lunedì 28 ottobre 2024

I miracoli capitano ancora


A volte in questi anni e particolarmente in questo ultimo ho vissuto l'incontro con delle persone che 30 o 15 anni fa erano scivolate in qualche dipendenza che sembrava ormai padrona di quella vita. Ecco il miracolo: quella persona accompagnata da persone attente, affettuose e competenti si presenta con una storia totalmente rifiorita alla gioia di vivere, all'amore, ad un lavoro di cura svolto con passione.

Ha accettato la proposta del cambiamento ed è rinata. Nella visita mi ha regalato il suo sorriso, mi ha narrato la gioia del suo cuore e mi ha parlato di un presente con la salute, il lavoro, l'amore e tante cose belle.

Tante volte ho constatato questi miracoli e ho solo aggiunto che la fiducia in Dio, vissuta in modo semplice, ha agito in profondità donando la forza di affrontare mille difficoltà.

Non è il Dio che fa miracoli, ma il Dio che illumina e dà fiducia alla persona per un nuovo cammino, lasciato interamente ad essa.

Tutti possiamo aspettarci qualche miracolo non piovuto dal cielo, ma come una luce che illumina e una voce che chiama ad un cammino diverso, ad una svolta radicale in quella vita.

Franco Barbero, 28 ottobre 2024

La strada impossibile per l’America


Migliaia di persone rischiano la vita per arrivare negli Stati Uniti attraversando a piedi la pericolosa giungla che separa la Colombia da Panamá. Due giornaliste sono andate con loro.

Da Internazionale, 11 ottobre 2024

Il voto negli Stati Uniti tra incertezza, disgregazione sociale e violenza


A poche settimane dal voto i risultati della campagna elettorale – che vede il rinnovo dell’intera House of Representatives, di un terzo del Senato (33 seggi di cui oggi 23 sono occupati da esponenti del partito democratico) e naturalmente l’elezione del o della Presidente – sono assolutamente incerti. Ai sondaggi che dichiarano in testa la Harris (fra i tanti: https://www.ucl.ac.uk/news/headlines/2024/oct/kamala-harris-winning-over-republicans-trump-polls-suggest), si alternano quelli che affermano che Trump è riuscito a sgretolarne il vantaggio (https://eu.detroitnews.com/story/news/politics/2024/10/13/donald-trump-kamala-harris-polls-tighten/75666235007/), laddove i margini della differenza fra l’un candidato e l’altra restano comunque all’interno della soglia di errore statistico ritenuta normale e inevitabile.

Nessuna situazione potrebbe rappresentare in maniera più chiara la fragilità odierna del mondo statunitense, i cui cittadini si scoprono politicamente sempre più divisi su versanti opposti, in larga parte accomunati soltanto dalla sfiducia che la possibilità di un miglioramento delle proprie condizioni economiche derivi dalla politica e da queste elezioni. Il partito democratico, che nel tempo ha rappresentato quelle speranze, ha infatti perso il contatto con la sua base elettorale storica, costituita dagli operai – una figura lavorativa negli Stati Uniti in via di estinzione a giudicare dai numeri persi nel tempo e dalle diminuzioni dei lavori manifatturieri dell’ultimo mese (https://www.nytimes.com/2024/10/04/business/economy/jobs-report-september.html) – e dalle fasce più deboli della popolazione oltre ad essere in crescente difficoltà presso i Latinos e perfino presso i neri americani. I numeri parlano chiaro: «Trump sta oggi ottenendo presso gli elettori neri e ispanici un successo pari o maggiore di qualunque candidato repubblicano che la memoria recente ricordi», sostiene chi dà conto degli ultimi sondaggi che rivelano come Harris avrebbe il 78% dei voti della popolazione nera, contro il 92% ottenuto da Biden nel 2020 e il 56% dei voti ispanici, contro il 63% ottenuto da Biden quattro anni fa, con corrispondenti vantaggi repubblicani (https://www.nytimes.com/2024/10/13/upshot/trump-black-hispanic-voters-harris.html). Si tratta della trasmigrazione di voti a favore di Trump, iniziata nel 2016, di quella parte dell’elettorato democratico delusa dalla politica di Barack Obama per non aver saputo mantenere la promessa di rovesciare le regole che da Reagan in poi hanno continuato a favorire i ricchi (in grandissima maggioranza bianchi) a discapito dei meno abbienti, spesso neri e ispanici (per l’analisi dei dati delle precedenti tornate elettorali cfr. il mio Joe Biden: tutto cambia affinché tutto resti (dis)uguale?, in MicroMega, 1/2021 p. 171 ss.). Non ancora imponente, perché la maggioranza ispanica e nera resta oggi comunque democratica, appare comunque una trasmigrazione di voti capace di rivelarsi determinante per una sconfitta della Harris a fronte alla polarizzazione politica crescente della società americana.

