martedì 7 giugno 2022

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4. IL RESPONSO DEGLI ESAMI SCIENTIFICI

    di ERNESTO AYASSOT (continua)
 

Trattasi quindi di passare da un criterio di valutazione storica a tutt'altro criterio: quello dell'evidenza interna, poiché a detta del succitato autore, «la Sindone basta ampiamente a se stessa»; ciò significa che - rivelandosi impotente, e forse anche controproducente, ogni ricerca storica -, i sostenitori dell'autenticità della Sindone di Torino si rifugiano nelle «prove» che pretendono ottenere dalla scienza e dalla fede. Delle quali diciamo subito che la prima risulta dubbia, la seconda inaccettabile, come cercheremo di esporre.

A proposito delle spiegazioni «scientifiche» bisogna dire subito che gli stessi sostenitori dell'autenticità della Sindone, nelle più recenti pubblicazioni, le hanno tutte, se non abbandonate, almeno elencate come ipotesi di lavoro troppo dubbie per potervi fare affidamento.

I quesiti ai quali le ricerche e gli esperimenti di laboratorio dovrebbero rispondere sono essenzialmente due:

1) è possibile datare la tela?

2) le impronte che vi si scorgono possono essere dovute, in qualche modo, al contatto con un cadavere?

 

Ovviamente non si potrebbe chiedere di più sul terreno delle ricerche di laboratorio.

Ora, per quel che concerne il primo quesito non c'è difficoltà a rispondere che il telo di lino è di antica fattura e che potrebbe benissimo essere stato tessuto nel vicino Oriente. Il che dice nulla o ben poco. Di stoffe orientali ne sono state importate dall'Oriente, vicino e lontano, in ogni epoca, sia prima che dopo il tempo di Cristo, come d'altronde, si fa oggi ancora. Gli stessi sostenitori dell'autenticità della Sindone non ritengono probante la ricerca della datazione della stoffa (lo sarebbe soltanto in caso di risposta assolutamente negativa) e hanno sempre rifiutato di sacrificarne un pezzo per l'esame delle radiazioni del «carbonio 14», il quale, nel caso di una stoffa, potrebbe indicare la data con un'approssimazione di circa 200 anni, il che lascerebbe il quesito al punto di prima e distruggerebbe un lembo notevole del tessuto. Infatti, nulla sarebbe provato, salvo una più precisata antichità del tessuto.

Allo stesso modo e per le medesime ragioni non ci sembra avere alcun valore autenticante una scoperta che è stata fatta recentemente (pubblicata nel 1976) e che molti sindonologi hanno presentata come addirittura decisiva. Trattasi del rinvenimento di particelle minutissime di polline che il prof. Frei di Zurigo avrebbe raccolto sui bordi del telo. Dato il gran parlare che si è fatto di questa scoperta, anche nei giornali quotidiani e nei rotocalchi a larga diffusione, sarà forse bene ricordare di che si tratta.

Nel novembre del 1973 il prof. Max Frei, biologo e direttore del laboratorio scientifico della Polizia di Zurigo, raccolse, servendosi di uno speciale nastro adesivo, dei campioni di una polverina osservata sui bordi della Sindone di Torino. Su questi campioni effettuò lunghe ricerche di laboratorio e ne pubblicò i risultati tre anni dopo (1976). Cosa dicono? Che alcuni granellini di quella polvere sono costituiti da polline antico di molti secoli, proveniente da piante che potevano, ritrovarsi molti secoli fa, sia in Palestina, che in Asia minore, come anche in Italia, Francia, Belgio e persino Egitto, senza contare i molti che non ha potuto identificare, sia per quanto concerne la specie vegetale sia per il paese di eventuale origine.

Intorno a questa scoperta si è fatto un gran parlare perché una parte almeno delle indicazioni fornite rievocano luoghi collegati col presunto itinerario «est-ovest» percorso dalla Sindone. Ovviamente, anche quando tutto ciò fosse provato, nulla si potrebbe asserire sull'autenticità della Sindone. Ma che dire della presenza di granellini provenienti da località estranee a tale itinerario? C'è poi una seconda considerazione ed è che il polline finissimo di certe piante, così come i minuscoli granellini di sostanze organiche e inorganiche che formano il pulviscolo atmosferico, nonché i granellini più piccoli di sabbie asciuttissime, sono continuamente portati dal vento e dalle correnti d'aria non solo da paese a paese, ma addirittura da un continente all'altro, per depositarsi nelle località più distanti. Quei granellini raccolti dal Frei avrebbero quindi potuto provenire dai più impensati paesi della regione Mediterranea e depositarsi sul tessuto durante una qualunque delle sue esposizioni, tanto più in quanto ad esse convenivano pellegrini provenienti da ogni paese, i quali avevano raccolto sui loro panni la polvere di un po' tutte le grandi strade di comunicazione.

