18-11-2021 Giulia Cerino
Volerelaluna
Questa
è la storia di un prete reazionario no vax e di una rete di decine
di migliaia di cattolici ultraconservatori che, in nome di Dio,
stanno conducendo una crociata contro il vaccino anti-Covid.
Siamo
a San Giuseppe a Capo le Case, nel rione Colonna, a Roma. Una delle
poche chiese della città dove, in barba al distanziamento sociale,
si può ancora fare la comunione ricevendo l’ostia direttamente
dalle mani del sacerdote in bocca. La facciata di San Giuseppe si
erge sul cocuzzolo della storica via da cui prende il nome e alla
chiesa si accede da una doppia scalinata settecentesca che riproduce
in piccolo quella del Laterano. San Giuseppe ha per la comunità di
fedeli che la frequenta un significato esclusivo.
Qui – e in
rari altri luoghi di Roma – si conserva la celebrazione del rito
antico della messa tradizionale in latino, destinato ai pochi in
grado di apprezzarne il valore. La celebrazione si ripete ogni
domenica alle undici. Mi siedo su una panca di legno accanto a un
gruppo di donne che partecipano alla messa di oggi. Hanno il capo
coperto con dei foulard bianchi o neri lavorati all’uncinetto, le
mani giunte dietro la schiena e hanno sguardi
caritatevoli.
Bisbigliano ripetendo i passi delle letture o
rispondendo con una cantilena alle parole pronunciate sempre in
latino dal prete. Sul pulpito, a celebrare la messa tradizionale,
come ogni domenica, c’è lui: Don Giorgio Ghio, il sacerdote
responsabile. Nato nel 1964, ordinato nel 1995, don Giorgio è a
detta dei presenti «una persona garbata, colta e di grande
spiritualità». Da qui dice messa in latino secondo l’antico rito:
guardando l’altare e dando le spalle ai fedeli. Vestito di bianco
con il copricapo nero, il sacerdote punta alle coscienze dei membri
della sua comunità quando sostiene che «il vaccino anti-Covid va
contro la morale perché è un farmaco che è stato prodotto e
testato su cellule che hanno avuto a che fare con feti abortiti nel
novecento». A dispetto della linea ufficiale della Congregazione
della Chiesa per la quale «vaccinarsi è un atto d’amore e non c’è
nulla d’immorale», don Giorgio diffonde nella sua parrocchia un
messaggio opposto: «Vaccinarsi è peccato» quindi «disubbidire è
lecito».
Durante la messa, pochi indossano la mascherina. Chiedo
a un signore seduto vicino se posso levarla anch’io. Con grande
naturalezza mi risponde che «qui dentro si può scegliere». Perché
«le regole le decide la comunità». E non lo Stato italiano. Posso
fare come mi pare quindi, come d’altra parte ha già fatto il
signore inginocchiato sulla panca alla mia destra. Porta una fede
d’oro spessa, stretta intorno al dito gonfio. La noto perché
durante la messa si batte con forza il pugno contro il petto facendo
il mea culpa contenuto nell’Atto di dolore. Scoprirò poi che ha
due figlie femmine, inginocchiate accanto a lui, e che «per colpa
del green pass» ha perso il lavoro perché «io il vaccino non me lo
faccio». Il signore era alla manifestazione no vax a Roma con Forza
Nuova. Lì con la sua famiglia ha «inscenato un esorcismo intorno a
Palazzo Chigi dove si è insediato il diavolo».
Tra le persone
presenti alla messa di oggi c’è anche chi arriva da fuori Roma.
Ogni domenica partono da Prima Porta, da Acilia, da Viterbo perché
«la celebrazione come si deve in forma tradizionale e in latino non
la trovi da tutte le parti». Una ragazza spiega che l’esodo «è
cominciato con il lockdown, quando alcuni sacerdoti pur di rispettare
le norme anti-Covid hanno cominciato a usare i guanti di plastica! Ma
le pare normale?». Infine, è successo che alcuni abbiano anche
deciso d’ invitare i fedeli della propria parrocchia a mettere la
mascherina durante la messa e aderire alla campagna vaccinale.
Apriti
cielo. Tra i cattolici più intransigenti il rispetto delle norme
anti-Covid “imposte” dallo Stato è stato ritenuto inaccettabile
perché «comporta stravolgere il rituale tradizionale della messa e
piegare la dottrina della fede a leggi e norme terrene». Così, in
parecchi hanno deciso di abbandonare la propria parrocchia e, cerca
cerca, si sono ritrovati qui: nella comunità di San Giuseppe a Capo
le case.