All’attenzione per le politiche economiche e sociali, che sembrano dunque rimanere sempre le stesse – e sempre portatrici di disuguaglianza – indipendentemente da chi sarà al governo, negli elettori si sostituisce infatti la preoccupazione per temi altri: l’immigrazione, il politically correct, la cancel culture, la fluidità di genere, i rapporti fra religione e stato e l’aborto: tutte questioni fortemente divisive che, come scrivono i politologi John Sides, Lynn Vavreck e Michael Tesle (in The Bitter End: The 2020 Presidential Campaign and the Challenge to American Democracy, 2022), comportano la “calcificazione” del voto, ossia bloccano gli elettori all’interno delle proprie preferenze politiche. Le partite elettorali si giocano così sempre di più sui piccoli numeri di persone che cambiano idea, votano per la prima volta, o rinunciano a votare. È per questo che oggi la vittoria o la sconfitta elettorale di un partito dipendono da ciò che avviene in una manciata di Stati in relazione a una manciata di elettori e le conseguenze non sono certo di poco conto.

Non solo – per l’esistenza del più volte analizzato collegio elettorale (cfr. il mio Populismo, presidenzialismo e la debolezza del sistema costituzionale statunitense, in Teoria politica, 11, 2021 https://journals.openedition.org/tp/1743) – sussiste la sempre più forte probabilità che risulti eletto Presidente chi ha meno voti popolari dell’avversario/a, ma è anche sempre più facile che almeno una Camera – se non entrambe – siano in dissonanza rispetto all’orientamento politico del presidente eletto. Ciò non capitava ai tempi che, per semplicità, vengono indicati come di Theodore Roosevelt o di Franklin D. Roosevelt. In entrambi i periodi, i repubblicani prima (dal 1896 al 1932, con l’interruzione della doppia presidenza Wilson) e i democratici poi (dal 1932 al 1968, con l’interruzione della doppia presidenza Eisenhower), avevano vinto i voti popolari per la presidenza 7 volte su nove consecutive e avevano potuto governare per 28 anni, con il controllo della Casa Bianca e del Congresso per ben 24 anni nel primo caso e 20 anni nel secondo. I voti popolari spostabili (su temi economici e sociali) erano, infatti, moltissimi e le maggioranze di governo, stabili per lunghi periodi, risultavano come tali capaci di implementare davvero le proprie politiche.

