DERIO
OLIVERO
Insegnamento,
religioni, spazio laico
Verso un nuovo statuto dell’ora di religione nella
scuola pubblica
L'assetto dell'insegnamento della religione cattolica
in Italia ha conosciuto una significativa evoluzione dai Patti lateranensi del 1929
alla loro revisione nel Concordato del 1984 in considerazione dei profondi
mutamenti culturali ed ecclesiali registrati in quei decenni. Mons. Derio
Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione Episcopale per
l'Ecumenismo e il dialogo interreligioso, si chiede se i nuovi scenari sociali
e religiosi maturati negli ultimi quaranta anni non giustifichino un ulteriore,
profondo, coraggioso ripensamento in direzione di un insegnamento della
religione in chiave interreligiosa. Preso atto della nuova situazione di
pluralismo religioso e della 'fine della cristianità', anche il ruolo della
religione, e quindi della sua presenza nella scuola, è chiamato a ripensarsi e
proporsi come «luogo dove le religioni sono riconosciute, dove il fenomeno
religioso non viene taciuto, ma conosciuto e accolto come fattore capace di
generare umanità e di costruire legami fraterni. Nello stesso tempo un luogo
non delegato a “qualcuno”, ma assunto dallo stato e dalle religioni, senza concorrenza
e senza paura di invasioni di campo, nel rispetto delle tradizioni».
Da alcuni anni ho il piacere di occuparmi di ecumenismo
e dialogo interreligioso. Ho imparato molte cose, anche in riferimento alla
storia dell'ecumenismo. Ma soprattutto sono stimolato ad aprire gli occhi sulla
nuova configurazione della società. Mi accompagnano molte domande: «Quale forma
di Chiesa in questa società? Come devono muoversi i cristiani cattolici nell’Iltalia
di oggi? Quali scelte possono compiere per essere all’altezza del giorno che
vivono? Come devono rapportarsi con i non credenti e con i credenti di altre
confessioni e religioni per essere fedeli al Vangelo? Come essere “Chiesa in
uscita” nello spazio pubblico?» Porto in cuore
queste domande, che sono le stesse che accompagnano il cammino sinodale della Chiesa
Italiana1.
In questo articolo, alla luce di tali interrogativi,
desidero proporre alcuni stimoli in merito a questioni concrete come
l'insegnamento della religione e il rapporto delle religioni con lo spazio
laico.
Sono passati 40 anni dalla stipula del nuovo Concordato
tra lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica che regola anche la modalità dell’insegnamento
della religione nella scuola italiana. L’ora di religione, pur rimanendo confessionale,
diventava facoltativa nel rispetto delle libertà personali della famiglia e
dell’alunno. L’insegnamento della religione a scuola non era più «fondamento e
coronamento» dell’iistruzione pubblica come prevedeva il Concordato del 1929;
ora lo Stato riconosceva il valore della cultura religiosa e i princípi del
cattolicesimo come parte del «patrimonio storico del popolo italiano».
Questo giustificava la discontinuità con il paradigma precedente. Ora mi
chiedo: la società italiana è ancora descrivibile nei termini e nelle considerazioni
di quarant’anni fa? In questo «cambiamento d’epoca»
non siamo chiamati ad avere il coraggio di cambiamenti all’altezza delle sfide
che viviamo, anche in ordine all’insegnamento della religione nelle scuole?
_______________
1Queste domande possono
essere accompagnate e trovare lievito con l'aiuto di questa bibliografia
essenziale: Aa.Vv., Religioni e ospitalità,
Edizioni Antonianum, Roma 2021; M. Dal Corso - B. Salvarani, Ho parlato chiaramente al mondo. Per una teologia
pabblica ecumenica, Cittadella, Assisi 2020; M. Dal Corso (ed), Teologia dell’ospitalità, Queriniana, Brescia
2019; T. Halik, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare. Vita e Pensiero, Milano 2021; D. Oliveto, Laicità e religioni. Educare al futuro,
Effatà, Cantalupa (TO) 2024; E. Pace, Diversità
e plaralismo religioso, Pazzini, Villa Verucchio (RN) 2021.
