sabato 5 giugno 2021

L'IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA

 Sentirsi come Ludovica

di Michela Marzano

Chi, come me, è di sesso e d’identità femminile (ossia: femmina e donna) e di orientamento eterosessuale, non può che entrarci in punta di piedi nel mondo di una persona trans come Ludovica. Anche semplicemente perché non ho vissuto sulla mia pelle lo sguardo perso di un padre che osserva attonito il figlio mentre gioca con le bambole, invece di appassionarsi al football, oppure di una madre che vede una femminuccia trasformarsi in ragazzo.

Per me, tutto è sempre stato facile: sono cresciuta consapevole del mio essere bambina, poi ragazza, quindi donna; sono sempre stata attirata dai bambini, poi dai ragazzi, quindi dagli uomini. Non sono stata io a deciderlo.

Le cose sono semplicemente andate così. Cosa sarebbe successo, però, se mi fossi pian piano resa conto di essere attirata dalle bambine? E se io stessa mi fossi sentita un bambino? Avrei pensato di essere sbagliata o folle? Come avrei reagito se, invece di avere dei genitori come quelli di Ludovica, avessi avuto alle spalle una famiglia ostile e incapace di accettarmi?

Se inizio con questa lunga premessa, è perché nessuno sa ancora con esattezza — nonostante le ipotesi e le ricerche — perché accada che un maschietto (o una femminuccia) possa sentirsi una bambina (o un bambino). E quando dico "sentirsi", non intendo fare i capricci oppure avere voglia.

Sentirsi, vuol dire percepire profondamente, precocemente e in maniera duratura il fatto di essere uomo o donna. Sentirsi, vuol dire non poter vivere diversamente, sebbene il corpo dica altro, fino a diventare una prigione dalla quale non si vede l’ora di evadere.

Esattamente come l’orientamento sessuale, anche l’identità di genere non è mai una scelta. Purtroppo, avrei voglia di aggiungere, ripensando all’ultima discussione avuta con un mio studente: «Se avessi potuto scegliere, sarei stato eterosessuale, professoressa! Chi vorrebbe essere gay in un mondo in cui, se cammini per strada mano nella mano con il tuo ragazzo, rischi ancora di essere aggredito o insultato?». Purtroppo, ripeto. 

Pensando al mio incontro con Natacha Taurisson, una donna trans, e al suo lungo percorso di riassegnazione: «Sai che cosa mi fa soffrire ancora tanto? La voce. Quando telefono a qualcuno, e la persona all’altro capo del filo mi chiama Signor Taurisson, è come se ricevessi una pugnalata».

Per la maggior parte di noi, esiste una continuità tra il sesso e il genere. Chi nasce femmina è donna. Chi nasce maschio è uomo. E se una persona, invece, nasce femmina ma è uomo, oppure nasce maschio ma è donna? Gli ultimi dati suggeriscono che la percentuale di popolazione mondiale transgender oscilla tra lo 0,5 e 1,2%. E allora?

Cosa vogliamo fare? Impedire a queste persone di essere ciò che sono? Costringerli a vivere una vita inautentica?

Per molto tempo, è quello che si è fatto. Disinteressandosi del dolore di queste persone, nonostante sia talvolta così grande da spingerne molte al suicidio. E quindi? Siccome c’è chi ha sofferto allora dobbiamo accettare che i nostri figli si sveglino una mattina e decidano di essere donne, pur essendo maschi?

Ma il punto è proprio questo: nessun ragazzo si sveglia una mattina e dice di essere una ragazza; chi rivendica di appartenere a un genere diverso dal proprio sesso, lo fa perché è da sempre — cioè da quando ha consapevolezza di sé — che si vive come appartenente all’altro genere.

Credo sia opportuno ribadirlo in un momento delicato come l’attuale, visto che l’approvazione del ddl Zan ha riaperto molte polemiche. Con messaggi che, talvolta, spaventano giustamente molti genitori. «D’ora in poi, si racconterà la fiaba della principessa col pisello», dicono alcuni. «D’ora in poi, nelle competizioni sportive femminili ci saranno anche i maschi», dicono altri. 

Se fosse davvero così, sarei spaventata pure io. Lo scopo della legge contro l’omotransfobia, però, non è quello di creare confusione, ma — soprattutto nella parte consacrata alla prevenzione — combattere contro gli stereotipi e insegnare a tutti e a tutte il rispetto di chiunque. Tanto più che, nelle competizioni sportive, i controlli del tasso di testosterone sono estremamente rigidi. E per quanto riguarda le fiabe, chi di noi è stato rovinato da Lady Oscar, il cartone animato in cui la bimba viene chiamata e cresciuta come un uomo da un padre che avrebbe voluto avere un figlio maschio? La realtà è spesso diversa da come viene presentata. Talvolta più complessa, perché piena di sfumature. Ma talvolta anche più semplice, come nel caso del ddl Zan che, in fondo, cerca solo di costruire una società più giusta.

La Repubblica, 4 giugno