martedì 11 marzo 2025

 Riccardo Staglianò

 Hanno vinto i ricchi

Cronache da una lotta di classe

 

Mentre i ricchi guadagnano sempre di più e pagano sempre meno tasse, l’Italia raggiunge nuovi record di povertà. Oltre a essere l’unico Paese europeo in cui, negli ultimi trent’anni, i salari sono diminuiti. Fino a quando ci sembrerà normale?

Siamo l’unica nazione in cui, dal 1990 al 2020, i salari si sono ristretti del 3 per cento invece di crescere, certifica l’Ocse.

Com’è stato possibile? E com’è che questo sconcertante dato non è
diventato il cavallo di battaglia di ogni forza progressista del Paese?

Eppure il disastroso primato non è avvenuto per caso. È stato
meticolosamente preparato, in America come da noi, dall’ideologia
neoliberista che vedeva il Male in ogni intervento perequativo dello Stato. Un’offensiva di fronte alla quale la sinistra si è fatta trovare drammaticamente impreparata. Questo libro nasce da tali domande oltre che dalla celebre affermazione di Warren Buffett sulla lotta di classe, che esiste ma è stata vinta da ultraricchi come lui. Nessuno, nel frattempo, ha preso sul serio la fotografia della nostra disfatta e ha provato a intervenire. Anzi, come peculiare contributo, l’attuale maggioranza parlamentare ha affossato la ragionevole proposta di introdurre un salario minimo che, come il reddito di cittadinanza, senz’altro non era la soluzione alle cause strutturali della nostra debolezza ma con altrettanta certezza avrebbe giovato.

 

Nota di Franco Barbero

Il vero problema è qui ben documentato da Riccardo Staglianò, ma nelle singole città il progetto di una sinistra con un progetto condiviso e non con la politica ballerina di alleanze che durano una campagna elettorale o ancor meno. Ci vuole una ripartenza etica. Questo a mio avviso è il nodo. Mettere gli strumenti che abbiamo al vaglio dell'etica.

Franco Barbero, 7 marzo 2025

DOPO LO SCONTRO NELLO STUDIO OVALE IL PRESIDENTE UCRAINO VOLA A LONDRA

 

Starmer con Zelensky «fino alla fine»

L'Europa prova a rispondere a Trump

 

Oggi nella capitale inglese il vertice con i leader europei. Ci sarà anche Meloni che vorrebbe fare la pontiera

La leader di Fdl deve fare i conti anche con le divisioni della sua maggioranza. Lega e FI litigano sul tycoon

 

GIRO, IKONOMU, MACCAFERRI e SEBASTIANI da pagina 2 a 4

 

Domani, 2/03/2025

Gruppo biblico dedicato alla lettura del Vangelo di Matteo oggi, martedì 11 marzo


Care amiche e amici del gruppo biblico del martedì,

Questa sera ci incontreremo alle ore 18:00 per iniziare a leggere e commentare insieme il capitolo 23 del Vangelo di Matteo.

Ci si potrà collegare a partire dalle ore 17:45.

Questo è il LINK per il collegamento:

meet.google.com/ehv-oyaj-iue

Un caro saluto.

Sergio

 Udite la parola del Signore, voi capi di Sodoma; ascoltate la dottrina del nostro Dio, popolo di Gomorra!

‘Che m'importa dei vostri sacrifizi senza numero?' dice il Signore.

‘Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l'incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto.Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova".

(Isaia 1, 10-17)

 

Eccoci al traguardo del Duemnila. Nei Balcani la guerra non ha lasciato il posto alla pace. Le bombe radioattive degli USA e della NATO ora seminano centinaia di migliata di tumori. Le armi russe stanno facendo strage in Cecenia e dintorni La Cina non ha trovato altra maniera per festeggiare i suoi 50 anni che ostentare a Pechino, in una enorme parata, la sua crescente potenza militare. In India e in Pakistan la corsa al riarmo è sotto gli occhi di tutti. L'Africa è dilaniata da guerre combattute con le armi acquistate in Occidente. La terra, i mari e l'aria sono ovunque avvelenati. I potenti non imparano nulla dalle sofferenze dei popoli e credono sempre di più nella civiltà delle armi. Poi creano lo  spettacolo dei buoni sentimenti e le ipocrisie della "Operazione Arcobaleno”.

