venerdì 4 giugno 2021

IL LIBRO HA UNA LUNGA STORIA ALLE SPALLE

Senza chiedere permesso”

 

Il libro che pochi mesi fa è stato pubblicato ha una lunga storia alle spalle. Nei giorni 19- 20 gennaio 2001 Franco Barbero nella due giorni di spiritualità su “Amore e libertà: gay e lesbiche in cammino nella chiesa e nella società” svolse una densa relazione che qui riportiamo e che fu pubblicata nei quaderni di Viottoli a Pinerolo.

È quindi necessario e utile vedere come questo nuovo libro abbia alle spalle un lungo cammino ed una profonda riflessione biblica e culturale.

Riportiamo qui la relazione. Vi invito a leggere tutto il piccolo libro “Senza chiedere permesso” che potete trovare a Pinerolo, a Piossasco, a Chieri sabato 5 alle 10. 


SENZA CHIEDERE IL PERMESSO”

Questa serata si collega idealmente non soltanto a quanto veniva ricordato nella presentazione, ma anche all'impegno che, nei giorni del Gay Pride del luglio scorso, assumemmo come comunità cristiana di base e come associazione Viottoli di proseguire la riflessione nella nostra realtà locale.

Perché questa assemblea pubblica?

Perché questa assemblea pubblica indetta da una comunità cristiana? Perché come uomini e donne, come cristiani/e, in forza della nostra umanità e della nostra fede, siamo convinti/e che ognuno/a abbia il diritto di essere se stesso/a nella pace, nell'amore e nella libertà, qualunque sia la sua identità affettiva e sessuale, culturale, religiosa, etnica.

Qui in particolare vogliamo, nel contesto di tutte le lotte per i diritti civili, ”partire dal riconoscimento del diritto di identità sessuale come momento costitutivo della personalità”, come dice Stefano Rodotà, sapendo che dire e vivere queste cose "è una buona azione civile in una situazione che non è per niente civile” (1).

La bellezza della nostra fede ci orienta a lavorare per una chiesa plurale in cui non sia permessa nessuna dittatura teologica né alcuna prassi ecclesiastica che impediscano alle comunità e alle singole persone, nel confronto costante tra esperienze e voci diverse, di esprimersi liberamente. La libertà gioiosa e responsabile dei figli e delle figlie di Dio rappresenta un connotato essenziale della nostra fede.

Ora nelle chiese cristiane, senza per nulla coltivare illusioni, è in atto un cammino irreversibile di cui sono protagonisti i gay e le lesbiche credenti. Il vento di Dio non può essere fermato né da documenti colpevolizzanti né da interventi repressivi.

Anche se il papa ha visto una ”profanazione" nel Gay Pride e monsignor Maggiolini un "marciume"(La Repubblica, 11 luglio 2000, pag. 1 7), anche se il cardinale Sodano in questi giorni lo ha definito una ”macchia sul Giubileo", quell'evento ha scatenato libertà e coraggio in tante persone, ha creato comunione profonda e visibilità reale. D

Detto senza ombra di polemica, non poteva essere più grave il commento dell'arcivescovo di Torino, all'inizio degli incontri su ”religioni e omosessualità” organizzati nel Comune di Torino dal gruppo consiliare Verdi; “La questione riguarda una minoranza; parlarne è in un certo senso reclamizzare un problema che andrebbe circoscritto” (La Stampa, 12 gennaio 2001).

Noi ci muoviamo in direzione diversa. Il discorso pubblico, aperto, esplicito e motivato ha in sé una portata positiva, conferisce dignità, favorisce le persone e l'affermazione dei diritti.

È tempo infatti di dire apertamente che l'inconciliabilità tra esperienza omosessuale e lesbica e vita autenticamente cristiana è un pregiudizio, un oltraggio alle persone, una affermazione teologica che si può motivatamente e tranquillamente contrastare e rifiutare, una discriminazione inaccettabile, una bruttificazione della fede.

