Per la prima volta i popoli originari potranno scrivere la Costituzione cilena
Claudia Fanti
Il Manifesto
23.05.2021
Per
la prima volta nella storia del Cile saranno anche rappresentanti dei
popoli originari a scrivere una Costituzione. E sono figure di grande
rilievo, a partire dalla machi Francisca Linconao, la più votata, con
circa 14mila voti, alle elezioni del 15 e 16 maggio per i 17 seggi
riservati ai popoli indigeni nella Convenzione costituente: mapuche,
aymara, kawésquar, rapanui, yagán, quechua, atacameño, diaguita, colla e
chango.
Diventata famosa per aver vinto
nel 2009 la causa contro la Sociedad Palermo Limitada, responsabile
dell’abbattimento illegale di alberi nei pressi della sua comunità – la
sentenza a suo favore è stato il primo caso di applicazione in Cile
della Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro -,
l’autorità spirituale mapuche è stata indagata per due volte, e infine
scagionata, per l’incendio alla residenza dell’imprenditore Werner
Luchsinger, morto nel rogo nel 2013 insieme alla moglie Vivienne.
Un
caso di persecuzione politica – a cui la machi ha risposto anche con
uno sciopero della fame – riconducibile a quella Legge Antiterrorista
varata da Pinochet e usata ancora oggi per colpire dirigenti e autorità
ancestrali in lotta per la restituzione delle terre usurpate.
Con
lei sono risultati eletti anche l’avvocata dei diritti umani Natividad
Llanquileo, portavoce dei prigionieri politici mapuche in sciopero della
fame nel 2010; Adolfo Millabur, primo sindaco mapuche nella storia
cilena; Elisa Loncon, docente dell’Università di Santiago e specialista
in lingua mapudungun, da molti indicata come possibile presidente della
Convenzione costituente, oltre a Rosa Catrileo, Victorino Antilef e
Alexis Caiguan, mentre è andata malissimo a tutti i candidati finanziati
– massicciamente – dalla destra.
Come
ci ha spiegato lo storico mapuche Fernando Pairican, è stata la vittoria
dei rappresentanti del movimento autonomista – soprattutto donne
impegnate nella difesa dei diritti collettivi indigeni-, favorevoli alla
costruzione di uno stato plurinazionale e interculturale «come una
tappa del processo verso l’autodeterminazione». Una linea caratterizzata
dal principio dell’Introfil Mongeñ: quell’insieme di politiche mirate a
generare «un equilibro tra il processo produttivo e la sostentabilità
della natura» che costituirebbe la via di transizione al Küme Mongen, il
buen vivir mapuche.
La novità dei seggi
riservati ai popoli indigeni non ha avuto la meglio, tuttavia, sulla
loro diffidenza nei confronti delle istituzioni: è stato infatti meno
del 23% degli iscritti al registro elettorale indigeno a prendere parte
alle elezioni. Una limitata affluenza dovuta in parte all’assenza di
informazioni e al difficoltoso processo di votazione, ma riconducibile
anche alla forza del movimento più radicale di lotta per
l’autodeterminazione, con il suo esplicito rifiuto del processo
costituente.
Così ci ha confermato l’artista e comunicatore
mapuche-chehuelche Juan Carlos Carrilaf, attivo in territorio wenteche,
dove sono più di 60 le comunità impegnate in un processo di recupero
territoriale e dove la repressione dello stato si è fatta sentire anche
durante le elezioni, quando le forze dell’ordine hanno attaccato
violentemente il lof Caucauche, una comunità in conflitto con
l’imprenditore Juan Muñoz Canobi.
«Il
movimento territoriale di resistenza wenteche ha deciso di non prendere
parte alle elezioni», ci ha spiegato, indicando come prioritaria la
lotta per l’autonomia territoriale contro latifondisti e imprese
forestali. «La presenza di candidati mapuche – sostiene -, non implica
avere una politica mapuche, perché il sistema è sempre lo stesso». Una
sfuducia che condivide anche sua moglie, Rosario Railaf Zuñiga, figlia
del noto ex dirigente del Movimiento Campesino Revolucionario Rafael
Railaf Caniu, espulso in Olanda sotto la dittatura di Pinochet, la quale
evidenzia come i mapuche entrati in Parlamento non siano riusciti a
ottenere nulla.
Tuttavia, ci dice, se ne
avesse avuto la possibilità (né lei né suo marito hanno potuto
iscriversi al registro elettorale indigeno per motivi burocratici), a
votare ci sarebbe andata: «Avrei scelto Natividad Llanquileo, lottatrice
instancabile in difesa dei diritti dei popoli originari».