EPPURE CREDO CHE TU, O DIO, GUARDI ALLA PACE E CI CHIAMI A COSTRUIRLA

Franco Barbero, 1999

 Verso la luce della fede

(Mt 25,1-13)

 

12.1. Una traduzione

«Il regno dei cieli è simile a dieci ragazze giovani che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle ragazze sì destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: ‘Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono’. Ma le sagge risposero: ‘No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene’, Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le ragazze che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre ragazze e incominciarono a dire: 'Signore, signore, aprici!. Ma egli rispose: ‘In verità vi dico: non vi conosco'. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

 

12.2. Linee di analisi e d’interpretazione

L'attesa intelligente della venuta del Regno è il tema essenziale della prima delle tre parabole che occupano Mt 25. Un'intelligenza che non ha in sé alcun riferimento di alto profilo speculativo, ma che consente a coloro che la esercitano di vivere da individui responsabili secondo una corretta relazione con Dio, il «partner» decisivo della propria esistenza. Il testo è, in proposito, del tutto eloquente. Esso presenta certamente alcune incongruenze, alcuni aspetti chiaramente inverosimili:

• si parla esplicitamente di nozze e di uno sposo, senza che si faccia cenno alla sposa;

 si evoca la possibilità, in sé assurda, che le cinque fanciulle imprevidenti acquistino dell'olio oltre la mezzanotte;

• si chiudono le porte del luogo della celebrazione nuziale, facendo qualcosa che non ha riscontri nella cultura ambiente di questi testi.

D’altra parte, quello che una parabola offre ai suoi lettori non è anzitutto la logicità ferrea di tutti i suoi elementi, ma un’indicazione di senso fortemente simbolico, che qui è legata, senza equivoci, all'atteggiamento di fondo che l’essere umano è chiamato ad avere dall’hic et nunc sino alla fine del tempo. Un atteggiamento che è sottolineato almeno da due caratteristiche fondamentali:

• l’acume di prepararsi attentamente all'instaurarsi definitivo dell'amore divino, non pensando soltanto all'immediato, ma gettando lo sguardo anche all'avvenire, così da mantenere una virtù solida, capace di affrontare le immancabili prove della stanchezza, dell’illusione, della fretta ansiosa, della distrazione quando l’attesa della parusia si prolunga al di là del previsto;

• l’individualità personale dell’attesa e l'impossibilità di intervenire nell’ambito di un altro: ciascuno deve pensare alla propria situazione, perché, in definitiva, sarà solo lui il responsabile della sua vita di fronte  alla «resa dei conti» finale.

La stoltezza (la radice dell’aggettivo môrai = stolte è la stessa del verbo di Mt 5,14 circa la perdita di sapore dei discepoli che non seguano i valori delle beatitudini) o l'assennatezza di cui la parabola parla sono dimensioni etiche connesse ad una prospettiva che non fa riferimento ad una preveggenza di tipo magico.

Si tratta di una sintonia interiore con lo Sposo e di una vigilanza tale da cogliere l’esistenza cristiana nel suo divenire e da collocarla sempre di nuovo sotto il segno della vocazione ricevuta e della responsabilità che tale chiamata e l'attesa conseguente implicano. Il tutto nella  consapevolezza, ribadita anche in questo passo matteano, che «non basta essere tra quelli che vanno incontro al Signore, ma il suo arrivo deve essere preparato con perseveranza e costanza, senza delegare niente a nessuno. Infatti il giudizio è personale, e nel momento finale non è più possibile rimediare ad alcuna negligenza». Gesù ha già affermato tutto questo in Mt 7,21-27, alla fine del suo primo discorso nella versione matteana, mettendo a confronto due modi, l'uno intelligente, l'altro stolto di costruire la casa della propria vita. In questa parabola, che apre l’ultimo capitolo dell’ultimo discorso del Nazareno matteano, non si fa altro che realizzare un parallelismo progressivo rispetto a quelle affermazioni del cap. 7.

