Perché una Costituzione della Terra?
18-05-2021 - Valentina Pazé
Volerelaluna
Perché una Costituzione della Terra? Perché – come si legge nella pagina di presentazione del sito di “Costituente Terra” (https://www.costituenteterra.it/chi-siamo-perche-ci-siamo/)
– «mentre ormai tutti i problemi si pongono a livello globale e il
pericolo della fine non incombe più, come accaduto in passato, su
singoli popoli ma sull’umanità tutta intera, non c’è un soggetto che
assuma la responsabilità di tutto ciò e ne tenti la regola». E perché,
come argomenta più distesamente Luigi Ferrajoli che, con Raniero la
Valle, è tra i promotori dell’iniziativa (https://volerelaluna.it/politica/2020/01/03/una-scuola-per-una-costituzione-della-terra/),
una delle “lezioni” che la pandemia ci ha impartito è che alle
molteplici emergenze e catastrofi del nostro tempo (riscaldamento
climatico, guerre, crescita delle diseguaglianze, masse di migranti in
fuga) si potrà rispondere solo andando oltre i confini degli Stati e
«imponendo rigidi limiti e vincoli costituzionali ai poteri attualmente
selvaggi della politica e dell’economia» (Perché una Costituzione della
Terra?, Giappichelli, Torino 2021, p. 31).
Il
progetto di una Costituzione della Terra, nell’intenzione dei
promotori, dovrebbe essere depositato presso la sede dell’ONU,
sottoposto alla discussione e approvazione dell’Assemblea generale e
aperto all’adesione e alla ratifica di tutti gli Stati del mondo. Una
pazza utopia? Una fuga nel mondo del futuribile? Per il momento un
testo, redatto da Ferrajoli, è stato reso pubblico sotto forma di
“bozza”, aperta alle osservazioni e agli emendamenti di chi vorrà
contribuire a perfezionarla (http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/prima-bozza-di-lavoro-per-una-costituzione-della-terra/).
Leggendolo, ci si accorge di come, nella sua radicalità, rimanga nel
solco della migliore tradizione costituzionalistica, riprendendo e
sistematizzando norme contenute in costituzioni e carte internazionali
vigenti e mettendo a frutto tutte le tecniche di garanzia che sono state
escogitate, negli anni, per rendere effettivi i diritti.
Il
testo, composto da 100 articoli, ha a tutti gli effetti la struttura di
una carta costituzionale, divisa nelle due classiche parti: la prima
dedicata ai principi e ai diritti fondamentali, la seconda
all’organizzazione dei poteri. Pur ricollegandosi idealmente a documenti
famosi come la Dichiarazione universale del ’48 e la Carta dell’ONU, di
cui parafrasa l’incipit («Noi, i popoli della Terra») appare
profondamente innovativo su entrambi i versanti.
Nella
prima parte spicca la previsione, accanto al catalogo dei diritti, di
due Titoli dedicati rispettivamente ai «beni fondamentali» e ai «beni
illeciti». La necessità di sottrarre al mercato beni personalissimi come
le parti del corpo umano, beni comuni come le risorse naturali e
ambientali (da proteggere attraverso l’istituzione di un demanio
planetario) e beni sociali, come i farmaci salva-vita, i vaccini,
l’alimentazione di base, è stata più volte argomentata da Ferrajoli nei
suoi scritti recenti. Si tratta di superare la logica individualistica
dei diritti, stipulando l’indisponibilità e l’inalienabilità dei beni
vitali in assenza dei quali gli stessi diritti sono destinati a rimanere
solo sulla carta. Che senso ha, ad esempio, proclamare il diritto alla
salute senza riconoscere l’accesso gratuito ai farmaci o all’acqua
potabile? O affermare il diritto a un’esistenza dignitosa dimenticandosi
di «garantire la vita presente e futura sul nostro pianeta in tutte le
sue forme» (la prima finalità della Costituzione della Terra, insieme al
mantenimento della pace, alla promozione di rapporti amichevoli tra i
popoli e alla realizzazione dell’uguaglianza)? In modo analogo, la
previsione di un catalogo di beni illeciti, di cui va vietata la
produzione, il commercio e la detenzione («le armi nucleari, le armi di
offesa e di morte, le droghe pesanti, le scorie radioattive e tutti i
rifiuti tossici o pericolosi») mira ad assicurare l’effettività del
diritto alla pace e alla sopravvivenza di tutti gli abitanti del
pianeta, e del pianeta stesso. Di qui, nel solco di Kant, la previsione
dello scioglimento degli eserciti nazionali e l’affidamento del
monopolio della produzione e detenzione delle armi, «limitatamente a
quelle necessarie all’esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza»,
alle forze di polizia, locali, statali e globali (art. 77). Ma anche la
statuizione di limiti alla produzione di energie non rinnovabili (art.
