domenica 23 maggio 2021

I confini delle libertà


Ma davvero, una volta approvato il disegno di legge contro l'omotransfobia, verrebbe limitata la libertà di parola? E chi dicesse "l'utero in affitto è una schifezza" o il matrimonio omosessuale "è contro natura" verrebbe sanzionato penalmente? La risposta è un no, chiaro e tondo: non c'è in alcun modo questo rischio. Eppure, tale insidiosa alterazione della verità dei fatti (e della lettera della proposta di legge) si riproduce imperturbabile. Ma perché si può serenamente affermare che si tratta di una manipolazione? Il disegno di legge (ddl) Zan si inserisce nella trama della "legge Mancino", volta a punire le condotte di propaganda, istigazione, violenza e associazione finalizzate alla discriminazione fondata sull'odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Ma rispetto a questo testo emerge una differenza cruciale: nel disegno di legge contro l'omotransfobia non è prevista la sanzionabilità della mera propaganda.

Ovvero esattamente ciò che attiene alla incondizionata libertà di espressione. Come argomentano giuristi, quali Federica Resta e Angelo Schillaci, nel modificare la lettera a) dell'articolo 604-bis del codice penale, il ddl Zan non prevede la penalizzazione dell'attività di propaganda, ma solo quella di istigazione a commettere atti di discriminazione. Il comportamento penalmente rilevante è, in sé, la condotta del discriminate: si tratta dunque di delitti di vera e propria discriminazione, non di opinioni. Parliamo, cioè, della parola che si fa o rischia di farsi azione per la sua valenza istigativa. La parola che si traduce in comportamento e che produce la discriminazione o la violenza: le idee che diventano azioni e solo nel momento in cui diventano azioni. Viene previsto come sanzionabile, quindi, il nesso di causalità e il rapporto diretto e consequenziale tra parola e fatto, proprio in ragione dell'effetto istigativo (da verificare in concreto) della prima.

È, del resto, proprio questo il requisito cui la Corte Costituzionale ha subordinato la legittimità delle fattispecie di istigazione o apologia, tracciando il confine che separa la libertà di espressione dalla violazione dell'altrui dignità. La Consulta ha ritenuto, infatti, compatibili con la libertà di espressione quelle ipotesi di reato (istigazione o apologia), solo se non siano applicate alla "manifestazione di pensiero pura e semplice": ovvero è sanzionabile solo quella condotta che "per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti" (sentenza 65/ 1970). Si tratta di un parametro non molto diverso da quello del clear and present danger al quale la giurisprudenza americana subordina la legittimità di fattispecie analoghe all'istigazione; un parametro che la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha assunto a riferimento nella sua giurisprudenza prevalente.

Il ddl Zan, dunque, non ha nulla a che vedere con l'uso simbolico-performativo della norma penale per promuovere - come affermano i critici - "un clima culturale di favore verso le differenze" (e anche se fosse...). Al diritto penale si assegna, opportunamente, un compito ben più limitato: proteggere la persona dalla violenza e dalla discriminazione per consentirle di vivere liberamente il proprio modo di essere e le proprie scelte affettive.

Questa impostazione è confermata dal fatto che il ddl Zan, oltre a prevedere sanzioni dotate di un contenuto più significativamente "rieducativo", introduce alcune misure complementari di prevenzione del fenomeno. Va in questo senso l'elaborazione di una strategia di contrasto volta a incidere sulle cause, essenzialmente culturali, dell'omofobia. Poi, non c'è dubbio che il testo del disegno di legge possa essere ulteriormente migliorato. Ma questo è un altro discorso. Dunque, chi voglia a tutti i costi dire che "l'amore omosessuale è un obbrobrio" è padronissimo di continuare a farlo, senza che la "legge Zan" gli possa torcere un solo capello.

Luigi Manconi

La Repubblica 13 maggio