Feroce è il contrasto con la situazione di odierna “calcificazione” del voto. Da Bill Clinton (1992) in poi i democratici hanno conquistato il voto popolare in 7 elezioni presidenziali consecutive su 8, ma hanno perso per ben due volte la casa bianca (con il primo George W. Bush nel 2004 e con Trump nel 2016) e, nelle cinque tornate vinte, corrispondenti a 20 anni di presidenza, hanno avuto il pieno controllo sul Congresso solo per 6 anni: i primi due di ciascuna presidenza. Oggi il rischio è che nuovamente il partito democratico possa vincere il voto popolare ma perdere la presidenza (se non addirittura vincere il voto popolare per tutte e tre le istituzioni democratiche, ma perdere ovunque la maggioranza dei seggi oltre che la presidenza) e che, anche qualora dovesse vincere il collegio elettorale, la Harris entri per la prima volta nella carica senza il controllo del Congresso (cosa mai successa dal 1884). Il gioco dei pochi voti “flessibili” accentua un problema strutturale del sistema statunitense, nato come poco democratico per garantire al Senato e al Presidente il controllo della minoranza sulla maggioranza, e rischia di rendere sempre meno governabile il paese. A questo proposito basti pensare a quanto ridotti fossero, già nei primi due anni di presidenza Biden, i margini di vantaggio ottenuti dal partito democratico al Congresso. In tali condizioni la difficoltà di portare avanti un programma socio-economico – anche ammettendo che lo si fosse voluto davvero fare e il partito democratico non fosse stato al servizio di chi ha consentito ai suoi eletti di vincere, ossia i grandi poteri corporate che all’uopo hanno stanziato molti miliardi – diventa insormontabile e ciò, generando ulteriore sfiducia nei consociati in ordine alla possibilità che un cambio di rotta sia possibile, comporta una maggiore attenzione durante le elezioni per quei temi altamente divisivi che provocano la “calcificazione” del loro voto. Una conseguenza tira l’altra, insomma, e il risultato è lo scontro sempre più duro fra due opposte e granitiche fazioni, ciò che viene comunemente indicato come il fenomeno della “polarizzazione politica”.

Le fazioni però, lo dice la parola stessa, sono faziose e dalla faziosità alla violenza il passo è breve. Non solo i fatti del 6 gennaio 2021, ma anche il tentato rapimento di Nancy Pelosi a poche settimane dal voto del mid-term del 2022, piuttosto che il recente il doppio tentativo di uccidere Trump, sono i segnali più evidenti della violenza che segna le elezioni politiche negli Stati Uniti. La misura dell’animosità che scorre nelle vene della società statunitense che si approccia al voto del 5 novembre (laddove peraltro il voto anticipato è già in corso in molti Stati) sta tutta nelle parole di chi osserva il fenomeno e chiede attenzione da parte delle istituzioni. «Al Chicago Project on Security and Threats, un istituto di ricerca che dirigo presso l’Università di Chicago» – dice il professor Robert A. Pape – «abbiamo trimestralmente realizzato interviste a livello nazionale per studiare la propensione degli Americani alla violenza politica sin dal 2021. Nello studio più recente, condotto fra il 12 e il 16 di settembre, abbiamo individuato un livello inquietante di appoggio alla violenza politica. E – si badi – si tratta di un atteggiamento bipartisan. Circa il 6% degli intervistati si è detto d’accordo o molto d’accordo che sia “giustificato l’uso della forza per restituire a Trump la presidenza”. Poco sopra l’8% è stato invece d’accordo o molto d’accordo che “l’uso della forza sia giustificato per evitare che Trump diventi presidente”». Dove per “uso della forza”, spiega poco dopo lo studioso, si intende violenza fisica che arriva fino all’assassinio (https://www.nytimes.com/2024/10/10/opinion/violence-election-day.html). Se questo è dunque il quadro della vigilia delle elezioni presidenziali nel paese da cui le sorti di gran parte del mondo dipendono, non c’è davvero di che stare allegri!

Elisabetta Grande - Volerelaluna, 21 ottobre 2024

Non abbandoniamo i gruppi in presenza

 

È indubbio che disporre della possibilità della rete, ci dona molte possibilità di attivare delle relazioni come era quasi impossibile 10 anni fa.

Perdere o trascurare o sottovalutare questa opportunità sarebbe gettare via un tesoro.

