Il mondo metta fine a questa occupazione
La Repubblica 21/5
Abeer Odeh
Ovviamente
il cessate il fuoco è una buona notizia, ma questo non sarebbe un vero
risultato se non portasse ad un cambiamento delle politiche di Israele
nei confronti della Palestina, che sottopongono la nostra popolazione a
continue vessazioni esponendola a rischi quotidiani concreti e rendendo
la situazione esplosiva nell'intera regione.
Se
il cessate il fuoco dovesse semplicemente riportare la lancetta al
giorno prima dei bombardamenti israeliani, questo non comporterebbe la
fine delle sofferenze del popolo palestinese. Se la comunità
internazionale non si metterà duramente al lavoro per individuare le
responsabilità dell'occupazione israeliana chiedendo a Israele di
rispondere dei suoi crimini, saremo di nuovo al punto di partenza.
Dobbiamo
tenere a mente che il punto di partenza è l'occupazione e dobbiamo
ricordarci che cosa significa occupazione: presenza militare e controllo
della tua terra da parte di una potenza straniera. Nel nostro caso, la
situazione è aggravata dal furto di terra portato avanti dai coloni, che
vivono illegalmente sui nostri territori e sfruttano le nostre risorse
impedendo ai nostri cittadini di goderne. Immaginate se tutto questo
accadesse in Italia. Parliamo di vere e proprie annessioni, che il
diritto internazionale ritiene totalmente illegali. Una situazione di
fatto, imposta con l'uso della forza, non è legittima. Questo principio
universale del diritto si applica anche a Israele, che non può essere al
di sopra della legge e deve farsi carico delle proprie responsabilità.
Lo
dicono molte risoluzioni delle Nazioni Unite, che in molti casi
riguardano proprio Gerusalemme Est, dove tutto è cominciato: i
palestinesi che vivono a Gerusalemme Est non sono arabi israeliani, ma
palestinesi che vivono nella loro legittima capitale, occupata
dall'esercito e dai coloni israeliani nel 1967. Chiunque abbia letto i
giornali sa che la miccia della cosiddetta "escalation" è stata
innescata dalla repressione israeliana durante le celebrazioni del
Ramadan, che hanno visto coloni ed esercito aggredire i fedeli perfino
dentro alla Moschea di Al-Aqsa; dagli sfratti nel quartiere di Sheikh
Jarrah, che non sono "questioni private" ma parte della pulizia etnica
che Israele porta avanti a Gerusalemme Est senza alcun titolo; e dal
boicottaggio delle elezioni palestinesi, ottenuto proibendo ai cittadini
di questa città di votare per il proprio Parlamento e il proprio
Presidente.
Ben prima che partissero i
razzi da Gaza, la violenza e le provocazioni delle forze di occupazione e
dei coloni avevano raggiunto livelli mai visti, fino a profanare i
luoghi sacri. L'attenzione dei media italiani sui razzi di Hamas è stata
per questo paradossale e fuorviante. Si è parlato di autodifesa di una
potenza occupante e si è rimosso completamente dalla narrazione tutto
ciò che veniva prima: non solo ciò che è accaduto nelle sconvolgenti
giornate di Gerusalemme Est, ma anche quello che va avanti da anni in
tutta la Palestina, cioè l'espandersi delle colonie illegali, la
demolizione delle case palestinesi, le detenzioni arbitrarie, le
uccisioni ingiustificate, le condizioni di vita miserabili alle quali
sono condannati i palestinesi, l'Apartheid, l'impossibilità di avere un
nostro Stato.
Ci saremmo aspettati un
minimo di apprezzamento per gli sforzi della leadership palestinese di
resistere a tutto questo in modo pacifico. A Gaza, sotto le bombe
israeliane sono morte almeno 243 persone, tra cui 39 donne, 17 anziani e
66 bambini. Nessuno di loro era uno "scudo umano", erano tutti esseri
umani. A sentire Israele, è colpa loro se sono morti. Ed è colpa degli
abitanti della Striscia se adesso devono contare quasi 2.000 feriti e
100.000 sfollati, senza casa e in cerca di rifugio, mentre in
Cisgiordania e a Gerusalemme Est i cittadini uccisi dalle forze di
occupazione solo nell'ultima settimana sono 29 e i feriti 4.000.
Questa
aggressione traumatizza ulteriormente una popolazione già bersagliata:
non solo quella di Gaza, fatta di 2 milioni di persone che vivono da 14
anni sotto assedio, ma quella di tutta la Palestina, vulnerabile alla
macchina da guerra della potenza occupante e senza la protezione
internazionale di cui ha disperato bisogno.
Risulta
evidente che non ci sarà mai pace senza giustizia. Dopo il cessate il
fuoco, serve un'immediata iniziativa politica basata sul diritto
internazionale e le risoluzioni ONU, che metta fine all'occupazione
israeliana dei Territori Palestinesi del 1967 con capitale Gerusalemme
Est, e risolva la questione dei rifugiati sulla base della Risoluzione
ONU 194 del 1948, che garantisce il diritto al ritorno anche attraverso
forme di risarcimento. L'intervento della comunità internazionale e del
Quartetto per il Medio Oriente sono a questo punto obbligatori.
Ringraziamo tutte le associazioni, i movimenti e le forze politiche
italiane e di tutto il mondo che ci hanno dimostrato una vicinanza
preziosa in un momento drammatico. Le loro manifestazioni, numerose e
partecipate, provano ancora una volta il nostro legittimo diritto ad
essere liberi.
L'autrice è ambasciatrice della Palestina in Italia