Stop Zoom, ora è in piazza il grido «Fora Bolsonaro»
Claudia Fanti
Il Manifesto
30.05.2021
Finalmente
fuori da Zoom, oltre le proteste sulle reti sociali, il grido «Fora
Bolsonaro» è risuonato ieri, malgrado la pandemia, anche per le strade e
le piazze di oltre 200 città brasiliane, nella convinzione che il
governo sia «più pericoloso del virus».
Non
è la Colombia, non è il Cile, ma anche in Brasile l’esasperazione è
profonda: «Il popolo brasiliano – scrive il Movimento dei senza terra in
un tweet – ha un grido intrappolato in gola. Il 29 maggio, con ogni
precauzione possibile contro il Covid 19, tutti a difendere la vita e a
lottare per Fora Bolsonaro!».
Tra
innumerevoli appelli a rispettare i protocolli di sicurezza, sindacati,
partiti, associazioni di studenti, movimenti popolari, a cominciare dal
Frente Brasil Popular e dal Frente Povo sem Medo, e anche settori
estranei alla sinistra tradizionale sono scesi in piazza contro la
perdita di diritti sociali, la disoccupazione, la criminale gestione
della pandemia – oggetto della Commissione parlamentare d’inchiesta
tuttora in corso -, esigendo l’approvazione del sussidio di emergenza e
la vaccinazione di massa contro il Covid.
«Sappiamo
del momento critico della pandemia – ha dichiarato la presidente del Pt
Gleisi Hoffmann -, ma siamo anche consapevoli delle condizioni critiche
del popolo, che senza reddito e senza impiego si espone tutti i giorni
al contagio per sopravvivere, senza alcuna forma di sostegno da parte
del governo». Si spiega così l’emorragia di consensi che sta soffrendo
il presidente, bocciato, secondo l’ultimo sondaggio di PoderData, dal
59% della popolazione: se le elezioni ci fossero oggi, Lula lo
batterebbe al primo turno di quasi 20 punti, 41% contro 23%. Eppure, da
parte di Bolsonaro, non c’è alcun ripensamento. Tant’è che mentre gli
scienziati lanciano l’allarme sul rischio di una terza ondata di Covid,
ancora più micidiale dell’ultima – i casi di contagio hanno ripreso a
crescere e così il numero di morti, giunto a oltre 459mila -, il
presidente si è rivolto al Supremo tribunale federale affinché dichiari
inconstituzionali le misure di quarantena disposte contro la pandemia da
governatori e sindaci.
Ma il discredito
travolge anche i suoi ministri, a cominciare da quello dell’Ambiente,
Ricardo Salles, lasciato incredibilmente al suo posto da Bolsonaro
malgrado l’indagine giudiziaria aperta contro di lui per contrabbando di
prodotti forestali negli Stati uniti e in Europa.
Come
«il miglior ministro dell’Ambiente nella storia del Brasile» lo ha anzi
definito il terzogenito del presidente, Eduardo, dopo l’irruzione nei
suoi uffici ordinata alla polizia federale dalla Corte suprema e la
sospensione immediata di dieci funzionari, compreso il presidente
dell’Ibama Eduardo Bim, responsabile di aver sospeso l’obbligatorietà
dell’autorizzazione dell’organismo all’esportazione di legname.
Un’operazione,
quella della polizia federale, che ha preso il nome di una divinità
degli indigeni arara, Akuanduba, suonatrice di flauto con il compito di
riportare armonia nel mondo. Ma quanto tale compito appaia oggi
proibitivo in Brasile lo indica anche la denuncia di Survival
International relativa al progetto governativo di aprire le terre di
alcuni popoli incontattati a uno sfruttamento dalle conseguenze letali,
abolendo le ordinanze d’emergenza che attualmente proteggono i loro
territori da trafficanti di legname, imprenditori agricoli e
accaparratori di terra. Un piano che, secondo gli esperti, potrebbe
causare l’estinzione di diversi popoli incontattati e la distruzione di
circa un milione di ettari di foresta pluviale, un’area pari a tre volte
la Valle D’Aosta.