In che cosa consiste il progresso in termini di contenuto? Nell'approfondimento significativo del rapporto che fonda tali “costruzioni” esistenziali: quello con lo Sposo, con il Dio di Gesù Cristo.

 

12.3. Spunti di approfondimento formativo

Cercate i passi evangelici in cui Gesù invita i suoi discepoli e gli esseri umani in generale a “vigilare/stare svegli" e delineate le conseguenze etiche quotidiane di tale atteggiamento.

• Cercate i passi evangelici e, più in generale biblici, in cui la “stupidità/stoltezza” è trattata e criticata. Che cosa significa, a partire da tali brani, non essere “stupidi/stolti” nella vita quotidiana?

 CHI PUÒ GODERE SENZA DI LUI?

 

Solo con il trascorrere degli anni ci penetra nel cuore la consapevolezza che Dio è la presenza accompagnatrice che si nasconde ma non ci abbandona.

Michael Walzer, in Esodo e Rivoluzione (Feltrinelli),  scrive che “l’Alleanza è l'invenzione politica dell'Esodo", ma la parola alleanza oggi necessita di una nuova interpretazione. Direi che oggi potremmo in qualche misura tradurla così: Dio ofire alle donne e agli uomini, anzi al creato, la Sua compagnia, la Sua amicizia.

Il libro dell’Esodo, “storia delle storie”, è la metafora per eccellenza nel nostro cammino nel presente. Come Israele non poteva conquistarsi da solo la libertà dall'Egitto, così nessuno di noi può progettare la propria liberazione senza la compagnia di Dio: ecco il cuore del messaggio.

Dio non perde occasione per ricordarlo: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, della casa di schiavitù" (Es 20,2). Ricordati: non sei uscito da solo, non sei uscito per la forza dei tuoi muscoli o per l'intelligenza dei tuoi progetti.

 

Ma noi...

E' qui che entra in gioco la nostra libertà. Possiamo illuderci di farcela da soli e pensare che Dio, girate le spalle al faraone oppressivo e visibile, sia diventato ormai superfluo per noi: diremmo un compagno di viaggio inutile, un retaggio della nostra infanzia “interiore”.

Il Deuteronomio, in uno stupendo capitolo, ricorda questa “tentazione” più che possibile: “Quando non ti mancherà più nulla, nei giorni della sazietà, guarda bene che non ti capiti di dimenticare Colui che ti ha liberato..." (Dt 8).

Siccome Dio è una compagnia esigente che ci spinge incessantemente verso la libertà bella ma scomoda, che non si accontenta di una primavera di liberazione, ecco che spunta la tentazione di disfarci di un liberatore così poco accondiscendente. Egli vuole portare noi fuori dall'Egitto e, più ancora, vuole portare l’Egitto fuori da noi. Non gli basta liberarci dal faraone esteriore, ma vuole scovare e cacciare i faraoni interiori.

 

"Non avrai altri dei..."

La storia di Israele e le nostre vicende personali lo dimostrano chiaramente: lungo il cammino della vita ricompaiono gli idoli. Non ci vuole molto acume a riconoscerli. E' sufficiente un pizzico di onestà con se stessi. Gli idoli si addensano come moscerini attorno alla lampada. La casa, svuotata di Dio, non tarda a riempirsi di una “legione di spiriti maligni", per dirla con Marco. Ma noi sembriamo piuttosto contenti e accoglienti verso questi inquilini che, lentamente, diventano i veri padroni di casa, della nostra casa. E così, tradendo il comandamento “Non avrai altri dei di fronte a me" (Es 20,3), siamo ritornati alla schiavitù delle cose e del superfluo non condiviso che diventa faraonico.

Franco Barbero, 1971

lunedì 10 marzo 2025

Iran, il velo «sconfitto»


209 deputati (su 290) del Parlamento della Repubblica Islamica hanno inviato una lettera al presidente della Camera, chiedendo l’applicazione della legge sulla castità e sull’hijab, sospesa lo scorso dicembre dal Consiglio supremo per la sicurezza. La normativa prevede pene severe per le donne e le ragazze che violano l’obbligo del velo, tra cui multe, pene detentive e fustigazioni.