Un
pluralismo nuovo
Tra le ragioni che chiedono di pensare a un nuovo
statuto dell'ora di religione c'è la consapevolezza di vivere un pluralismo
inedito. Anche un tempo, in Italia, esistevano altre religioni ed erano
presenti persone non credenti. Nel 1935, per fare un esempio, la quasi totalità
(99,60%) della popolazione presente (41.771.000) era costituita da cattolici.
Gli altri (gli a-cattolici secondo il linguaggio dell'epoca) erano appena lo
0,4 per cento (protestanti, ebrei e 18.000 non appartenenti ad alcuna
religione). Oggi la diversità religiosa e culturale è decisamente più
articolata: oltre ai protestanti e agli ebrei abbiamo musulmani (circa due
milioni), ortodossi (circa 1,7 milioni), Testimoni di Geova (oltre 400.000), induisti
(200 mila), buddhisti (300 mila), sikh (75 mila), mormoni (25 mila), baha’i (4.000)
e altre comunità religiose (92 mila) per un totale di oltre cinque milioni e
mezzo di (diversamente credenti). È il nuovo
pluralismo, che registra un cambiamento importante: dalla religione degli italiani all'Italia delle
religioni2. Può piacere o meno, ma non si può ignorare. Non è un
fenomeno passeggero. Dobbiamo metterlo in conto e ridisegnare il nostro modo di
stare al mondo dentro tale pluralismo. I cristiani, per natura, stanno nel
mondo e si prendono cura del mondo. Pertanto, nel corso della storia,
'inventano' forme diverse di Chiesa per poter essere a servizio del mondo nel
modo più appropriato. In ogni epoca ‘indossano il grembiule’ e lavano i piedi,
cioè cercano forme inedite per esprimere il loro amore e la loro cura. A
iniziare dalla capacità di descrivere e riconoscere il mondo per quello che è.
Oggi la presenza plurale delle religioni è descritta con varie espressioni:
«mercato religioso aperto», «credere senza
appartenere», «religiosità à la carte», «fusion»...
Con ogni probabilità il pluralismo religioso che verrà sarà contrassegnato
dalla temporalità più che dall’appartenenza e verterà più sulla ricerca
spirituale e meno su una religione
istituzionalizzata. Una religiosità del pellegrino
e del convertito, più che del praticante3
Come ripensare l’insegnamento della religione in questo
nuovo contesto? Sicuramente sarà necessario un insegnamento che riconosca e
includa le altre confessioni e le altre religioni. Inoltre sarà utile
ipotizzare un insegnamento capace di non escludere coloro che sono in ricerca
pur non appartenendo ad alcuna religione (quelli che T. Halik chiama «nones»)4.
______________
2 Vedi B. Salvarani, Senza Chiesa e senza Dio. Presente e futuro dell'Occidente post-cristiano,
Laterza, Bari 2023, pp. 56-85.
3Vedi D. Hervieu-Léger, Il pellegrino e il convertito: le religioni
in movimento, Il Mulino, Bologna
2003.
4Cfr. T. Halik, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggío di
cambiare, Vita e Pensiero, Milano
2021.
La
città post-secolare
La secolarizzazione è in genere descritta come una
situazione sociale in cui è si manifesta un triplice declino: dell'importanza
della religione negli spazi pubblici,
del riconoscimento pubblico delle istituzioni religiose e, infine, delle
pratiche e dell'espressione religiosa. Qra stiamo vivendo una nuova stagione, detta post-secolare. Certamente non
sta aumentando la pratica (soprattutto dopo il Covid-19). Ma il fenomeno
religioso ha un'altra incidenza. Nell'epoca del ritorno del sacro i simboli
religiosi e le comunità religiose pretendono udienza e chiedono di essere
riconosciuti nello spazio pubblico. Qua e là si generano episodi di
fondamentalismo sia da parte delle religioni sia da parte del mondo laico. É
urgente affrontare questa situazione mettendoci in dialogo, liberi dai
pregiudizi e dall'arroccamento sugli spazi conquistati nel passato. Non si
tratta di difendere il passato, ma di costruire il futuro.
