblica avvelenata dalla propaganda anti-Pt, offriva di sé mentre complottava per escludere Lula dalla competizione elettorale.

Non a caso il presidente dell'Ordine degli avvocati Felipe Santa Cruz aveva subito definito la decisione «corretta, ma migliore per Moro che per l'ex presidente». E migliore, si può aggiungere, per tutti i soggetti implicati in quello che il ministro del Stf Gilmar Mendes ha definito come «il maggiore scandalo giudiziario della storia»: giudici, stampa, militari e oligarchia al completo.

LA MANOVRA DI FACHIN, tuttavia, non è riuscita: ignorando la decisione del suo collega, Gilmar Mendes ha subito convocato, già ieri pomeriggio, la sessione della seconda sezione del Stf chiamata a giudicare la condotta di Moro (giudizio di cui, al momento in cui scriviamo, si attende ancora l'esito). Né e riuscito il tentativo di Fachin di cancellarla, respinto - a dimostrazione di quanto il vento sia cambiato – per 4 voti a 1.

Quanto alle prospettive politiche di Lula, che ha rinviato la sua conferenza stampa proprio in attesa di conoscere il risultato del giudizio su Moro, tra i giuristi si dà ora per scontata la sua eleggibilità nel 2022, se non altro per i tempi necessariamente lunghi di un'eventuale nuova condanna da parte della giustizia del Distretto Federale, a cui Fachin ha inoltrato gli atti, e per le probabilità che tutti i reati per i quali è accusato siano prescritti. Ma è certo che, a questo punto, come ha allertato Rui Costa Pimenta del Pco (Partido da Causa Operária), «qualunque nuovo tentativo di impedire la candidatura di Lula configurerebbe un terzo colpo di stato», dopo la destituzione di Dilma Rousseff nel 2016 e la frode elettorale del 201

MA, SOPRATTUTTO, nuove prospettive si aprono ora per il paese in uno dei momenti più tragici della sua storia. Tanto più in quanto, stando a un sondaggio, Lula supererebbe di ben 12 punti l'attuale presidente nelle elezioni presidenziali del 2022. «Se fosse necessario per sconfiggere il bolsonarismo, state sicuri che mi metterei a disposizione» ha assicurato l'ex presidente prima ancora che la decisione di Fachin gli restituisse i diritti politici. 

CLAUDIA FANTI 

Il Manifesto 10 marzo