MERCOLEDÌ 5 febbraio, il presidente iraniano Pezeshkian, in una sorprendente presa di posizione contraria, ha dichiarato: «Non posso far rispettare la legge perché crea problemi alla popolazione e io non mi metterò contro il popolo».

Le parole semplici di Pezeshkian contengono un enorme significato politico e sociale. È stato implicitamente riconosciuto che la legge contraddice l’articolo 9 della politica generale del sistema, che stabilisce che le leggi devono essere applicabili, orientate ai bisogni reali e garantire la massima partecipazione.

CIÒ DI FATTO significa che la legge si è scontrata con il volere del popolo, che ne ha avuto abbastanza della pretesa del sistema di controllare la sfera privata delle famiglie, delle donne e dell’istigazione degli uomini contro madri, sorelle, mogli e figlie. Certo, non c’era forse bisogno di sentire queste parole dopo decenni di proteste e repressioni, ma l’affermazione di Pezeshkian suona come una certificazione ufficiale della vittoria del movimento femminile contro le imposizioni del regime.

IL MOVIMENTO femminile iraniano è in prima linea nella battaglia per i diritti civili da diversi decenni. È riuscito a creare una catena di equivalenze tra le sue attiviste, concentrandosi sulla lotta contro le leggi discriminatorie. Le differenze tra donne religiose e secolari, tra socialiste e liberali, tra nazionaliste e attiviste per i diritti delle minoranze etniche sisono ridotte in favore di un’identità collettiva basata sulla lotta contro la discriminazione legale.

Negli anni, il movimento, colpito dall’esilio forzato di molte, ha visto una nuova generazione di donne più giovani e radicali portare la battaglia su un nuovo fronte, concentrandosi sulla liberazione del corpo femminile dal controllo statale. La lotta contro il velo obbligatorio è divenuta il centro del discorso femminile e il punto di incontro per donne di tutte le classi sociali, dalle lavoratrici urbane alle donne della borghesia religiosa, ed è diventata il simbolo dell’opposizione al regime.

QUESTA NUOVA fase ha rafforzato l’identità femminile come opposizione diretta all’identità teocratica dominante, favorendo l’alleanza con altri movimenti sociali. Le donne sono diventate protagoniste della protesta studentesca, hanno organizzato movimenti sindacali e si sono alleate con i lavoratori, portando il movimento femminile al centro della lotta per la democrazia in Iran.

LE GIOVANISSIME ragazze hanno ballato per le piazze del paese, bruciando i loro copricapo nella straordinaria mobilitazione di protesta “Donna, Vita, Libertà”, che ha attraversato l’intera società iraniana. Le onde di protesta si sono ritirate solo apparentemente dopo una lunga e sistematica repressione. Tuttavia, hanno lasciato una scia di disobbedienza civile che di fatto ha spazzato via l’obbligo del velo. La resistenza femminile, nonostante anni di repressione, ha radicalizzato profondamente il discorso democratico, rendendolo più inclusivo e universale. La società iraniana ha accumulato un tale livello di azione collettiva e resistenza che è pronta per la transizione democratica.

Le dichiarazioni di Pezeshkian, per quanto significative, certo non segnano una vittoria definitiva: le forze conservatrici al potere continueranno il tentativo di controllo sociale. Già è cominciata l’offensiva anche contro lo stesso presidente. Tuttavia, il fatto di riconoscere apertamente l’impossibilità di applicare una legge repressiva rappresenta un punto di svolta, pur non essendo appagante rispetto all’immenso tributo che le donne iraniane hanno pagato in questi anni.

LA BATTAGLIA non è solo una questione di indumento per le donne, ma il simbolo di una più ampia lotta per i diritti, la libertà e la democrazia in Iran. La voce delle donne iraniane è ormai troppo forte per essere ignorata.

