lunedì 22 novembre 2021

La parola

Conversione

 

La "transizione ecologica" domina ormai il dibattito pubblico. Il termine è così diffuso che il governo Draghi ha deciso di dare questa dicitura al tradizionale ministero dell'ambiente, sulla scorta di quanto è stato fatto – non con tanta fortuna, in verità – in Francia e in Spagna. La transizione ecologica porta con sé un senso di rassicurante gradualità, di cambiamento indolore del modello, di traiettorie quasi bonarie verso un futuro radioso in cui si ridurranno le emissioni, scompariranno i combustibili fossili, ma senza alcuna modifica sostanziale del nostro stile di vita. La transizione richiede per definizione un tempo lungo, necessario per non creare scossoni, non alterare troppo gli equilibri e rendere il processo universalmente accettabile.

Il problema è che questo tempo non lo abbiamo e che la formula di transizione ecologica può risultare fuorviante, se non contro-producente. Trasmette infatti un senso di non urgenza che stride con gli effetti sempre più manifesti della crisi climatica. E stride anche con gli obiettivi proclamati dalla stessa transizione. Mantenere l'aumento della temperatura media globale sotto 1,5 gradi celsius come prevede l'accordo di Parigi, o raggiungere la neutralità climatica al 2050 come indicano i target europei, richiede sforzi immensi. Target così ambiziosi implicano azioni incisive sui sistemi produttivi, profondi cambiamenti nella struttura delle nostre città, nei consumi energetici, nelle abitudini alimentari, nella mobilità. Implicano una revisione totale del modello di sviluppo, che porta alla considerazione che in un pianeta con le risorse finite non si può immaginare una crescita infinita. Chiamare tutto ciò transizione vuol dire non crederci più di tanto – o coltivare l'illusione che il tutto si aggiusterà da sé, con interventi cosmetici e qualche accortezza. Siccome sappiamo che non sarà così, che per riuscire il processo dovrà essere radicale e non sarà indolore, è necessario un cambio di paradigma che dovrebbe essere accompagnato da un cambio di vocabolario.

Piuttosto che di transizione non sarebbe allora meglio parlare di "conversione ecologica", come già indicava quasi 40 anni fa Alexander Langer? Di fronte all'emergenza climatica, il genere umano ha bisogno di ripensarsi, rimodellare il proprio modo di vivere, il proprio approccio alle risorse naturali e il modello di sviluppo all'origine di molti dei processi che si stanno rivelando letali. Viviamo in tempi in cui la gradualità non è più ammessa – le sfide del futuro implicano una radicalità di scelte che deve trovare anche una sua definizione.

 

Stefano Liberti – L'Espresso – 7 novembre 2021