Sono le 11.30. II rito in latino è terminato. Dentro c’è
ancora chi aspetta il suo turno per fare la confessione. Don Giorgio
lancia un ultimo messaggio alla comunità prima di mandarla in pace.
In italiano e rivolto verso di noi questa volta, incita gli «afflitti
dall’assedio» a «modificare le proprie abitudini in modo da non
cedere alla pressione illegittima dello Stato».
Per diffondere il
verbo, don Giorgio usa anche i social. Le sue omelie sono diffuse su
un canale Telegram apposito seguito da duecento ottanta persone.
Nell’ambiente, si vocifera che il sacerdote si è fatto conoscere
anche attraverso un blog: La scure di Elia, dove per Elia
s’intenderebbe – secondo una fonte ritenuta attendibile e poi
contro-verificata – don Giorgio, celato dietro a uno pseudonimo.
Elia esorta i suoi «a combattere col Rosario e con i mezzi umani a
vostra disposizione». In molti gli chiedono consigli o si lamentano:
«Non ce la faccio più a seguire la messa», scrive un utente,
«perché non accetto che mi si dia l’ostia nelle mani e non in
bocca. Lo ritengo un sacrilegio. Abito a Catania e non so a chi
rivolgermi essendo già stato rimproverato da parecchi parroci».
«Avrebbe indicazioni su buoni sacerdoti non allineati nella zona di
Palermo?», gli chiede un altro. II 23 ottobre, su La scure di Elia
appare un post intitolato “Consigli per la lotta”. Nel testo si
legge che «se i cittadini sono aggrediti da coloro che dovrebbero
proteggerli […] – è del tutto legittimo attuare la
legittima difesa servendosi per esempio di vaporizzatori al
peperoncino, […] o in caso di estremo pericolo taniche di benzina
da incendiare sulla strada per fare barriera. A’ la guerre comme à
la guerre». Insomma, una chiamata alle armi. Alla quale ha risposto
una frangia reazionaria di cattolici tradizionalisti appartenenti a
una certa area ratzingeriana, ma anche esuli di Comunione e
liberazione e di parte del movimento pro-life. In comune hanno la
loro fedeltà all’antico rito della messa tradizionale in latino ma
soprattutto sono in polemica con il papato di Francesco considerato
troppo “dialogante” e “poco attento alle liturgie”.
Clero
no vax Decido di andare a trovare don Ghio di persona per avere un
colloquio e capire di più sulla sua comunità. E venerdì
pomeriggio, siamo in sagrestia. Mi fingo una cattolica praticante,
dubbiosa se vaccinarmi o no e gli chiedo un consiglio. «Buongiorno
don Ghio… vengo perché ho un dilemma in famiglia: mia mamma non si
vuole vaccinare, io invece sono ancora indecisa».
«Non è il
Covid che uccide», mi dice. «Sono i vaccini. Sette su dieci
finiscono col decesso». Don Giorgio risponde con pacatezza
disarmante ma, vedendomi un po’ dubbiosa, sente il bisogno
d’aggiungere che ciò che sta dicendo è vero perché glielo ha
detto «un medico del 118». Mi posso fidare, quindi. Chiedo se
consiglia di vaccinare i miei figli. «Ma che scherza…?
Assolutamente no, i bambini non lo prendono il Covid».
«E mia
madre che ha 68 anni suonati?», rilancio preoccupata. «No. E’ una
cosa immorale». «Se è un atto immorale perché Papa Francesco dice
che `vaccinarsi è un atto d’amore’?» «La Congregazione della
Chiesa ammette l’utilizzo del vaccino solo se c’è un grave
pericolo per la salute della persona o se non ci sono altre cure
possibili. Ma in entrambi i casi non è così. Nel caso del Covid le
cure ci sono, eccome».
Eccolo il cuore della tesi no vax di don
Ghio (e come vedremo, non solo la sua): la certezza che «dal Covid
si può guarire». «Chiaramente – mi dice don Giorgio, neanche
fosse un medico – è importante curare i sintomi nelle prime
quarantott’ore»… e ciò si può fare «grazie all’assistenza
di alcuni medici a disposizione dei pazienti h 24 al telefono o per
via telematica». Il sacerdote mi suggerisce di segnare su carta il
nome di una certa organizzazione, lppocrate.org,
che con la telemedicina «fornisce
consulenza per curare il Covid»
e, grazie all’aiuto di alcuni medici associati mi verrà detto
«quali farmaci prendere a casa». A domanda, don Guido specifica che
sì, i dottori d’Ippocrate.org sono «affidabili». Infine, mi
consiglia «con tutto il cuore» di non vaccinarmi e accenna a una
storia inquietante su una certa nanoparticella, «l’ossidio
di grafene, composto di metallo che», dice lui, «ci rende ricettivi
alle onde magnetiche». Il sacerdote mi spiega che “loro”
vogliono sviluppare la telemedicina per curare ad esempio il cancro,
ma «immagina se poi invece di puntare alle cellule cancerogene mi
sparano onde elettromagnetiche sul cuore? Ci possono uccidere a
distanza senza che ce ne accorgiamo».
