Non si può credere nemmeno ai propri occhi. Soprattutto da quando le opinioni pubbliche contano e l'informazione è diventato un'arma di guerra e dunque il suo opposto, la disinformazione viene spregiudicatamente usata per orientare il pensiero, demonizzare il nemico, infuocare le menti dei propri soldati. E i mass media diventano un mezzo attraverso il quale si avvalora l'antico proverbio per cui "in guerra e in amore tutto è lecito".
Da
una parte gli uffici propaganda, dall'altra i cronisti sul campo, le
prede più preziose con i loro reportage che hanno il timbro di
credibilità della testimonianza diretta. Le nuove tecnologie hanno
esasperato la competizione perché la velocità di trasmissione delle
notizie ha reso ancora più micidiale la macchina di fabbricazione delle
notizie false. Ci furono momenti, e il Vietnam ne è l'esempio più
luminoso, in cui gli inviati al fronte, con libertà di movimento,
mutarono la percezione dei conflitti. Gli eserciti risposero vietando o
controllando gli accessi sul teatro dei combattimenti.
Ma così
alimentarono i dubbi sulla veridicità di racconti di seconda mano. E
allora hanno ripiegato su una tecnica più sofisticata: permettere di
vedere ciò che vogliono si veda.
Così
viene ingaggiato, ogni volta, un duello tra chi vuole occultare o
deliberatamente troppo mostrare e chi cerca di smascherare
l'inganno. Duello impari all'inizio perché chi cucina il piatto
avvelenato ha il vantaggio del tempo della preparazione e chi se lo vede
servito ha il problema di doverlo trangugiare senza lo spazio per la
riflessione. La verità, diceva il grande Ivo Andric, è la prima vittima
della guerra. Ma la verità di guerra è ostinata e riemerge come un fiume
carsico con le richieste dei giornalisti che non si rassegnano,
talvolta, purtroppo fuori tempo massimo.
Per queste le notizie troppo
veloci vanno maneggiate con cura.
Gigi Riva
10 aprile 2022
l'Espresso