domenica 21 novembre 2021

UN MONITO AI NO VAX

 La lettera di un infermiere di Trieste

Fuori protestano ma in corsia è già un inferno vorrei che vedessero come si muore qui”

di Andrea Valenti

Sono un relativamente giovane coordinatore infermieristico. Da qualche giorno sono tornato a gestire la terapia semintensiva Covid della Pneumologia di Trieste. Una situazione drammatica, per certi versi peggiore delle scorse ondate (oramai abbiamo perso il conto). Ieri ho dedicato parte della mia giornata a un paziente, uno dei tanti, non vaccinato (non per scelta ma per motivi di salute); era dispnoico (ossia, non riusciva a respirare), non poteva staccarsi dal supporto del ventilatore nemmeno per bere un sorso d’acqua per inumidire la bocca, seccatasi a causa dell’ossigeno ad alti flussi. Questa persona, che ieri chiedeva aiuto, il mio-nostro aiuto, che cercava di comunicare come meglio poteva per dirci di cosa aveva bisogno, oggi non c’è più. Storie ed esperienze analoghe sono entrate a far parte del nostro vissuto quotidiano da ormai quasi due anni. Storie di padri, madri, nonni, figli ai quali dobbiamo stringere la mano nei loro ultimi giorni di vita; persone che sono separate dai loro affetti e si aggrappano solo ai nostri sguardi, dietro una tuta, coperti da maschere e visiere. E questa gente arriva a questo punto a causa di una patologia che oggi, nella gran parte dei casi, si può evitare o per lo meno controllare.

Vorrei che la gente vedesse, vorrei che tutti i No Vax, No Green Pass passassero una giornata, o anche solo mezza, nel “13° girone dell’inferno”; vorrei che si rendessero conto di quanto inumano sia morire di polmonite da Covid, nonostante i nostri sforzi per rendere l’ultimo miglio di queste persone, più lieve possibile. Come detto, un modo per cercare di evitare tutto ciò esiste, e ostinarsi a non utilizzarlo è da scellerati.

Noi sanitari tutti, spinti da un’etica sconosciuta — o per lo meno ignorata — dal popolo della piazza, continueremo a curare e assistere tutti, qualsivoglia sia la loro ideologia, nonostante la rabbia sempre crescente nei confronti di quanti insultano quotidianamente il diritto alla salute collettiva. Ma siamo veramente esausti. E al contrario di coloro che si vantano di non mollare mai, noi non possiamo mollare mai. Abbiamo famiglie di cui prenderci cura, mogli, mariti, figli dai quali tornare e che meritano le nostre attenzioni; attenzioni che sempre di più non possono esserci per via della stanchezza che ci sopraffà. Sono un arduo sostenitore delle libertà individuali; ma questa libertà deve esserci dal momento in cui veniamo al mondo al momento in cui moriamo; e chi muore attaccato al ventilatore, credete, è tutto fuorché libero e in pace.

L’autore è un infermiere in un ospedale di Trieste

La Repubblica 15 novembre