Prima di salutarci, gli
chiedo se organizza gruppi di preghiera o incontri tra fedeli che la
pensano come lui. Mi dice di sì. Esiste una rete di “cenacoli”,
gruppi di persone che specialmente a Roma, in Emila Romagna e nel
Nord Est d’Italia fanno «un percorso di formazione insieme e
pregano». E tra un Rosario e l’altro poi, come in una comunità a
parte, professano e vivono secondo il credo no vax.
La
telemedicina
Il colloquio è finito. Saluto don Ghio e seguo
il suo consiglio. Cerco su internet i contatti dell’organizzazione
Ippocrate. Trovo sulla homepage una lista con almeno cinquanta nomi
di medici associati. Tra gli altri, il dottor Fabio Burigana,
gastroenterologo, direttore del comitato scientifico di
Ippocrate.org, un’organizzazione con iban collegato a una Banca del
Canton Ticino nata “per caso” da un messaggio WhatsApp inviato da
un cooperante italiano oltreoceano che osannava il miracolo delle
Mauritius Covid-free grazie a idrossiclorochina e plasma. Sul sito
dell’organizzazione si legge che «al fine di ottimizzare il
trattamento domiciliare, l’approccio alla terapia» tiene conto
della progressione della malattia «in 3 stadi, come universalmente
riconosciuto»: Fase 1, fase 2, fase 3 e per ogni fase della malattia
è indicata una cura specifica a base di farmaci. Decido di fingermi
malata di Covid alla Fase 1 (sintomi simil-influenzali). Compilo il
formulario e la liberatoria con cui mi assumo ogni responsabilità.
Invio. Passano dodici ore e ricevo un messaggio vocale WhatsApp da
una gentile dottoressa, la signora Napoletano.
Si presenta e mi
chiede se ho ancora la febbre, se ho la tosse e come mi sto curando?
Le rispondo che ho poca febbre e poca tosse, non ho problemi cardiaci
e credo di essere nella “Fase 1”. Le dico che ho seguito le
istruzioni indicate sul sito d’Ippocrate per curarmi a casa. Da due
giorni sto assumendo l’idrossiclorochina (200 milligrammi mattina e
sera […]». La dottoressa mi chiede se voglio che mi siano
prescritte delle medicine, io le chiedo se è un medico di base e lei
mi dice di no. Le chiedo se vuole essere pagata e risponde nuovamente
di no.
Vive a Torino. È un «medico specialista in oncologia,
agopuntura e omotossicologia», iscritta all’Albo dell’Ordine dei
medici, dice. Per le mie condizioni di salute (valutate su WhatsApp)
suggerisce al posto della tachipirina di «assumere l’aspirina».
Poi, se sono vari giorni che ho la febbre è meglio che io inizi
«l’antibiotico».
La Resistenza
Nel Lazio, oltre a
don Ghio, ci sono altri sacerdoti che nelle loro diocesi diffondono e
difendono la narrativa che «vaccinarsi è immorale». Don Curzio
Nitoglia è uno di essi. Ed è anche tra i pochi ad avere il coraggio
di metterci la faccia pubblicamente. Per questo è amatissimo.
Sacerdote indipendente, vive a Velletri e pubblica i suoi pensieri su
un blog molto seguito. Scrive don Curzio che esisterebbe un «piano
diabolico per sterminare la popolazione» mentre «la causa finale
dei vaccini» è intrinsecamente malvagia, «poiché tende a
cambiare la specie umana com’è stata concepita da Dio e realizzata
dalla natura». I toni usati da don Nitoglia suonano apocalittici
come quelli di certi no vax nostrani ma lui, don Curzio, non è uno
qualsiasi. Almeno, non per la folta comunità che lo segue online e
gli accorda fiducia. Don Nitoglia infatti, come don Giorgio Ghio, è
considerato una persona dotata di grande spiritualità anche al di
fuori della sua parrocchia. Il sacerdote è spesso invitato a
conferenze e dibattiti in cui si discute di etica e morale come
quello del 27 febbraio del 2021 alla quale il sacerdote ha
partecipato insieme con don Ghio sulla «moralità dei feti abortiti
usati nei vaccini». Don Curzio gode di credibilità a tal punto da
figurare tra i membri della “Resistenza cattolica”, la lista di
102 tra sacerdoti e vescovi pubblicata sul sito internet Una Vox in
cui si fanno i nomi e i cognomi dei “resistenti” e cioè di
coloro che in nome della dottrina tradizionale della Chiesa, si
battono contro la modernità, l’immoralità, l’edonismo e il
secolarismo. La “Resistenza” nasce da una spaccatura all’interno
del gruppo dei cattolici conservatori della Fraternità San Pio X,
una società di vita apostolica tradizionalista cattolica fondata a
Friburgo il primo novembre del 1970 dall’arcivescovo Marcel
François Lefebvre.