Francesca Luci, Il Manifesto 10 marzo 2025

Ortensio da Spinetoli: un incontro a Roma a 100 anni dalla nascita


100 anni fa, nel 1925, nasceva Ortensio da Spinetoli, al secolo Nazzareno Urbanelli, frate minore, biblista e teologo tra i più rilevanti del secolo scorso. Per ricordarne e rilanciarne l’importante lascito umano e culturale il prossimo 26 marzo a Roma, presso la Basilica dei Santi Apostoli, dalle 16 alle 18, gli “Amici di Ortensio”, un gruppo di persone che gli erano vicine in vita e che continuano anche oggi il loro impegno a divulgarne il pensiero e l’opera, hanno organizzato un incontro, dal titolo: “Ortensio da Spinetoli. Fede e provvisorietà delle teologie”.

A discutere di Ortensio saranno Ricardo Peréz Márquez, teologo, fondatore ed animatore – insieme ad Alberto Maggi – del Centro studi biblici “G. Vannucci” di Montefano ed Augusto Cavadi, filosofo e promotore della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” di Palermo. Ricardo Peréz Márquez e Alberto Maggi hanno spesso ospitato Ortensio a Montefano (località vicina a Recanati, dove Ortensio viveva), rompendo così quell’isolamento cui la Chiesa istituzionale lo aveva relegato sin dagli anni ’70, per contrastare la dirompente novità della sua esegesi biblica; Augusto Cavadi, che da anni collabora con la casa editrice trapanese Il Pozzo di Giacobbe, ha favorito la riedizione di due importanti volumi di Ortensio, da tempo introvabili: La Conversione della Chiesa e Rifondare la Chiesa (diversi libri di Ortensio sono da tempo disponibili nella libreria online di Adista, www.adista.it/adistalibri, 06/6868692).

Esperto del Nuovo e Vecchio Testamento, Ortensio ha dedicato gran parte della sua vita allo studio della Parola di Dio attraverso la mediazione della parola umana e all’approfondimento del Gesù storico. La sua ricerca ed il suo contributo innovativo all’esegesi delle Scritture gli provocarono diversi problemi con l’autorità ecclesiastica: la Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1974 lo mise sotto indagine; non venne condannato, ma fu comunque sollevato dall'insegnamento e limitato nei suoi interventi pubblici.

Avulso da ogni forma di protagonismo anche nell’ambito dell’area della sinistra cristiana, della teologia progressista e del cattolicesimo più apertamente conciliare, è stato però uno dei punti di riferimento per coloro che hanno condotto uno studio storico critico della Bibbia, cercando di raccontare il Gesù dei Vangeli, “liberandolo” dal Cristo di tanta tradizione teologica e devozionistica. Gesù uomo, piuttosto che il Gesù «Dio», di cui per Ortensio si era parlato moltissimo, tanto che il Cristo della fede aveva finito per prendere il posto del Gesù della storia, con la conseguenza che l’annuncio si è sovrapposto all’evento.

Per comprendere meglio l’evento Ortensio si è sempre sforzato di analizzare il testo biblico mettendolo in relazione con la cultura e il linguaggio dell’epoca, con il contesto storico, politico e religioso in cui il testo era stato prodotto. In questo modo aveva messo in discussione alcuni “tabù” del cattolicesimo, come il peccato originale, il “sacrificio” eucaristico, la verginità di Maria, il concetto stesso di “figlio di Dio”. Perché la cifra del suo magistero è sempre stata quella di rifiutare qualsiasi tipo di dogmatismo, sottolineando sempre che ogni risposta non è mai quella definitiva. Anzi, rilevava, «le più giuste, senz’altro migliori, sono quelle che devono venire. Sappiamo cercare e aspettare fiduciosi». La modernità del suo approccio allo studio della Bibbia e alla riflessione teologica stava nella consapevolezza che queste discipline non potevano ormai prescindere da tutte le conoscenze che nel XX secolo le scienza e la riflessione filosofica avevano apportato: «La pretesa – disse nel corso di una intervista rilasciata alla nostra agenzia nel 2005 in occasione dell’elezione di Ratzinger (v. Adista n. 36/2005) – che vi sia una sola maniera di rapportarsi con la verità non è più ammissibile dopo la scoperta della provvisorietà della conoscenza umana e della precarietà dei modi di comunicazione, come sostiene la filosofia del linguaggio».