Io, per esempio, uso la rete con difficoltà. Mi dispiace. Ma il gruppo fatto in presenza permette un contatto, una comunicazione, una relazione in cui entrano gli abbracci, le carezze, le strette di mano, tutta l’esperienza del racconto con il tocco, la presenza e il dono del corpo a corpo, la possibilità dello sguardo oculare diretto, l’abbraccio, il bacio, anche la manifestazione del dissenso con tutta tranquillità.

Si parla molto più dei corpi che delle anime. Lo scambio delle opinioni porta le voci diverse molto vicine. Ma esserci con il corpo vuol anche dire che mi sono coinvolto per esserci e che questa fisicità veicola molte caratteristiche dal sapore amicale: il valore dei corpi che si toccano e che possono comunicare tante caratteristiche di ognuno/a.

E poi… pregare gli uni vicini alle altre e spezzare mangiare il pane eucaristico e passarlo da una mano all’altra forse sono particolari non irrilevanti. Prendere il pane condiviso e portarlo a chi lo attende forse a letto o impedito. Questa che è la mia riflessione in Comunità non si esplicita più? E fra quattro anni così ci sarà solo il video?

Senza ansia viviamo i giorni che ci sono dati. Senza contare che qualcuno di noi fra tre anni o io fra tre mesi non ci sarà più con i piedi sulla terra?

Molti interrogativi senza risposte: vuol dire che dobbiamo essere aperti a più possibilità senza dogmatismi. Ma soprattutto fra pochi anni anche la tecnologia diventerà altra e anche coloro che sono i più esperti dovranno prendere atto di mutazioni tecnologiche e soprattutto di mutazioni e patologie antropologiche. Sono in atto studi al riguardo specialmente rispetto alla denatalità e alla fuga dalla pratica del silenzio e della lettura con grave deperimento del cervello.

In ogni caso guardiamo con fiducia al tutto che Dio ci ha messo a disposizione.

Io che scrivo queste semplici righe non vedrò quasi più nulla del futuro con le sue fioriture e le sue patologie. A Dio solo sarà visibile. A me la fiducia in Lui.

La nostra Comunità negli anni prossimi, intendo nei prossimi 5 anni, dal 2025 al 2030, potrà compiere grandi o piccoli passi positivi. Oggi anche il gruppo del venerdì in presenza, quello del martedì in video funzionano. Stiamo seguendo le strade dei molti anni passati. Non manca l’Eucarestia e tutto può essere utile anche mantenere il collegamento in rete e in presenza. È a mio avviso fondamentale ed evangelico guardare avanti con fiducia e soprattutto non perdere i contatti con persone e realtà fuori dalla Comunità che spesso mi cercano e ci cercano.

Franco Barbero 25 ottobre 2024,

A tratti

le voci prorompono

alte e minacciose,

poi declinano

fino a morire

e sopraggiunge un sonno

senza pace,

pieno di rantoli

e di brontolii cupi.

 

Poi il mio treno

finalmente parte,

prima della pigra alba

d'inverno.

Gli occhi mi bruciano,

ma li guarirà

quel sole

che forse invano

per loro

sorgerà.

 

Troppo è il dolore

che si perde

senza risposta

e il cuore geme

di tragica impotenza.

 

Franco Barbero, 1979

 La samaritana e il samaritano

 

GESÙ: UN DISTURBATORE

Commento alla lettura biblica - domenica 1° febbraio 2009

 

21 Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi.

23Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: 24«Che c'entri con noi, Gesù Nazareno?

Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio».

25E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo».

26E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.

27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda:

«Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!».

28La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea (Marco 1, 21-28).