In Italia, la città post-secolare è quella che vede una
ripresa non tanto delle pratiche religiose tradizionali, ma di dinamiche di
ricerca religiosa e spirituale per gran parte inedite e imprevedibili. È
possibile imbattersi in una crescente disponibilità verso pratiche spirituali
non necessariamente religiose in senso stretto. L’incidenza del 'welfare religioso’ tende ad aumentare,
l’offerta religiosa è sempre più diversificata. Incontriamo la nuova
religiosità degli immigrati, dovendo fare i conti con il ‘Dio dei migranti'. Nello stesso tempo permane lo spirito della
vecchia secolarizzazione che continua a regolare il rapporto tra Stato e
Chiesa/e. Tutta questa realtà interpella la nostra Chiesa. Oscilliamo tra la rivincita di Dio (G. Kepel) e la nostalgia per l'età della cristianità.
In quest’epoca complessa e liquida, in questo tempo di «umanesimo esclusivo»
(Ch. Taylor) e di «ritorno del sacro», in questo tempo inquieto e in ricerca
dove ritorna ‘in pagina' il fenomeno religioso, diventa urgente superare
l'analfabetismo religioso. Soprattutto diventa necessario cogliere la rilevanza
pubblica delle religioni quale contributo al bene comune dentro la città
plurale, quale serio contributo alla coesione sociale. In questa prospettiva l’insegnamento
della religione nella scuola diventa
determinante. Non è una materia facoltativa, da concedere agli appartenenti a
una confessione. É sempre più una materia (per tutti), per offrire chiavi
ermeneutiche della realtà e chiavi capaci di generare cammini di dialogo all’interno
di un nuovo spazio pubblico, per la costruzione di una nuova società e per la
costruzione di un’etica globale.
Quale
insegnamento della religione?
Per rispondere alla domanda desidero partire da questa
citazione:
Non c’è mutazione che non sia governabile. Abbandonare
il paradigma dello scontro di civiltà e accettare l’idea di una mutazione in
atto non significa che si debba prendere quel che accade così com’è, senza
lasciarci l’orma del nostro passo. Quel che
diventeremo continua a esser figlio di ciò che vorremo diventare. [...]
Detto in termini elementari, credo che
si tratti di essere capaci di decidere cosa, del mondo vecchio, vogliamo
portare fino al mondo nuovo. Cosa vogliamo che si mantenga intatto pur nell’incertezza
di un viaggio oscuro. I legami che non vogliamo spezzare, le radici che non
vogliamo perdere, le parole che vorremmo ancora sempre pronunciate, e le idee
che non vogliamo smettere di pensare. È un lavoro raffinato. Una cura. Nella
grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. É un gesto di difficile
perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella
mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al
riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se
stesso in un tempo nuovo5.
Che meraviglia immaginare una Chiesa non tanto intenta
a “mettersi in salvo” dalla mutazione, ma intenta a stare dentro la mutazione.
Una Chiesa che non cerca un riparo, uno spazio neutro per preservare intatta la
propria identità, bensì una Chiesa che cerca di ridiventare se stessa nella
mutazione, in un tempo nuovo. Una Chiesa che non ha paura di mettere a disposizione
di tutti ‘ciò che gli è caro’. Una Chiesa che semina una ‘semente preziosa' non
nel terreno che si inventa, ma nel terreno che trova. Con la fiducia che
proprio il terreno ‘che trova’ sarà in grado di produrre una messe nuova.