Molti gay e molte lesbiche sono cristiani e cattolici né più né meno degli eterosessuali, possono vivere il loro amore senza sensi di colpa e partecipare a pieno titolo a tutta la vita della comunità cristiana. E voglio aggiungere che le lesbiche ed i gay, qualora lo desiderino e lo richiedano per motivi di fede, hanno il diritto di celebrare festosamente la loro unione d'amore nella comunità cristiana (Se non è ius conditum è ius condendum), La comunità cristiana di base di Pinerolo e altre comunità cristiane non vedono in questa scelta nulla di straordinario o di contrario all’evangelo di Gesù e continueranno a farlo nelle modalità concordate con i/le celebranti. ln questi anni sarà fondamentale la dimensione ecumenica, interreligiosa delle nostre ricerche e delle nostre prassi (2).

Ci sarà una strada” (Isaia 19)

Uscire dalla comoda terra di nessuno e investire con coraggio nella speranza e nella lotta, con amore nonviolento, è il cammino in cui non possiamo perdere tempo nel leccarci le ferite o nelle sterili polemiche. Le strade si aprono e si percorrono solo insieme: credenti, non credenti, gay, lesbiche, eterosessuali, transessuali e quanti altri/e credono nell'amore e nella libertà che è fatta di convivialità delle differenze.

Mi risuona alla mente un passo biblico del profeta Isaia che da molti anni mi scalda il cuore e inumidisce i miei occhi di commozione ogni volta che lo rileggo:

In quel giorno ci sarà una strada dall'Egitto versa l'Assiria;

l'Assiro andrà in Egitto e l'Egiziano in Assiria;

gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri.

In quel giorno Israele sarà il terzo con l'Egitto e l'Assiria,

una benedizione in mezzo alla terra.

Li benedirà il Signore delle schiere angeliche:

Benedetto sia l’Egiziano, mio popolo, l’

Assiro, opera delle mie mani,

e Israele, mia eredità” (Isaia 19, 23-25).

Pensate: siamo ad alcuni secoli avanti Cristo. Qui vengono citali, dall’appassionato profeta di Israele, tre irriducibili nemici: l'Egitto, l'Assiria e Israele. Ma che Cosa esprime questo passo?

Si annuncia un tempo in cui anche questi acerrimi nemici si cercheranno nella pace: uno prenderà la strada che porta all'altro, senza rinunciare ad essere se stesso. In questo modo diventeranno una benedizione sulla terra perché l’Egitto è "mio popolo", l'Assiria “opera delle mie mani", Israele "mia eredita". Mi viene in mente la novella dei tre anelli di Boccaccio.

Il paradosso è davvero provocatorio: se si accordano i più scatenati nemici, come possiamo noi - che siamo tutti e tutte semplicemente uomini e donne e, nel linguaggio della fede, creature - non trovare la strada?

Forse che, nel cammino della vita, gay, lesbiche ed eterosessuali non cerchiamo gli stessi sentieri di amore, di giustizia, di tenerezza, di felicità? Non cerchiamo forse tutti/e un mondo dove ci si accolga gli uni le altre, dove ci sia più ”posto" per ogni persona e meno egoismo?

Il giorno s'avvicina

Lasciatemi prendere la libertà di parafrasare midrashicamente (e un po' troppo liberamente) questo suggestivo e meraviglioso testo biblico:

"In quel giorno ormai all'aurora

ci sarà una strada aperta, spaziosa:

in essa cammineremo,

ora cantando ed abbracciandosi,

ora stringendosi le mani,

guardandosi limpidamente negli occhi

eterosessuali, gay, lesbiche, transessuali.

Gli uni andranno verso le altre

chiamandosi per nome.

Nessuno fuggirà a nascondersi.

In quel giorno ormai vicino

- ma forse anche un po' lontano -

omosessuali, lesbiche ed eterosessuali

saranno insieme una benedizione

per tutto il mondo.

In quel giorno si dirà:

ma perché non abbiamo capita prima

che gli omosessuali sono popolo di Dio,

le lesbiche opera delle Sue mani e

gli eterosessuali Sua eredità?”.

Questo linguaggio della fede, che non esclude per nulla altri linguaggi, è un pressante invito, storico e non ingenuo, a superare le barriere del pregiudizio, dell'arroganza, della gerarchizzazione e della discriminazione.

