martedì 20 luglio 2021

LA SUPREMAZIA DELL'IO SUL NOI

 IO IO IO

«Ma non parliamo più di me. Tu, piuttosto. come mi trovi?», mi ha detto un amico.

Non ci vedevamo da molto, abbiamo riso moltissimo. Il mio amico fa lo psichiatra, lavora in comunità di pazienti molto difficili, alcuni dei quali hanno commesso reati gravi e - mi ha raccontato - sono un impegno che non prevede il sonno. Eppure quando è arrivato all’appuntamento, sorridente, non ha sentito il bisogno di esordire raccontandomi per filo e per segno le difficoltà, le sofferenze, gli innumerevoli problemi che senz’altro deve affrontare ogni giorno, come tutti, non solo sul lavoro.

Mi ha detto, invece: “Non trovi noiosissimo che tutti parlino solo di sé?». Mi ha riferito quella battuta, e abbiamo stilato liste di conoscenti comuni che parlano solo di sé, abbiamo convenuto che anche noi probabilmente di tanto in tanto lo facciamo, specie con le persone più intime che sono anche le destinatarie dei nostri sfoghi, per una distribuzione ingiusta dei destini. E che insomma, un po’ può essere che l’argomento di conversazione più interessante al mondo sia, per ciascuno, se stesso, ma che esiste anche la possibilità di esplorare le vite degli altri, avvincenti almeno quanto le nostre, o altrettanto noiose.

Quando è che abbiamo smesso di farlo, collettivamente, ci siamo chiesti? Perché c’è stata una stagione della nostra giovinezza in cui nessuno di noi aveva a cuore se stesso più del resto del mondo, non ci importava di far sapere in pubblico quanto fossimo infelici in amore, maltrattati in famiglia, non capiti, sottostimati. Ci importava di fare cose che cambiassero le cose, per gli altri e dunque per tutti. Ci siamo un po’ attardati sulle passioni giovanili, che certo sono sempre passeggere, e non importa quando vai a salvare il mondo se tuo padre non ha alimentato la tua autostima o se il tuo ragazzo vede un’altra. Hai altro da fare, sei concentrato. Poi magari la sera, con gli intimi, allora sì. Ma deve essere successo a un certo punto che le vicende personali, il proprio sentimento di sé, sia diventato centrale non solo per la nostra generazione, ma per tutti. Sarà stata la tv dell’amore e del dolore? Sarà stato l’Internet? Le foto su Instagram, la reputazione da difendere. No, diceva il mio amico psichiatra. Quelle sono conseguenze, non cause.

Sono la manifestazione evidente di quel che è successo tutto attorno: seguono gli umori, le serie tv i video hit su TikTok, non li suscitano. O meglio: in qualche raro caso li anticipano, ma sono già nell’aria.

La centralità dell’individuo, si direbbe se fosse un saggio: la supremazia dell’io sul noi. L’impoverimento del senso di comunità. Ci siamo rimessi a scherzare raccontandoci aneddoti, lui diceva di quanti ragazzi usano i termini di patologie cliniche nel dialogo ordinario, per indicare un momento di tristezza, una paura: che ansia, sei depresso, mi sta salendo una crisi di panico. Va forte anche “narciso”, in classi d’età un po’ più alte. Non ancora quanto gli altri termini, ma sale: narcisista, per dire egocentrico. O egoista. O indifferente ai sentimenti altrui e occupato a scandagliare i propri. Magari nell’uso quotidiano di termini clinici c’è qualcosa che dobbiamo finire di capire. Da dove vengono e dove portano tutti questi: Ciao, come sto?

Concita De Gregorio, D 10 luglio 2021