All’origine della rottura interna alla
Fraternità, ci sarebbe tra le altre cose la grande insofferenza
espressa dalla frangia più integralista molto critica rispetto
all’operato di Papa Francesco «poco attento alla protezione della
messa in latino» e «troppo distante dalla linea della Chiesa
tradizionale».
Con l’approvazione “morale” dell’utilizzo
dei vaccini anti-Covid da parte del Vaticano poi, si è scatenato il
putiferio e una nuova frangia reazionaria ha preso forma all’interno
dello storico gruppo dei conservatori della Fraternità. Nella rete
della “Resistenza” molti sono poi diventati anche no vax
convinti. Non solo don Nitoglia. Clicco sul sito Una Vox alla voce
“consistenza della resistenza nel mondo” e nella lista dei 102
“resistenti” spunta uno fra tutti, il nome dell’ottantenne
britannico Monsieur Richard William-
son che prima di essere
espulso era vescovo della Chiesa cattolica (il Monsignor aveva negato
l’Olocausto. Si è in seguito scusato pubblicamente e ha scontato
la sua pena). Oggi Williamson, scomunicato nel 2012 dalla Fraternità
Pio X, si batte con veemenza per la causa no vax. È lui uno degli
animatori più attivi del sito internet Una Vox su cui pubblica
numerosi post. In uno degli ultimi, Monsignor si espone sostenendo
che «non si è mai trattato di un virus o di salute. Si è sempre
trattato delle élite che carpiscono ogni libertà alle persone per
renderle completamente dipendenti». Accanto a Williamson, a capo
della rete dei cattolici no vax, ci sono anche altri due prelati
autorevoli: l’Arcivescovo ormai in pensione Carlo Maria Viganò e
il vescovo sessantenne in carica dell’Asia centrale Athanasius
Schneider. Eccoli i tre volti a capo della rete dei cattolici no vax.
Grande accusatore di Papa Francesco reo «d’aver coperto alcuni
episodi di pedofilia nella chiesa», Monsignor Viganò si espone
regolarmente contro «il ricatto vaccinale» pubblicando anche lui
lunghi videomessaggi poi rilanciati da Una Vox. Come un leader
politico, dopo la manifestazione dei no green pass a Torino,
Monsignor ha invitato «tutti a unirsi» per «rispondere alle
ingiustizie e alla dittatura imposta dallo Stato».
Dal canto suo,
Schneider è conosciuto come il “vescovo antisistema”. In una
lettera si è rivolto direttamente ai «lavoratori costretti a
scegliere tra mantenere il proprio posto di lavoro e farsi
vaccinare», dicendo loro – come se fosse in una campagna
elettorale – di non mollare perché tra voi «ci sono migliaia e
migliaia di cattolici che hanno il coraggio di scegliere Cristo e che
non getteranno un pizzico d’incenso a Cesare, proprio come i
primissimi cattolici dell’antichità». Per una frangia di
tradizionalisti dissidenti, Schneider e Viganò rappresentano dei
portavoce rumorosi, portatori d’istanze che altrimenti resterebbero
clandestine. I due lavorano molto insieme per sostenere la causa no
vax.
Insieme con don Curzio Nitoglia, i vescovi hanno partecipato
alla stesura dell’opera congiunta Mors tua vita mea, una raccolta
di articoli «sull’illiceità morale dei vaccini che utilizzano
linee cellulari di feti vittime di aborto volontario». Il libro ha
la prefazione di Monsignor Viganò e raccoglie – tra gli altri –
gli articoli del vescovo Schneider, di John-Henry Westen il fondatore
del giornale statunitense di area ultra cattolica LifeSiteNews.com,
un contributo di don Nitoglia e infine anche un articolo a firma
dell’avvocato Daniele Trabucco, sconosciuto fino a ieri ma salito
agli onori della cronaca perché fondatore della Vicit,
un’associazione finanziata da Forza Nuova per fare propaganda no
vax. D’altra parte, i due mondi non sono poi così distanti e in
questa storia i volti che tornano
sono quasi sempre gli stessi. La
narrativa dei cattolici no vax che bazzicano nel giro di don Ghio e
don Nitoglia, assomiglia per certi versi a quella dei no vax
classici: complottismo, sfiducia nella scienza e nelle istituzioni,
ribellione alle imposizioni dello Stato, l’ossessione per l’aborto.
