sabato 4 giugno 2022

- 4 -

 



 

3. LA SINDONE DI TORINO: MOLTE LEGGENDE

     di ERNESTO AYASSOT (continua)

 

Qui dobbiamo entrare nel regno della tradizione e addirittura delle leggende, con notizie non solo discordi, ma spesso contrastanti. Quanto più ci si avvicina alle presunte origini, tanto più fantasiose e inverosimili sono infatti le cose che si raccontano.

Occorrerebbe perciò, retrocedendo nel tempo, poter rispondere con qualche sicurezza ad una prima domanda e risolvere in modo chiaro il rapporto tra la «Sindone» che venne poi a Torino e la sua «sosia», cui abbiamo già accennato, o forse un'altra ancora. Infatti nel 1208, ossia quasi un secolo e mezzo prima che la reliquia torinese «entrasse nella storia» (come si esprimono gli assertori dell'autenticità), esisteva a Besançon, nella cattedrale di Santo Stefano, una «Sindone» che si diceva portata dall'Oriente da uno dei «Crociati». Questo nobile francese avrebbe fatto valere la sua qualità di capo di una delle schiere che avevano saccheggiato Costantinopoli, prendendo per sé la più importante delle reliquie che vi si erano trovate. Disobbedendo agli ordini del vescovo di Troyes, che fungeva da «cappellano capo» della Crociata, il quale aveva chiesto che tutti i Crociati restituissero gli «oggetti sacri» che avevano rubato, il nobile avrebbe conservato nascostamente la sua preda di guerra più preziosa, per mandarla a suo padre Ponzio de la Roche. Questi, a sua volta, o perché ritenesse troppo compromettente tener nascosta la tela, o perché volesse con un gesto di pietà fare ammenda del sacrilegio compiuto dal figlio, ne avrebbe fatto dono al vescovo di Besançon Amedeo di Tramelay, che l'avrebbe deposta nella sua cattedrale.

Quivi la Sindone sarebbe rimasta in pace fino al 1349, quando un fulmine caduto sulla cattedrale causò un terribile incendio che ridusse in cenere l'edificio e tutto ciò che conteneva. Ovviamente ci si affannò a cercare fra le macerie quanto di prezioso potesse ancora recuperarsi. Il poco che si trovò fu raccolto in un'unica urna che venne chiamata «Capsa omnium Sanctorum». Ma della Sindone nessuna traccia. Era stata completamente distrutta? Oppure, come altri sostiene (senza però averne alcuna prova), fu trovata da qualcuno che la rubò per farla ricomparire poche settimane dopo a Lirey in possesso del conte Goffredo di Charny, dove l'abbiamo incontrata, alla medesima data e col medesimo possessore, ma con antefatti differenti? Coloro che sostengono per la Sindone l'itinerario qui tracciato, sostengono altresì che parte almeno delle bruciature che si riscontrano sul lenzuolo furono provocate, non dall'incendio di Chambéry, ma da quello precedente di Besançon.

Le tradizioni, anche se pie, non sono sempre facili da mettere d'accordo! Ma la scelta dell'itinerario percorso tra Costantinopoli e la Savoia diventa ancor più difficile se si presta fede ad altre ricostruzioni «storiche» (?) che ci è impossibile raccogliere tutte, in così breve scritto, ma di cui ricorderemo solo quelle che hanno trovato maggior credito da parte dei rispettivi assertori.

C'è chi sostiene che la Sindone sia stata donata ad Amedeo III conte di Savoia (1095-1148) dai Cavalieri di Rodi, per ricompensarlo dell'aiuto che aveva dato loro contro i turchi. E c'è, sempre in connessione con la Casa di Savoia, chi sostiene invece che la Sindone le sia pervenuta in dono dalla principessa di Cipro, Carlotta, figlia del re latino di Cipro Giovanni III.

Altri, sempre a proposito della Casa di Savoia, sostiene che le sarebbe stata offerta come prezzo di riscatto da una ricca signora egiziana, il cui marito era stato catturato e trattenuto come ostaggio dal duca.