Proprio come dice Papa Francesco: «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e
sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la
chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze» (EG 49). Una
Chiesa che sa essere ‘minoranza generativa’, capace di stare alla pari con
tutti, come 'una tra i molti'. Dunque
una Chiesa che dialoga con la cultura, senza pregiudizi e senza prevaricazione.
E dialoga con i ‘diversamente credenti’, senza pregiudizi e senza
prevaricazione. Ed entra con questo
stile nello spazio pubblico. In punta di piedi. Con passione, ma senza
prevaricazione. Per contribuire al cammino della giustizia e per collaborare
alla formazione dei cittadini e alla coesione sociale. Con il suo incredibile
bagaglio di cultura e, soprattutto, con il suo incredibile potenziale di
speranza e di senso.
Con questo stile la Chiesa desidera entrare nella
scuola. Per contribuire non tanto a educare dei credenti, ma dei cittadini.
Cittadini capaci di abitare questo tempo, plurale e post-secolare. Capaci di
capire questo tempo e di impegnarsi a costruire una società in dialogo nelle differenze,
in pace, In questa luce è urgente ripensare sia l’idea di ‘laicità’ che ‘”idea
di ‘identità credente'. Per uscire dalla loro assurda incornunicabilità, ormai
non più accettabile. Per fare un passo avanti rispetto all'ipotesi metodologica
della formula «etsi deus non daretur”.
ll cittadino di oggi deve essere quello che si confronta con il fatto
religioso, non quello che lo evita. Il pluralismo religioso, quale tema educativo,
aiuta a ripensare la laicità in termini inclusivi piuttosto che esclusivi o per
sottrazione. Ma obbliga anche a cercare una nuova idea di identità credente,
non separata dalla societa, non contro la società, ma capace di auto-comprendersi
nel confronto con la pluralità religiosa e la post-secolarità. In questa
prospettiva si può immaginare l’insegnamento della religione in chiave interreligiosa.
Anzi, di più: se la cultura religiosa è chiamata ad essere parte delle
conoscenze e delle competenze dello studente in formazione, possiamo ipotizzare
un insegnamento della religione per tutti, superando l’equivoco della
facoltatività. La conoscenza del fenomeno religioso presentato in chiave
plurale abiliterà lo studente a diventare un cittadino in grado di comprendere
la società in cui sarà chiamato a vivere e lo allenerà a essere capace di dire
sé senza negare l’altro. Di dire sé, senza mettere tra parentesi l'altro e
senza mettere tra parentesi l’Altro. Credente o non credente saprà stare con
credenti e non credenti, senza preclusioni, pregiudizi, prevaricazioni. E sarà
aiutato a superare dannose divisioni fra “differenti, perché abilitato a
conoscere ed apprezzare le differenze. Dunque possiamo pensare l’insegnamento
della religione a scuola non più come «fondamento e coronamento» dell’istruzione
(Concordato del 1929), ma neanche più giustificato sul «patrimonio storico»
del popolo italiano (Nuovo Concordato del 1984). Possiamo immaginare un nuovo
statuto che sappia interpretare il «cambiamento d’epoca»,
la metamorfosi della religione, il cambiamento della religione in spiritualità
e l’aumento di coloro che non si riconoscono in nessuna religione. Un nuovo
statuto che parli anche ai ‘cercatori di spiritualità’, che favorisca quello
che T. Halik chiama il terzo ecumenismo (dopo quello tra le Chiese e il dialogo
interreligioso, anche quello con i «nones»)6.
Uno statuto che contribuisca alla creazione di una civitas ecumenica, capace di riconoscere ed apprezzare le didifferenze.
In questa luce la Chiesa Cattolica potrà fare un “passo indietro”, rinunciando a uno spazio che le spetta di
diritto in nome del Concordato, per aiutare la società a fare un passo avanti.
Per la nostra Chiesa questa è una sfida importante. Per essere ancora un
soggetto attivo nella costruzione della società di domani. Non una (riserva
indiana, o una (cittadella fortificata, ma una minoranza preziosa e generativa.