 

Diciamo la verità: nel Vangelo di Marco, così fresco e stringato, ci sono versetti che si leggono e si rileggono con crescente meraviglia. Per me, nella rilettura degli anni della mia vita, è come se ritornassi su un dipinto già visto. Ogni volta scopro una pennellata, un colore, un particolare inedito. Ne resto sorpreso. Credo che capiterà anche a te, caro lettore e cara lettrice di queste poche e semplici righe. Gesù, più lo guardi, più lo ascolti, più cerchi di seguirne le tracce, diventa ogni giorno più vivo, più “autorevole”, più significativo. Quello che di lui, delle sue parole e della sua vita quotidiana riusciamo a sapere, interpella sempre di più i nostri cuori, entra sempre più in profondità nella nostra esistenza. In un mondo in cui i palazzi dei poteri sono pieni di persone loquaci, frivole e prive di spessore morale e intellettuale, le parole e i gesti di Gesù ci aiutano a ridefinire, a ritrovare il senso di questa parola: “autorità”. Come ci suggerisce la stessa radice latina, è autorevole la persona che “fa crescere”, la cui vita diventa per noi un invito al cambiamento, alla maturazione nella responsabilità, un riferimento di qualità di cui senti di poterti fidare. Noi, proprio dentro la vita di ogni giorno, avvertiamo a volte l’autorità che certe persone incarnano, senza essere socialmente collocate in posti di prestigio e di potere. Esiste, quindi, anche una autorità che è puramente burocratica, cioè priva di autorevolezza. Pensate a tanti “burattini” che abbiamo al governo e nella chiesa.

A Cafarnao

Per ben due volte gli ascoltatori, meravigliati rilevano - ci dice il testo - l’autorità di Gesù. Più volte nei Vangeli si fa accenno o si sottolinea l’autorità di Gesù. La sua predicazione “autorevole” non è un “bla-bla” generico, ripetitivo, astratto, fumoso. Egli parla a persone concrete, in situazioni precise, di fronte a persone che ascoltavano maestri lontani dal loro vissuto o ripetitori pedissequi di leggi e di tradizioni. Forse queste persone avevano più volte ascoltato dei maestri ciarlieri, dei venditori di fumo e di illusioni. Molto spesso anche a Cafarnao il popolo aveva subito i lunghi discorsi delle autorità politiche e religiose. Quante promesse mai realizzate..., quante leggi e leggine imposte e ribadite... C’era di peggio nell’esperienza di questi abitanti di Cafarnao. Più volte avevano dovuto constatare il disinteresse delle autorità per la gente semplice e ricordavano benissimo i nomi di tante persone costituite in autorità che si erano arricchite sulle spalle del popolo.

Avevano approfittato della loro posizione per costruirsi dei privilegi. Tutto questo era, purtroppo, molto vero e pesante, molto evidente ai cittadini di Cafarnao. In realtà avevano anche conosciuto, sia pure più raramente l’altra faccia della medaglia. Qualcuno ricordava di aver ascoltato Giovanni, il profeta battezzatore.

Quello davvero era un uomo “autorevole”, un uomo coerente, dedito alla causa del popolo e alla causa di Dio. Così pure alcuni maestri della legge e alcuni farisei erano dei veri esempi di vita nella fedeltà a Dio e ai poveri. In Gesù questa dedizione a Dio e al popolo brillava di luce tutta particolare. In lui questa gente di Cafarnao vide i tratti concreti di una persona autorevole. Si potrebbe dire che in Gesù videro il ritratto dell’autorità in senso biblico, costruttivo, liberante. Il testo non è poi così lontano da noi. dai nostri problemi di oggi.

Sei venuto a rovinarci?

Questa frase va situata e letta nel contesto culturale del tempo. L’uomo con uno spirito immondo nel linguaggio biblico rappresenta una persona sofferente, bloccata, segnata da qualche vissuto angosciante... Gesù lo incontra, vuole proporgli una via d’uscita, vuole sollecitarlo a riprendere in mano la sua vita. Gli addita la possibilità di una liberazione (Esci..."), ma gli rivolge anche un forte appello alla responsabilità.