54) e il divieto di attività che rechino danni irreversibili alla natura
(art. 56).
Un secondo aspetto degno
di essere sottolineato riguarda la titolarità dei diritti. Altre
Dichiarazioni, anche recenti, come la Carta di Nizza, non hanno saputo –
o voluto – affrontare il nodo dell’accesso ai diritti che, anche quando
proclamati come universali, per essere effettivamente goduti richiedono
il possesso della cittadinanza o di titoli legali di ingresso e
soggiorno nel territorio europeo. La formula che si legge nel Preambolo
della Carta di Nizza – l’Unione «pone la persona al centro della sua
azione istituendo la cittadinanza dell’Unione» – suona oggi sommamente
ipocrita di fronte al disprezzo che le istituzioni dell’UE, e gli Stati
che ne sono parte, mostrano per la vita di donne e uomini privi di una
pregiata cittadinanza occidentale. Il progetto di Costituzione di cui
stiamo discutendo, invece, all’art. 5 riconosce a tutti gli esseri umani
la «cittadinanza della Terra». E, per il resto, evita di servirsi della
parola “cittadino”, attribuendo i diritti – tutti i diritti, senza
eccezione alcuna – alle persone. Anche il diritto alla libera
circolazione, che si traduce nel diritto di emigrare e di «scegliere la
propria residenza in qualunque punto della Terra» (art. 14). Anche i
diritti politici, storicamente associati allo status civitatis, che
vengono qui ancorati al criterio della residenza stabile entro un
determinato territorio (art. 34). Lo status di cittadino cessa, così, di
configurarsi come condizione indispensabile (e, per troppi,
inaccessibile) per il godimento degli stessi diritti riconosciuti
formalmente alla persona («il diritto ad avere diritti», secondo la
celebre formula di Hannah Arendt). Senza tuttavia che ciò comporti
l’idea del superamento della forma-Stato e l’immaginazione di un
«governo del mondo». Da questo punto di vista, Ferrajoli tiene i piedi
ben saldi per terra, sostenendo esplicitamente che le funzioni di
governo, la cui legittimità dipende dalla rappresentatività politica, «è
bene che restino prevalentemente in capo agli Stati nazionali». Mentre
ad essere trasferite agli organi di una futura Federazione della Terra
dovranno essere, in via sussidiaria, soprattutto le funzioni di garanzia
dei diritti e dei beni fondamentali.
Incontriamo
allora, nella seconda parte del testo (artt. 59-100), gran parte delle
istituzioni create all’indomani della seconda guerra mondiale, o in
epoca successiva, per scongiurare il ripetersi delle ben note tragedie:
dall’ONU, con i suoi organi statutari e le sue agenzie (OMS, FAO,
UNESCO, OIL) alla Corte penale internazionale, ancora oggi non
pienamente operativa per il boicottaggio da parte delle grandi potenze.