A chi non è capitato di trovarsi, a volte, sul terrazzo o nel giardino, quel sottilissimo velo di polvere di sabbia che lo scirocco trasporta abbastanza sovente dall'Africa verso i paesi del Mediterraneo, depositandolo da noi in maniera tanto vistosa da scorgersi ad occhio nudo? Credo che nessuno scienziato dei secoli a venire, raccogliendo tra le fessure delle nostre case qualche residuo di quella polvere, si sognerebbe di ipotizzare un'antica peregrinazione dei vecchi edifici, o anche soltanto dei suoi inquilini, nel deserto libico. Tutto ciò senza contare che il polline è molto più fine, leggero e trasportabile (madre natura lo ha predestinato a viaggiare per via aerea) e che quanto più aumenta, con i mezzi moderni, la mobilità della gente, tanto più oggi aumentano le possibilità che (come succede per molti germi di malattie) i panni ed i bagagli che trasportano, che caricano e scaricano negli aeroporti delle più distanti località, trasferiscano nei luoghi più impensati particelle finissime di quei detriti, organici e non, di germi, di tutti quegli elementi, che vanno sempre più inquinando l'atmosfera terrestre. Queste banali considerazioni che si possono fare anche senza il microscopio di un laboratorio scientifico non sembrano aver nemmeno sfiorato la mente di quanti hanno accolto come risolutiva, o quasi, la scoperta del prof. Frei.

Ma torniamo alle varie spiegazioni scientifiche che sono state presentate per risolvere il problema delle immagini impresse sulla tela torinese. Purtroppo non abbiamo la possibilità di esporle, e di vagliarle, se non in modo molto sommario, perché le voluminose relazioni che sono state pubblicate sull'argomento meriterebbero una trattazione ben più completa di quanto ci è consentito dallo spazio in cui deve svolgersi il nostro discorso.

Basti dire che tutte le spiegazioni scientifiche sin qui esposte dai silndonologi hanno un duplice difetto:

 

1) Sono innanzi tutto, non solo differenti le une dalle altre, ma si contraddicono, talché non è possibile accoglierne una, sia pure come ipotesi di lavoro senza necessariamente negare le altre;

2) anche se prese come semplici ipotesi, nessuna di esse conduce ad una soluzione che non sia soltanto di dubbio o di incertezza. Ciò è riconosciuto da tutti gli scienziati che si sono cimentati con il problema, sia credenti che non, ovviamente con la propensione per il «sì» o per il «no» che varia a seconda della disposizione di, fede di ognuno.

 

Ci limitiamo ad alcune brevissime citazioni di scienziati recenti. Il prof. Silvio Curto, titolare di egittologia dell'Università di Torino, e che pertanto ha una conoscenza profonda acquisita dal quotidiano lavoro nel Museo Egizio, ammette che la stoffa della Sindone «può» «risalire all'epoca di Cristo», ma rimane molto perplesso quanto alla «possibilità» o «probabilità, delle varie soluzioni presentate per spiegare le immagini13.

«Nulla permette di precisare che il tessuto fu fabbricato in quel tempo»…, come «nulla permette di affermare il contrario», scrive il direttore del laboratorio tessile di Gand (1973)14.

Non meno incerto si dimostra, nonché scettico sulla possibilità che si possa giungere ad una prova scientifica, il radiologo torinese Delorenzi, che scrive:

 

Giudico con sufficiente fondamento che un esame radiologico della Sindone non darebbe alcun risultato utile15.

 

E, per quanto concerne macchie o tracce di sangue sul tessuto ritiene che sia impossibile «realizzare analisi veramente determinanti con questo metodo» (esame spettroscopico).

E, poiché abbiamo fatto cenno della possibile esistenza di tracce di sangue sulla Sindone, ricorderemo che, secondo il prof. Frache dell'Università di Modena, che esaminò alcuni fili del lino, prelevati appositamente:

 

tutte le ricerche e prove ematoscopiche furono negative e nessuna delle reazioni chimiche rivelò la presenza di sangue16.

 

Altre prove compiute con metodi e strumenti diversi diedero tutte il medesimo esito: 1) esame con i raggi ultravioletti; 2) reazione con la benzidina; 3) esame micro-spettroscopico; 4) cromatografia. «Esito negativo» in tutti questi esperimenti.

I veneratori della Sindone non possono non prendere atto di questi risultati di ricerca scientifica, ma come scrive il già citato J. L. C. Etxeandia:

 

secondo il nostro modo di vedere, la risposta negativa ottenuta dalle nostre ricerche non ci permette un giudizio assoluto che escluda la natura ematica del materiale esaminato.

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13 Prof. Silvio Curto, dalla «Relazione della Commissione di esperti» su «la S. Sindone», pubblicata come supplemento alla «Rivista Diocesana Torinese» del mese di gennaio, 1976, pp. 59 ss.

14 Prof. G. Raes, direttore del Laboratorio tessile di Gand (Belgio), citato dalla «Relazione della Comm. di esperti» cit., p. 83.

15 Prof. Enzo Delorenzi, citato dalla «Relazione della Comm. di esperti» cit., pp. 41-43.

16 Prof. Giorgio Frache, nella «Relazione della Comm. di esperti» cit., capitolo: «Esame ematologico sul materiale prelevato dalla Sindone». Riferito da J. L. C. ETXEANDIA, op cit., p. 12.


(continua)