L’immagine dell’uomo posseduto dallo spirito immondo designa, sempre nel codice linguistico del tempo, la situazione di chi è insieme schiavo e complice delle proprie angosce, sofferenze, abitudini, immaturità, indecisioni. Ci si può accomodare, ci si può ritagliare una nicchia anche dentro le proprie sofferenze e ci si può rassegnare ad una esistenza schiava di abitudini, di routine, di luoghi comuni, priva di slanci verso un futuro diverso. Forse potremmo dire che oggi il più grave e diffuso “spirito immondo” è lasciare che altri pensino e decidano per noi, accodarci alle maggioranze, lasciarci svuotare l’anima e il cervello dai ciarlatani che fanno di tutto per distoglierci dalle nostre responsabilità, impedirci il pensiero critico e invitarci al “lasciamo le cose come stanno”.

Disturbatore della quiete

Incontrare davvero Gesù significa fare i conti con un insuperabile disturbatore delle nostre pigrizie, delle nostre facili comodità, dei nostri accomodamenti. La parola di Gesù ci raggiunge nelle pieghe più nascoste e profonde del nostro animo e non ci dà tregua. Illumina quegli angoli che noi vorremmo lasciare nel buio per non fare fino in fondo i conti con noi stessi. Davvero Gesù è un disturbatore che sconquassa, scopre altarini, privilegi, presunte virtù. Il suo messaggio non ci dà scampo e il suo invito al cambiamento scatena in noi uno sconvolgimento, un travaglio, una destabilizzazione che spesso vorremmo risparmiarci. A volte ci diciamo: “Stavamo meglio prima... il Vangelo esige da noi un cammino piuttosto scomodo e disturbante”.

Se vogliamo aprirci al messaggio del Vangelo e togliere dai nostri cuori gli “spiriti immondi” dell’egoismo, della superficialità, della rassegnazione, dei pregiudizi, delle pigrizie... dobbiamo accettare questo conflitto, questa dimensione “disturbatrice” della fede. Credere nel Dio biblico è un po’ sempre rimetterci in viaggio come Abramo.

Certo, la fede conosce e ci regala spesso l’esperienza della gioia, del conforto, del sostegno. È più che mai vero. Ma resta necessario non sottrarci al salutare “travaglio della liberazione” che Gesù testimoniò prima con la sua vita che con il suo insegnamento.

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Aiutami, o Dio

O Dio,

aiutami ad aprire il cuore alla Tua parola di profonda consolazione e di calda compagnia. Ma stammi vicino quando, per amore di una falsa pace, faccio orecchie da mercante per non mettere in discussione quei “territori” della mia vita che non voglio convertire al Vangelo, all’amore, alla solidarietà.

 (continua)

domenica 27 ottobre 2024

Documento sinodale: sapore agrodolce
José Manuel Vidal


Ho appena letto (in diagonale) il lunghissimo documento finale del sinodo(Documento-finale-26.10.pdf) e, alla fine, mi ha lasciato un sapore agrodolce. La verità è che, ad una prima impressione, mi aspettavo molto di più. Percepisco notevoli progressi in termini di consapevolezza del processo sinodale nel quale la Chiesa si è imbarcata (senza possibilità di tornare indietro?) ma, come sempre, ho la sensazione che i padri/le madri sinodali si fermano a metà strada. Non precisano. Non scendono nel concreto.

Se, come ha detto il profetico cardinale Martini, siamo indietro di duecento anni, la verità è che il documento finale del Sinodo non sembra ovviare a questo ritardo. È evidente che il documento rivela un nuovo inizio, una ripartenza, un reset della Chiesa in chiave sinodale. È sufficiente questo nuovo inizio? Il processo sinodale è un processo ma, anziché rimanere mero discorso, dovrebbe scendere nel concreto e compiere passi sinodali fin dall’inizio.