Valerio Gigante, 7 marzo 2025

Da Adista Notizie n° 10 (15 marzo 2025)

Caro Papa,
 

Mi spiace sapere che da mesi ormai sei ammalato e non si vede via d'uscita se non verso la morte.
Come fai a non capire che, in certe condizioni, è l'ora giusta per dimetterti?
Un Papa o l'altro conta poco rispetto alla fede, conta semmai per la chiesa gerarchica.
In Vaticano, chi dice che le tue comunicazioni in arrivo e in partenza sono sotto controllo e chi vede come naturale questo alternarsi continuo di altissimi prelati; io penso che è in grande svolgimento la gara per il conclave. Tutti affari vergognosi che non confermano il patriarcato in decadenza, ma in piena e mondana crescita.
Le tue settimane di malattia sono il tempo delle coalizioni cardinalizie in vista della gara finale. Credo che le tue dimissioni abbrevierebbero questo sconcio spettacolo tra ”cardinali guerrieri” e così i veri problemi della chiesa vanno ai margini.
Grazie per alcune posizioni che non hai avuto il coraggio di assumere, ma hai aperto qualche spiraglio.
Vai con Dio. Anch'io lo desidero tanto per me.
Spero che possiamo tornare presto ad occuparci della fede in Dio e lasciare alle scandalose gerarchie un po’ di silenzio in cui potrebbero, tra tanti cardinali così scadenti e cadenti, forse individuare un cardinale che crede in Dio e cerchi di camminare sul sentiero che Dio ci ha indicato tramite Gesù.
Buon viaggio in questo ultimo tratto. Ti saluto con affetto e anche un po’ di gratitudine.

Don Franco Barbero, Pinerolo 6 Marzo 2025

 CARO FRANCESCO D'ASSISI...

 Marco Campedelli

 

Caro Francesco, ho immaginato quando ti chiamavano il "matto". Che cosa fosse la tua follia, non era facile capirlo. Tuo padre, Pietro di Bernardone, ti aveva preso l'armatura più bella e lucente. Lui che nobile non era, ma ricco sì, mercante, voleva un cavaliere che facesse invidia ai nobili di Assisi. Ed è proprio al ritorno dalla guerra con Perugia che ti hanno chiamato il "matto". La gente seria pensa che si possa tornare dalla guerra come si torna da una partita di golf. Sono quelli come il generale Cadorna, macellaio della Corona, che stava nei caffè di Udine mentre i "suoi soldati" nelle trincee marcivano in cancrene di topi e di pidocchi. Dalla disperazione si tagliavano le dita e lui, il generalissimo, li faceva mettere al muro. Fucilati per alto tradimento. Altri finivano nei manicomi, li chiamavano "scemi di guerra". I medici dicevano che erano preda di "tempeste sensoriali", vittime di suoni assordanti, terrificanti della guerra. Nevrosi di centinaia di migliaia di ragazzi di tutta Europa, del mondo.

Così quando ti hanno visto che parlavi con gli alberi, ti hanno detto "il matto". Perché tu sì che le sentivi le voci degli alberi e il loro pianto, quando sotto le bombe stavano diritti e non potevano scappare. Si stringevano, allungando le radici sotto terra, abbracciati. Eri matto perché parlavi con gli uccelli che perdevano la rotta del volo, e ti stringevi ai cani e ai gatti, nudi, disarmati, con il cuore che correva più svelto delle loro zampe. È lì, Francesco, che hai chiamato l'acqua sorella, quando rossa di sangue si lamentava e piangeva, hai chiamato madre la terra, quando perdeva i figli che le venivano piantati nel grembo senza carezze, senza fiori. Eri il matto perché cantavi la bellezza degli alberi quando era perduta, l'allegria della terra quando era in pianto, la tenerezza degli animali quando erano annichiliti dal terrore.