Tuttavia, la narrativa dei cattolici no vax possiede qualcosa in più,
qualcosa che al no vaxismo mainstream manca: la sacralità del
messaggio. L’aver reso la scelta di vaccinarsi o no una “questione
morale” dirimente per giudicare chi è davvero un “buon
cattolico” e chi invece no. Questa è l’operazione che alcuni
sostenitori di questa linea stanno conducendo su internet e nelle
parrocchie, nel sottobosco e col megafono, grazie a una galassia di
blog e televisioni private online. Tale perazione è guidata dal
basso da personalità come don Ghio e Don Curzio e dall’alto da
uomini come Viganò, Williamson, e Schneider. Ma non solo. A questi
nomi Papa Francesco deve aggiungerne anche altri. Sono quelli dei
vescovi no vax che con una dichiarazione ripescata nei meandri del
sito Una Vox rifiutano pubblicamente la linea della Chiesa e «il
crescente coro di conferenze episcopali, singoli vescovi e preti che
permettono questi vaccini».
Le lettere a
Papa Francesco
La missiva porta la firma del Cardinale Janis
Pujats (Riga, Lettonia), dell’Arcivescovo Tomasz Peta (Astana,
Kazakhstan), dell’ex arcivescovo di Karaganda, Jan Pawel Lenga, e
del Vescovo di Tyler (Texas, USA), Joseph Strickland. A questa poi si
aggiunge una seconda lettera, scritta nel maggio del 2020 e
indirizzata a Papa Francesco. L’appello arriva nel pieno della
pandemia e contiene la richiesta di una «immediata abolizione delle
norme anti-Covid» che impediscono la rituale celebrazione della
messa e sconvolgono la liturgia. Poi, bruciando sul tempo tutti i no
vax del mondo, nella lettera si pone all’attenzione del Papa la
questione vaccinale affermando che «per un cattolico è moralmente
inaccettabile sviluppare o usare vaccini derivati da materiale
proveniente da feti abortiti».
A firmare ancora una volta ci sono
loro: Viganò, Williamson, Nitoglia e Schneider. Ma questa volta
spuntano anche altre sigle. Atman Association, Movimento 3V, Vaccini
Vogliamo Verità, lustitia in Veritate, associazione Una Vox,
Comitato Famiglia e Vita, la Confederazione dei Triarii. Sono solo
alcune delle associazioni che hanno aderito all’appello.
«Lo
Stato», scrivono nella lettera inviata al Papa, «non ha alcun
diritto d’interferire, per nessun motivo, nella sovranità della
Chiesa. La collaborazione dell’Autorità Ecclesiastica, che mai è
stata negata, non può implicare da parte dell’Autorità Civile
forme di divieto o di limitazione del culto pubblico o ciel ministero
sacerdotale. I diritti di Dio e dei fedeli sono suprema legge della
Chiesa cui essa non intende, né può, abdicare derogare. Chiediamo
che siano tolte le limitazioni alla celebrazione delle funzioni
pubbliche».
Dichiararsi pubblicamente no vax non è cosa semplice
all’interno del mondo cattolico. Può essere pericoloso e non tutti
tra i fedeli trovano il coraggio o la scelleratezza per farlo. Si
rischia infatti di essere isolati, allontanati dalle parrocchie e nel
caso dei prelati, potrebbero anche ottenere una sospensione dal
proprio incarico. Per questo, per professare il credo no vax, bisogna
agire nel sottobosco. Non a caso, in molti si sono organizzati in
comunità carbonare parallele, si incontrano su Telegram o in case
private dove le norme anti-Covid non esistono, le mascherine non
servono e vaccinarsi oltre ad essere un peccato fa paura perché può
ucciderti. Il fatto poi che vi siano sacerdoti e vescovi tra di essi
dona al movimento un’aura di sacralità e solennità che lo
caratterizza e lo distingue da quello no vax che abbiamo incontrato
finora. Di fatto in questo caso si tratterebbe di un passaggio da una
fede all’altra. Di una sorta di nuova religione con i suoi apostoli
che sono i sacerdoti e i vescovi che hanno il coraggio di sfidare
l’establishment. Nel nome di Dio.