Troppe chiacchiere, dirà qualcuno. Troppe spiegazioni, troppo contesto. Il popolo santo di Dio, impegnato nella dura lotta per la dignità della vita quotidiana, è capace di leggere, comprendere ed accettare un documento di 41 pagine? Perché non viene divulgato, perché non viene riassunto, perché non viene condensato e spiegato l’essenziale in due o tre pagine? Solo allora sarà disponibile per le persone “normali”.

  Oltre alle troppe spiegazioni, a prima vista, mi sembra che il documento contenga “poca sostanza”. Sono deluso, soprattutto, dal fatto che continui a non dare risposte chiare, concrete e dirette a tre questioni pendenti della Chiesa: il posto della donna nell’istituzione, lo sradicamento degli abusi e la rottura della spina dorsale del clericalismo. Tre fenomeni per i quali non c’è tempo da perdere e per i quali la società non dà tregua, tanto meno in quest’epoca di continua accelerazione.

Finché sarà clericale, la Chiesa non potrà essere evangelica, perché continuerà ad essere appannaggio privato di un’élite, di una casta clericale, che domina, impone e controlla. Ci sono piccoli riferimenti anticlericali, come il passaggio dei consigli parrocchiali da consultivi a deliberativi, il rafforzamento delle conferenze episcopali, l’attivazione dei sinodi diocesani o la creazione di un Consiglio di Patriarchi attorno al Papa.

Misure, a mio avviso, insufficienti a spezzare la schiena alla piaga clericale. Sembra piuttosto che si cada, ancora una volta, nel classico gattopardismo ecclesiastico. Può una Chiesa essenzialmente clericale smettere di essere clericale da sola, fare harakiri a se stessa?

Sono molto deluso dall’approccio al tema degli abusi, senza una denuncia chiara e forte del sistema di insabbiamento in vigore da molti decenni e, soprattutto, senza proporre misure concrete di riparazione. “Le vittime devono essere accolte e sostenute con grande sensibilità”, si legge nel documento. E questo è tutto? Che vergogna!

E la stessa vergogna provoca quando affronta il tema della situazione palesemente discriminatoria delle donne nella Chiesa. Il documento indora la pillola, riconosce che sono parte fondamentale dell’istituzione e della sequela del Maestro, ma non trae conclusioni.

I sinodali dicono che la donna merita di ricoprire “ruoli di leadership”, ma nemmeno apre loro la porta al diaconato ministeriale, che intende lasciare socchiusa, affermando che “è necessario un più ampio discernimento”. Per quale fine, per quale motivo se il grido del popolo santo di Dio chiedeva, in tutte le assemblee sinodali, l’accesso delle donne ai ministeri ordinati? Un’istituzione così strutturalmente machista continuerà a sputare in faccia alle donne.

Forse non si può andare oltre per salvare l’armonia, l’equilibrio e la comunione ecclesiale. Perché nella Chiesa continuiamo a starci tutti, tutti, tutti. Ma fa male questo ritmo così lento, con il quale è difficile “superare resistenze e abbandonare la routine”. Il clericalismo o lo si soffoca o continuerà a fare di testa propria. Alcuni vivono benissimo, attaccati al bastone del potere e dei privilegi vitali, tanto da sottomettersi di propria iniziativa al ritmo ed al processo sinodale. Di questo passo, campa cavallo...

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Articolo pubblicato il 26.10.2024 nel blog dell'autore e in Religión Digital
( www.religiondigital.org )
Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli

 

Sembra che a notte

si diano convegno

in sala d’attesa

come a sommare

le loro disgrazie.

 

L’angoscia

dipinta sui volti

scavati

corrode le ossa

percorse

da gelide

ondate di morte.

 

Sono lì anch'io

come atterrito

da uomini

che sembrano

ombre di morte,

e temo l’incontro

di quegli occhi

che lanciano sguardi

pieni di fiamma.

 

Tanti racconti, spezzettati,

come litanie d’inferno

s'intrecciano

nella lunga notte.

Franco Barbero, 1979

Trovato l’editore molto dopo