_____________
5 A. Baricco, Ibarbari.
Feltrinelli, Milano 2006, pp.I79-180
Le
religioni nello spazio pubblico
Il discorso relativo all'insegnamento della religione,
come abbiamo detto, si colloca dentro un contesto più ampio. In Italia si è
passati dal ‘monopolio’ della religione cattolica al pluralismo religioso.
Inoltre il fenomeno religioso ha mutato forma. Il ruolo sociologico e politico
della religione si è quasi dissolto, ma non si è interrotta la ricerca di senso
che la religione continua a offrire a tutti i ricercatori. Quella che si va
aprendo potrebbe risultare una nuova era per
le religioni, e in particolare per il cristianesimo. Se questa analisi è
corretta, diversamente dalla stagione della cristianità,
il ruolo pubblico della religione è chiamato a ripensarsi e a farlo radicalmente.
Se le chiese e le religioni vorranno parlare
pubblicamente, lo dovranno fare in chiave ecumenica e interreligiosa. Oggi
credere è un’opzione personale che chiede alle religioni non lo spirito di
concorrenza, ma quello della condivisione. Oggi la società plurale non sopporta
imposizioni da monopolio, ma aspetta sorgenti di senso. Le religioni dovranno
lavorare non sul proselitismo, ma sull'attrazione (Benedetto XVI). Oggi lo
spazio laico, sicuramente libero, liquido, plurale, soffre spesso di una
neutralità vuota, fatta di sottrazione più che di creazione. Le religioni, in
punta di piedi, potranno offrire con grande umiltà un preziosissimo contributo
di senso, di bellezza, di fraternità, di coesione sociale. Questo è il tempo e
lo spazio in cui le religioni possono concorrere a costruire un futuro per
tutti, stando nello spazio pubblico non per rivendicare diritti del passato, ma
per aiutare a costruire una grammatica di senso per la vita sul pianeta. Vogliamo,
in fondo, provare a trasformare i problemi in occasioni di crescita scegliendo il
pluralismo religioso non solo come realtà di fatto, ma come principio di un
nuovo paradigma di convivenza.
____________
6 Vedi T. Halik, La Chiesa
nel cambiamento. Trentatré tesi, in «La Rivista del Clero Italiano», 103
(2022/12), pp. 833-848.
Il
futuro del cristianesimo
In questa luce qual è il futuro del cristianesimo?
Rispondo a questa domanda facendo mie le parole di un valido teologo: Se nella
storia del cristianesimo continua l’”incarnazione, allora dobbiamo essere
pronti al fatto che Cristo entri ancora e in modo creativo nel corpo della
nostra storia, in culture diverse. Se nella storia continua il dramma della
crocifissione, allora dovremmo imparare ad accettare che molte forme di
cristianesimo moriranno dolorosamente e che alla morte appartiene anche il
momento oscuro dell’abbandono, della ‘discesa agli inferi’. Se nella storia
continua il mistero della resurrezione, allora dovremmo essere pronti a cercare
Cristo non fra i morti, fra le tombe vuote del passato, ma scoprire la ‘Galilea
di oggi’ (una ‘Galilea pagana’) dove lo ritroveremo sorprendentemente trasformato.
Sono convinto che la Galilea di oggi sia quel mondo dei ‘nones’ al di fuori dei confini visibili della Chiesa. Se la Chiesa
è nata dall’evento della Pentecoste e questo evento continua nella storia,
allora bisogna sforzarsi di parlare in modo da essere compresi da persone di
culture, nazioni, lingue diverse: e la Chiesa deve parlare in modo
comprensibile, ma non banalizzato, deve parlare soprattutto in modo credibile, 'cuore
a cuore'. Deve essere un luogo di incontro e dialogo, sorgente di
riconciliazione e di pace [...]. Il rispetto per le differenze e l'accettazione
degli altri nella loro diversità sono essenziali non soltanto nelle relazioni
fra individui, ma anche nelle relazioni fra popoli, culture e religioni. L'ecumenismo
è una delle forme non omissibili dell'amore cristiano. É una delle facce più
credibili e convincenti del cristianesimo. Se la Chiesa cattolica deve essere
veramente cattolica deve completare quella conversione cominciata con il
Concilio Vaticano II: la conversione dal cattolicesimo alla cattolicità.
