DA CRISTO RE AD UNA CHIESA REGINA
Giovanni
18,33 - 37
Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù
e gli disse: "Tu sei il re dei Giudei?". Gesù rispose:
"Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio
conto?". Pilato rispose: "Sono io forse Giudeo? La tua
gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai
fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo
mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori
avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il
mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Dunque
tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per
questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere
testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia
voce".
Una costruzione letteraria
Questa pagina del Vangelo, con questo dialogo tra Gesù e Pilato, è una costruzione letteraria e teologica, particolarmente elaborata nel Vangelo di Giovanni, che registra la fede della comunità e le convinzioni dei primi discepoli e discepole di Gesù. Ovviamente nessun cronista era presente e nessuno può sapere se dietro questo racconto sia avvenuto un dialogo e quale dialogo tra Gesù e Pilato. E' probabile, secondo i più rigorosi studi storici e biblici, che Gesù come profeta apocalittico abbia alimentato l'illusione di un imminente intervento di Dio in chiave messianico - regale.
In ogni caso questa pagina del Vangelo spesso viene letta come una cronaca e così la gerarchia ha la pretesa di ricavare da una citazione biblica un universo teologico.
Origine
della festa di Cristo Re
La
liturgia cattolica ritaglia oggi per la meditazione questi pochi
versetti perché in questa domenica in tutte le eucarestie viene
celebrata la "Festa del Cristo Re".
Come si possa
fondare su questi versetti biblici una certa concezione della
"regalità" di Gesù è uno dei tanti "misteri"
cattolici che forse possiamo tentare di "svelare".
Ma
quando e come nacque nella chiesa cattolica la festa di Cristo
Re?
L'iniziativa è assai recente.
Nel 1925, in un momento in
cui la cultura, la politica e le masse stavano prendendo distanza
dal fenomeno e dal potere religioso, il Papa Pio XI volle affermare
"l'universale sovranità di Cristo in tutti i settori"
della vita e della storia anche istituendo la festa di Cristo
Re.
Con questa festività religiosa il Papa volle allora
esprimere il suo totale disaccordo dal profilarsi di una realtà
statuale che non riconoscesse la sovranità della chiesa, sposa di
Cristo Re. Egli, anche con questa riaffermazione della centralità e
sovranità di Cristo, si preparava a stipulare da posizione forte -
come poi avvenne - i "Patti lateranensi e il Concordato tra
stato italiano e chiesa" con Benito Mussolini nel 1929.
Conoscenza
storica illuminante
Ovviamente
questa festa è stata soprattutto ripresa e rilanciata da papi come
Pio XII e Giovanni Paolo II perché si presta particolarmente a dare
forza e prestigio alla chiesa cattolica. Se Cristo è "Re
universale", la chiesa acquisisce e gestisce nel suo nome un
"potere universale", una posizione regale che la colloca
oltre e sopra tutti i poteri di questo mondo. Per una chiesa che ha
un'anima imperiale non è poco poter "legittimare" in
questo modo questo suo stile.
E' utile e liberante conoscere
questi retroscena che ci forniscono una diversa chiave di
lettura.
Sovente l'appiattimento sul presente, senza la
conoscenza dei percorsi storici, ci priva di elementi preziosi per
una attenta valutazione di fatti ed eventi e dei loro significati.
Chi non conosce il formarsi storico, l'evoluzione del linguaggio
attraverso i secoli e ignora ciò che sta dietro a certe
formulazioni dogmatiche o a talune costrizioni devozionali, per
ingenuità può pensare che Gesù abbia voluto un papa, abbia
inventato la confessione, abbia deciso il celibato obbligatorio dei
preti, abbia istituito i 7 sacramenti, abbia estromesso le donne dal
ministero, abbia detto che sua madre era vergine...Tutte cose che il
Gesù storico non ha mai nemmeno sognato. I dogmi e le dottrine non
sono la fede. Spesso sono i più grandi ostacoli a credere (Ortensio
Da Spinetoli e Tillich....).
Il discorso al riguardo sarebbe
lunghissimo.
Gesù
senza trionfalismi
Ma,
se torniamo alla pagina evangelica, anche oggi essa riscalda il
nostro cuore. Gesù, in quella sovrana libertà che Dio gli ha dato,
non si lascia ingabbiare in una definizione, non si lascia attrarre
da un titolo glorioso. La polvere imperiale non si è depositata su
Gesù. Egli ha percorso le strade della Palestina e ha vissuto
l'incontro con le persone (quelle che nei palazzi dei grandi non
vengono solitamente ascoltate) come un fratello, un "servitore",
un profeta, un testimone dell'amore di Dio.
"Cristo Re"
è un immaginario che è l'opposto di Gesù di Nazareth: "sono
in mezzo a voi come colui che serve" (Luca 22,27). "Il
figlio dell'uomo, ci attesta Matteo 20,28, non è venuto per essere
servito, ma per servire". E quante "lezioni" Geù
impartì ai suoi discepoli che spesso erano tentati di comportarsi
come i "capi di questo mondo". Egli, il maestro che lava i
piedi, non ha ceduto di un palmo alla tentazione del trionfalismo,
della carriera, del potere.