Queste organizzazioni vengono tuttavia profondamente riformate e
affiancate da altri strumenti, al fine di garantire i diritti, la pace,
la tutela dell’ambiente naturale e dei beni comuni, la messa al bando
dei beni illeciti, la lotta alla povertà. Si prevede, tra l’altro, un
Consiglio di sicurezza dell’ONU composto dai rappresentanti di 15 Stati
designati ogni 5 anni dall’Assemblea generale, nessuno dei quali avrebbe
il diritto di veto, e l’istituzione di una Corte costituzionale
internazionale incaricata di pronunciarsi sull’eventuale illegittimità
degli atti adottati dal Consiglio di sicurezza (in modo che non siano
più possibili “guerre dell’ONU”, in palese violazione della Carta). Ma è
soprattutto sulla riconfigurazione e il potenziamento delle istituzioni
preposte alla garanzia dei diritti sociali e dei beni fondamentali che
il progetto insiste. Si tratterebbe di dotare l’Organizzazione mondiale
della sanità, la FAO, l’UNESCO, l’OIL, così come le neo-istituite
Agenzia mondiale dell’acqua e Agenzia garante per l’ambiente, delle
risorse necessarie per garantire l’accesso alle cure mediche,
all’istruzione, al lavoro, alle risorse idriche, anche agli abitanti dei
paesi più poveri, laddove questo obiettivo non riesca ad essere
raggiunto a livello statale, e per promuovere e coordinare le politiche
in difesa dell’ambiente. Perché ciò sia possibile gli artt. 92-98
istituiscono un bilancio planetario, con vincoli “sociali” di spesa, su
modello di quanto previsto dalla Costituzione brasiliana; un registro
globale dei grandi patrimoni; una tassazione sull’uso e l’abuso dei beni
comuni; imposte globali sui grandi patrimoni, sulle successioni e sui
redditi elevati, improntate a criteri di forte progressività; il condono
del debito pubblico dei paesi poveri «a titolo di risarcimento dei
danni finora provocati ai beni comuni dell’umanità e alle generazioni
future dallo sviluppo industriale ecologicamente insostenibile dei paesi
ricchi».
Molte sarebbero ancora le
novità degne di essere segnalate. Ma anche senza addentrarsi
ulteriormente nell’esame dei contenuti di questa “bozza”, che condensa
nei suoi 100 articoli l’essenza della teoria del costituzionalismo
globale elaborata da Ferrajoli in decenni di studi, è facile farsi
prendere da un certo giramento di testa. E, di nuovo, chiedersi: si
tratta di un progetto realizzabile? O di un puro esercizio di
immaginazione utopica?
In realtà,
Ferrajoli stesso e i suoi compagni di strada si mostrano consapevoli del
carattere «all’apparenza utopistico» dell’idea di una Costituzione
della Terra. La forza del progetto consiste, tuttavia, nel disegnare un
modello-limite verso cui tendere e nell’«indicare, alle lotte sociali
contro le tante emergenze in atto, un concreto obiettivo strategico».
Più che come un documento giuridico, la Costituzione della Terra
andrebbe letta come un «programma politico razionale in grado di
unificare le tante battaglie nelle quali sono impegnate in tutto il
mondo migliaia di associazioni: dalle battaglie civili in difesa
dell’ambiente a quelle a sostegno della garanzia universale dell’acqua
potabile, dai movimenti pacifisti per il disarmo nucleare alle
mobilitazioni per l’eguale garanzia del diritto alla salute per tutti
gli esseri umani, da quelle contro la povertà e la fame nel mondo fino
alle lotte a sostegno dei diritti alla sopravvivenza oggi negati ai
migranti». Un programma che è un invito a superare la disperazione
paralizzante che troppo spesso spinge alla passività e all’inerzia.
Nella consapevolezza che il vero realismo, oggi, è quello di chi prende
sul serio la minaccia incombente della distruzione del genere umano e
del suo habitat, e ha il coraggio di immaginare un orizzonte all’altezza
della sfida.