Avanti senza bussare

Ma perché le nostre strade diventino comunicanti occorre, a mio avviso, evitare una trappola. Occorre evitare di chiedere permesso, di chiedere l'autorizzazione e la benedizione alla “chiesa del bussate e vi sarà chiuso".

Finché gay e lesbiche, divorziati/e, separati/e, conviventi, oppure preti che incontrano un amore continueranno a chiedere il permesso di vivere le proprie esperienze alla chiesa-gerarchia, forse non nascerà molto di nuovo. Continuare a bussare alla porta della chiesa-gerarchia per chiedere di entrare e per ottenere almeno un posticino all'ombra ad occhi bassi e tenendo il fiato per non disturbare nessuno, significa bussare alla porta sbagliata e compiere un’operazione da schiavi/e.

In tal caso, continuando a chiedere il patentino alle gerarchie, siamo noi che non abbiamo liberato la nostra coscienza e, anziché praticare un dignitoso confronto, ricadiamo nella grave malattia dell’obbedienza ecclesiastica a qualunque prezzo.

La porta della chiesa cristiana è aperta da Dio, come ci ha insegnato Gesù: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Matteo 7,7-8).

Se vogliamo usare questa metafora della porta, dobbiamo ricordarci che l'unica porta alla quale i credenti devono bussare è la porta di Dio.

Vorrei citare un passo della rivista Qôl (3): ”Grazie Ratzinger, grazie Biffi, grazie Sodano, grazie vescovi... ci avete confermato l’appartenenza della gerarchia cattolica italiana e vaticana odierna, nella sua stragrande maggioranza almeno, a quella chiesa del ”bussate e vi sarà chiuso", alla quale siamo attualmente, e con l’aiuto di Dio speriamo anche di essere in futuro, totalmente irriducibili”. Oggi abbiamo da "fare cose più serie che non il perdere tempo rincorrendo un insegnamento sconfortante nella sua forma, odioso nella sua sostanza, ridicolo nei suoi riferimenti teologici e culturali, tragicamente perdente sul piano storico” (Idem).

Ecco perché ha sempre più senso il nostro “esserci” nelle chiese cristiane senza ridurci al pensiero dominante. Ecco perché una presenza dialogica, disobbediente in norne dell'obbedienza al Vangelo,...è sempre più feconda e non cede alla tentazione di mettersi da parte.

Forse, ripensando alle varie teologie femministe e alle varie teologie della liberazione, ci accorgiamo che i frutti migliori sono cresciuti là dove ci si è presi il permesso (la gioia ed il coraggio) di non chiedere più il permesso, ma di riflettere e agire dentro le chiese in vera libertà.

Credo che umiltà ed audacia possano accompagnarsi: possiamo tenere i cuori vicini anche se le nostre idee sono lontane. Anche questo è un modo ”amoroso" di stare nella società e nelle nostre chiese.

Proprio in questi giorni, mentre noi partecipiamo a questo incontro, a Roma viene diffuso e presentato il volume che abbiamo scritto a più mani “Il posto dell’altro. Le persone omosessuali nelle chiese cristiane” (Ed. La Meridiana). Come movimento “Noi siamo chiesa” e come comunità cristiane di base porteremo questo stesso dibattito (4) in molte realtà locali e ovunque cercheremo il confronto perché crescano amore e libertà nel mondo e nelle chiese.

Franco Barbero

NOTE

(1) EZIO MENZIONE, Diritti omosessuali, edizioni Enola, Roma 2000, pagg. 128, £.20.000.

(2) La rivista Viottoli pubblicherà presto una di queste celebrazioni. È fondamentale ricordare che le chiese protestanti e l'ebraismo della diaspora in questi anni hanno vissuto e vivono un fecondo dibattito su questo terreno. Molto significative le ricerche, le iniziative e l’impegno delle comunità valdesi e del Centro ecumenico di Agape.

(3) Si tratta di Qôl 88, rivista di dialogo ebraico - cristiano che si riferisce in particolare alla chiusura delle gerarchie cattoliche su molti terreni.

(4) Ho svolto il tema "Senza chiedere il permesso" nei miei due ultimi libri: "Il giubileo di ogni giorno” e “Il dono dello smarrimento”.