Tutte le Chiese e tutti i cristiani che recitano la
professione di fede apostolica o niceno-costantinopolitana si riconoscono nel
dovere di coltivare la cattolicità del cristianesimo; quell’apertura della
Chiesa che rispecchia le braccia spalancate di Cristo sulla croce. Nessuno è al
di fuori dell'amore di Cristo7.
Ospitalità,
fraternità e dialogo
Il capitolo ottavo dell’enciclica Fratelli tutti ha un titolo che e già un programma: Le religioni al servizio della fraternità
universale8. Ospitalità e fratellanza sono il contributo specifico
delle religioni alla società. Per questo si impegnano al dialogo. Tra le
religioni è possibile un cammino di pace. Il punto di partenza dev'essere lo sguardo
di Dio. Perché «Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore». E l’amore
di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque religione sia. E se è ateo, è
lo stesso amore. Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce
sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese9.
Crediamo che siamo figli e figlie dello stesso Padre.
Tale verità fonda il valore di ogni persona indipendentemente dal suo stato
sociale, culturale e da qualsiasi appartenenza religiosa e rivela che l’impegno
per la pratica fraterna e ospitale è compito religioso oltre che etico. La figliolanza
divina fonda la teologia dell'ospitalità e della fratellanza. I diritti della
persona non nascono solo da un'etica condivisa, ma sono espressione del carattere
trascendente dell’umano riletto in chiave religiosa. L’impegno per la giustizia,
per la pace, per la coesione sociale dice qualcosa di decisivo in relazione
alla verità delle religioni e del necessario dialogo tra esse. La vocazione
profetica delle Chiese e delle religioni non deriva da una qualche ideologia
alternativa, ma si fonda su questa verità: siamo tutti gli ospitati su questa
terra. Alla luce di questa certezza Papa Francesco nell'enciclica Fratelli tutti (capitolo secondo) fonda
biblicamente la fratellanza sulla parabola del Buon Samaritano. La parabola gli
serve per fondare la fraternità non tanto sulla paternità divina, ma sulla
prossimità etica messa in campo dal samaritano. Tale scelta ci sembra aiuti a
fare della fraternità un ‘discorso pubblico’ perché non chiede l’adesione a una
verità delle religioni, ma chiede di rispondere ai bisogni dell’altro. Al n.
285 scrive: «dichiariamo di adottare la cultura del dialogo come via, la
collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e
criterio».
Ecco il cammino tracciato per la nostra Chiesa. Un
cammino che accoglie l'ecumenismo e il dialogo interreligioso come essenziali.
Un cammino che ci stimola a ‘generare’, nello spazio pubblico il dialogo, la
collaborazione, la coesione sociale. In una parola, un cammino che ci impegna a
essere pellegrini e costruttori di fraternità. Pellegrini disposti a camminare
con tutti, consapevoli di essere sulla stessa strada. E costruttori di
fraternità, capaci di riconoscere la dignità dell’altro.
L’insegnamento della religione nella scuola deve essere
pensato in questa direzione. Un luogo dove le religioni sono riconosciute, dove
il fenomeno religioso non viene taciuto, ma conosciuto e accolto come fattore
capace di generare umanità e di costruire legami fraterni. Nello stesso tempo
un luogo non delegato a ‘qualcuno’, ma assunto dallo stato e dalle religioni,
senza concorrenza e senza paura di invasioni di campo, nel rispetto delle
tradizioni. Un vero insegnamento per la costruzione del cittadino di domani,
credente e non credente. Un luogo di educazione al dialogo e alla fraternità.
