venerdì 4 giugno 2021

BRASILE: NELLE PIAZZE FORTE IL GRIDO "FUORI BOLSONARO"

 Stop Zoom, ora è in piazza il grido «Fora Bolsonaro»


Claudia Fanti

Il Manifesto
30.05.2021

Finalmente fuori da Zoom, oltre le proteste sulle reti sociali, il grido «Fora Bolsonaro» è risuonato ieri, malgrado la pandemia, anche per le strade e le piazze di oltre 200 città brasiliane, nella convinzione che il governo sia «più pericoloso del virus».
Non è la Colombia, non è il Cile, ma anche in Brasile l’esasperazione è profonda: «Il popolo brasiliano – scrive il Movimento dei senza terra in un tweet – ha un grido intrappolato in gola. Il 29 maggio, con ogni precauzione possibile contro il Covid 19, tutti a difendere la vita e a lottare per Fora Bolsonaro!».
Tra innumerevoli appelli a rispettare i protocolli di sicurezza, sindacati, partiti, associazioni di studenti, movimenti popolari, a cominciare dal Frente Brasil Popular e dal Frente Povo sem Medo, e anche settori estranei alla sinistra tradizionale sono scesi in piazza contro la perdita di diritti sociali, la disoccupazione, la criminale gestione della pandemia – oggetto della Commissione parlamentare d’inchiesta tuttora in corso -, esigendo l’approvazione del sussidio di emergenza e la vaccinazione di massa contro il Covid.
«Sappiamo del momento critico della pandemia – ha dichiarato la presidente del Pt Gleisi Hoffmann -, ma siamo anche consapevoli delle condizioni critiche del popolo, che senza reddito e senza impiego si espone tutti i giorni al contagio per sopravvivere, senza alcuna forma di sostegno da parte del governo». Si spiega così l’emorragia di consensi che sta soffrendo il presidente, bocciato, secondo l’ultimo sondaggio di PoderData, dal 59% della popolazione: se le elezioni ci fossero oggi, Lula lo batterebbe al primo turno di quasi 20 punti, 41% contro 23%. Eppure, da parte di Bolsonaro, non c’è alcun ripensamento. Tant’è che mentre gli scienziati lanciano l’allarme sul rischio di una terza ondata di Covid, ancora più micidiale dell’ultima – i casi di contagio hanno ripreso a crescere e così il numero di morti, giunto a oltre 459mila -, il presidente si è rivolto al Supremo tribunale federale affinché dichiari inconstituzionali le misure di quarantena disposte contro la pandemia da governatori e sindaci.
Ma il discredito travolge anche i suoi ministri, a cominciare da quello dell’Ambiente, Ricardo Salles, lasciato incredibilmente al suo posto da Bolsonaro malgrado l’indagine giudiziaria aperta contro di lui per contrabbando di prodotti forestali negli Stati uniti e in Europa.
Come «il miglior ministro dell’Ambiente nella storia del Brasile» lo ha anzi definito il terzogenito del presidente, Eduardo, dopo l’irruzione nei suoi uffici ordinata alla polizia federale dalla Corte suprema e la sospensione immediata di dieci funzionari, compreso il presidente dell’Ibama Eduardo Bim, responsabile di aver sospeso l’obbligatorietà dell’autorizzazione dell’organismo all’esportazione di legname.
Un’operazione, quella della polizia federale, che ha preso il nome di una divinità degli indigeni arara, Akuanduba, suonatrice di flauto con il compito di riportare armonia nel mondo. Ma quanto tale compito appaia oggi proibitivo in Brasile lo indica anche la denuncia di Survival International relativa al progetto governativo di aprire le terre di alcuni popoli incontattati a uno sfruttamento dalle conseguenze letali, abolendo le ordinanze d’emergenza che attualmente proteggono i loro territori da trafficanti di legname, imprenditori agricoli e accaparratori di terra. Un piano che, secondo gli esperti, potrebbe causare l’estinzione di diversi popoli incontattati e la distruzione di circa un milione di ettari di foresta pluviale, un’area pari a tre volte la Valle D’Aosta.