Ma c'è di più. Il Vangelo di
Giovanni, dopo la narrazione del segno della condivisione dei pani e
dei pesci, dice che "Gesù, saputo che stavano per venire e
rapirlo per farlo re, si ritirò nuovamente sul monte da solo"
(6,15). Anziché approfittare del momento di entusiasmo popolare, si
sottrasse.
Dio
e i poveri
Per
Gesù esiste un solo regno col quale si identifica, al quale
aderisce con tutto il cuore. Il "suo" regno è il
compimento della volontà del Padre, di "Colui che lo ha
mandato". Gesù vive totalmente in riferimento a questa realtà.
Il teologo cattolico E. Schillebeeckx dice che Gesù traspone
sistematicamente l'epicentro della sua vita in direzione di Dio.
Egli, anzi, con la predicazione, con l'esempio della sua vita, con
l'insegnamento delle parabole non è semplicemente un maestro che
parla di Dio, ma il testimone che cerca di coinvolgere chi lo
ascolta perché si affidi all'azione di Dio. Questo orientamento
totale della vita di Gesù, questa sua radicale disponibilità alla
volontà di Dio, ne fanno per noi il testimone per eccellenza del
suo regno.
Le nostre chiese rischiano proprio di predicare se
stesse, di occuparsi della propria immagine, presenza ed efficienza,
del loro castello istituzionale e dogmatico. Siamo davvero esposti
anche noi, tutti noi, a occuparci d'altro rispetto al "regno di
Dio".
Una
compagnia solidale
Il
richiamo di Gesù, la puntualizzazione che egli rivolge a Pilato,
il suo vivere per rendere "testimonianza alla verità"
sono parole che possono andare diritte al mio, al nostro cuore.
Il
senso della nostra fede ha forse il suo centro qui: essere vivi e
presenti nel mondo, partecipare alle vicende "mondane" con
le nostre responsabilità e con i nostri "talenti"
cercando, come singole e come comunità, di testimoniare, cioè di
operare in conformità alla sequela di Gesù senza strombazzamenti,
senza imporre vernici cristiane, senza grandi comparse, ma anche
senza fuggire dall'impegno.
Gesù ha vissuto in pubblico senza
farsi pubblicità.
Proprio sulla strada di Gesù, alla sua
scuola, dobbiamo imparare come singole persone e come chiese un
diverso stile di vita e di presenza nel mondo.
Ma, se siamo
attenti/e ai segni dei tempi, al grido di Dio che si esprime in
tante voci umane, se prestiamo ascolto alla testimonianza delle
Scritture, se teniamo il nostro sguardo fisso sul Gesù storico e
sulle sue scelte di vita, non avremo difficoltà a vedere quali sono
le priorità e gli spazi in cui collocare e seminare amore, impegno,
fiducia.
L'altra
dimensione
Detto
questo, per me regno di Dio significa anche interiorità, capacità
di trasformare i nostri cuori, di nutrirli, di "collegarli"
alla sorgente che è Dio. Si tratta, a mio avviso, di svestirci
delle superficialità, di riscoprire il cammino della preghiera,
della meditazione personale, del silenzio profondo. Se non nutriamo
le radici, l'albero secca.
Senza nutrimento interiore le parole
diventano chiacchiere e l'azione diventa attivismo.
Quando c'è
interiorità e calore interiore tutto acquista un significato
diverso. Perché Dio "regni nei nostri cuori" riscopriamo
il valore dello stare in silenzio, di riaprire una pagina del
vangelo, di ascoltare un racconto di sapienza, di fare un po'di
vuoto, di contemplare un fiore, guardare il cielo, deporre un po' di
fretta.....
Mentre già s'avverte nell'aria e compare nelle
vetrine il frastuono del mercato natalizio, questo affannarsi dietro
al nulla, propongo a me e a te una cosa semplice: prendiamoci
l'impegno di creare dentro la nostra vita quotidiana tanti momenti
di pausa, di silenzio, di ascolto, di interruzione.
Questo è
collirio per i nostri occhi, miele per la nostra bocca, pace per i
nostri cuori perché la vita non diventi un correre dietro al vento.
Ti
benedico, o Dio
perché nella mia vita troppo affannata mi hai sempre regalato, tra una
corsa e l'altra, momenti di pausa, di preghiera, di pace.
Tu sei
per me il "silenzio che parla", il pozzo verso il quale
muovo i miei passi, la sapienza che bussa alla porta del mio
cuore.
Tu mi hai sempre fatto incontrare delle persone in cui ho
visto brillare un raggio della Tua luce e del Tuo calore, vite
semplici dal sapore dell'autenticità con cui ho potuto umilmente
scambiare pensieri, esperienze, frammenti di saggezza.
Nella mia
piccolezza di creatura accolgo fin dal profondo delle mie viscere il
mistero della Tua sottile presenza.
E Ti dico GRAZIE.