Un luogo per educare il cittadino a vivere nella società plurale e
post-secolare, in un continuo allenamento a non escludere l’altro e neppure l’Altro.
Mi immagino le reazioni del mondo laico e del mondo
cattolico. Per molti laici tale proposta può apparire uniinvasione di campo. E
per molti cattolici può sembrare un cedimento, una manifestazione di debolezza,
una pericolosa apertura al relativismo.
Ai laici rispondo rimandando alle riflessioni di due
laici. Il primo scrive:
É giusto insegnare ai nostri figli a pregare, se Dio è
morto? [...] Pregare è un modo per custodire l’evocazione di un Altro che non
si può ridurre alla supponenza del nostro sapere, è un modo per preservare il
non tutto, per educare all’insufficienza, all'apertura al mistero, all'incontro
con l’impossibile da dire [...]. Ho deciso, con il consenso di mia moglie, di
insegnare ai miei figli che è ancora possibile pregare perché la preghiera
preserva il luogo dell'Altro come irriducibile a quello dell'io. Per pregare -
questo ho trasmesso ai miei figli - bisogna inginocchiarsi e ringraziare. Di
fronte a chi? A quale Altro? Non so rispondere e non voglio rispondere a questa
domanda. E i miei figli, d’altronde, non me la pongono. Quando me lo chiedono,
pratichiamo insieme quello che resta della preghiera: preserviamo lo spazio del
mistero, dell'impossibile, del non
tutto, del confronto con l’inassimilabilità dell’Altro10.
Immediatamente cogliamo un guadagno enorme dell’insegnamento
della religione nella scuola. Esso aiuta i ragazzi a mantenersi aperti al
Mistero, ad uscire dalla ipertrofia dell’io. Se non si riconosce la verità
trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare
fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la
propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro11.
____________
7 T. Halik, Pomeriggio del cristianesimo, cit., pp.
253155.
8 Papa Francesco. Fratelli tutti, cap. VIII, nn. 271-286.
9 Ibi, n. 281.
Inoltre
aiuta a creare spazi sacri:
[...occorre] creare spazi (sacri, (perché inviolabili
da parte della pre-potenza umana), ma di una ‘sacralità laica' in quanto rivolta
concretamente a tutte le persone e a tutti i soggetti. All'interno di un
orizzonte si atto si dovrebbe verosimilmente pensare anche a uno ‘spazio’ in
cui il sapere filosofico si congiunge allo spirito sapienziale integrando nelle
proprie espressioni elementi religiosi, artistici, rituali ecc.; definiti,
però, naturalmente, dalla loro (completa) apertura e pluralità. Qui la politica
‘spirituale’, o ‘sapienziale’ (così si potrebbe chiamare la nuova politica),
potrebbe essere intesa, invece che come quella che conserva la funzione di
potere ma escludendo l’impegno veritativo e religioso, come quella che conserva
completamente tale impegno ma in una maniera che l’aiuta a liberare
progressivamente la società rispetto a qualsiasi dinamica di potere e quindi
rispetto alla pre-potenza in questo insita11.
Ai
cattolici ricordo semplicemente questo incisivo passaggio:
Di fronte alla presenza delle religioni altre, il
cristiano, mentre s’interroga sulla propria identità, percepisce che gli
interrogativi che provengono dall'universo delle religioni interpellano la
comprensione che il cristianesimo ha di se stesso”.
__________
10 M. Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca
ipermoderna, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011, pp. 11-12.
11 Francesco, Fratelli tutti, n. 273.
12 LV. Tarca, Al cento per cento laica e al cento per cento
religiosa. La verità nella società plurale, in D. Olivero, Laicità e religioni. Educare al futuro, Effatà, Cantalupa
(TO) 2024, p, 66.
13 C. Dotolo, Un cristianerimu possibile. Tra postmodernità
e ricerca religiosa, Queriniana, Brescia 2017, p. 143.