Si fa poi un'altra ipotesi ancora, che ci riporta più direttamente al conte di Charny, già più volte citato come punto di partenza delle notizie più attendibili. Narrasi che egli, al comando dei franchi accorsi in aiuto del re d'Armenia, fu da questi ricompensato con il dono della Sindone che riportò in Francia, nella Champagne, a Lirey, dove fece costruire una chiesa dedicata a «Nostra Signora» per conservarvi la reliquia. Finalmente, sempre per quanto concerne il conte di Charny, c'è chi sostiene che la reliquia gli sarebbe pervenuta tramite suoi non ben precisati parenti che l'avevano trafugata al vescovo della vicina Troyes, al quale, in questo caso, essa avrebbe dovuto essere stata consegnata, in obbedienza ai suoi ordini, dai saccheggiatori di Costantinopoli, al termine della quarta Crociata.

E così si potrebbe continuare, come per un romanzo poliziesco alla ricerca di indizi che finiscono però sempre per dissolversi tra i «si dice» della credulità, più o meno ingenua o interessata, dei narratori.

Ma se gli itinerari «Costantinopoli-Francia» si intersecano e confondono per i circa centocinquant'anni che vanno dalla presa di Costantinopoli (1204) alla donazione del 1349 (ammesso che tale donazione sia veramente la chiave per motivare il possesso della Sindone da parte del conte di Charny, e ammesso quindi pure che la Sindone non andasse bruciata nell'incendio della cattedrale di Besançon, poche settimane prima), assai più difficile è trovarne tracce nel lungo periodo precedente, di oltre un millennio.

Come e quando la reliquia pervenne da Gerusalemme a Costantinopoli (o ancora quando si chiamava Bisanzio?), dato, ma non concesso, che quella che è ricordata a Costantinopoli fosse la medesima Sindone di cui si parlerà nei secoli successivi?

Sembra, infatti, che esistesse a Costantinopoli, all'epoca della quarta Crociata, una Sindone che veniva esposta al popolo ogni venerdì, in memoria della Passione. Racconta Roberto di Clary, nelle sue memorie della Crociata:

 

tra gli antichi monasteri eravi [a Costantinopoli] quello di Nostra Signora detta Santa Maria di Blaquernes, dove era la Sindone in cui fu involto il Nostro Signore, la quale ogni venerdì si esponeva pendente, diritta, sicché poteva vedersi bene la figura di Nostro Signore...

 

Egli aggiunge però che quando

 

la città fu presa [dai Crociati]... non seppe mai alcuno, né greco né francese, che cosa la Sindone diventasse...

 

affermazione che ci lascia alquanto perplessi sulle sorti di quella Sindone e addirittura sulla credibilità del presunto storico, il quale poco dopo afferma, sempre nelle medesime memorie, che

 

esisteva altresì la tavola di marmo sulla quale fu steso il corpo di Gesù, quando fu sceso dalla croce e che [sul tavolo] si vedevano ancora i segni delle lacrime che la Madonna vi aveva versato... 6.

 

A parte l'interesse letterario che può avere il vecchio francese del di Clary: «si i paroient encor le larmes que Notre Dame avoit plouré deseure», c'è da domandarsi se alla sua testimonianza sulla Sindone sia da attribuirsi lo stesso credito di quella sulla «tavola di marmo» e, soprattutto, se (ammesso che gli si creda) quella Sindone in cui si vedeva «chiaramente» l'immagine del Cristo, e che poteva essere esposta verticalmente, corrisponda alla Sindone di Torino che noi conosciamo, nella quale l'immagine non solo è poco chiara, ma è al negativo ed è una doppia immagine (frontale e dorsale) delle quali una (di cui non si fa menzione) avrebbe dovuto essere esposta o capovolta o sul retro a lenzuolo piegato nel mezzo nel senso della larghezza, poiché le due immagini sono disposte, testa a testa, nel senso longitudinale del telo.

________________

6 Roberto DI CLARY, Storia della IV Crociata, cit., da ETXEANDIA op. cit., p. 93.


(continua)