La tua malattia si chiamava immaginazione. E immaginando il mondo lo spingevi a inventarsi di nuovo. Cantavi gli alberi, i fiumi, il vento, così che si innamoravano di nuovo. Ed era come all'inizio, nella prima creazione. E la terra tornava a vestirsi di foglie, e il vento portava i pollini più leggeri, e anche l'acqua fremeva di passione. Così il mondo si rinnamorava. Perfino il lupo ti diventò fratello, perché sapevi bene chi davvero è crudele. Quelli che ordinano la guerra. E i lupi non lo fanno. Così ululavi con frate lupo sotto la luna, come una sirena, un allarme, per dire "riparatevi gli occhi, le mani, bambini, mettevi in salvo".

Hai commosso perfino la morte, Francesco. "Tutti scappano quando io arrivo", ti disse. "Pensano che io sia ladra, vigliacca, pronta a portar via loro la vita, ma anch'io sono stata fatta, messa dentro l'impasto della creazione". Sentirsi dire sorella fu per la morte la prima, unica commozione. "Tienimi la mano, baciami, Francesco", disse. "Ho tanta paura, ti prego". Che scandalo, Francesco, quando abbracciasti quel "lebbroso" di Hiroshima, sotto il fungo atomico, in un acre odore di morte. Ti eri fatto un sacco cucito di beatitudini e facevi capriole verso il cielo.

Quello che ti lacerò il corpo, ti strappò le carni, fino a bucarti le mani con il ferro e il fuoco, fu quando tornarono a dirti "matto" i tuoi, quelli che avevano condiviso all'inizio il tuo sogno. Dicevano che l'amore non si prende sul serio, che fa perdere la testa, fa ammalare. Allora, sentendoti tradito, tornasti dai tuoi fratelli alberi, e chiedesti agli uccelli quale rotta dovevi seguire. Il sole sembrava salire più dolce per non ferire i tuoi occhi malati e la luna ti cullava di notte come una madre.

Poi arrivò la morte e ti baciò sulla bocca. Ci pensò da allora il vento a diffondere la tua divina follia...

 

Adista 22 febbraio

POSSIANO COSTRUIRCI UNA PRIGIONE DORATA

Il vitello d’oro alla porta del cuore

 

Non appena ci si sente vivi e si gusta la prima aura di libertà, “ecco pronto il pericolo di farci conquistare dal vitello d'oro della nostra bravura e fecondità... Vogliamo diventare - scrive il teologo Drewermann - più fecondi e più forti che possiamo. E proprio qui ci troviamo improvvisamente esposti alla tentazione di adorare noi stessi…". Non appena avvertiamo scorrere nelle membra la nostra energia, ci sentiamo talmente presi da questo flusso vitale “come se parlare di Dio fosse stato soltanto una cosa impropria e infantile, a cui potremmo rinunciare; anzi, sorge l'impressione che adesso senza Dio si procederebbe molto meglio, più autonomi e più forti. Invece di idolatrare altre persone o cose arriviamo così ad idolatrare la nostra vitalità e la nostra energia naturale. Ma, in ultima analisi, così facendo siamo semplicemente ancora una volta in Egitto. Perché anche l'adorazione della propria vitalità è una prigione”. In  realtà ancora una volta non accettiamo di essere semplicemente delle creature, delle persone umane, e ci vogliamo immedesimare in un modello, in una immagine di potenza e di autosufficienza.

Ora se è vero che il topo o lo schiavo non si addicono a noi, ci esponiamo alla tentazione opposta mettendoci nei panni del vitello d’oro o del gigante. “Ci basta essere uomini, né più né meno. Certamente manteniamo questo equilibrio solo quando ci attacchiamo saldamente a Dio, e quando è inteso che non possiamo sostituire senza danno Dio con qualcos'altro”.

 

Con o senza di Lui?

Accettare radicalmente e sinceramente la nostra umanità significa accogliere la presenza di Dio nella nostra vita. Non dico che sia “impresa” facile e scontata quasto aprire la porta del nostro cuore, ma è la radice della nostra vita. Se vogliamo diventare “camminatori senza perché”, “in un mondo dove anche le strade camminano e gli uomini non sanno più da dove vengono e dove vanno” (per dirla con Eugenio Scalfari), ma si agitano tra valori di plastica, per noi è necessario ricentrare la nostra vita fidandoci della “misteriosa ma fedele” compagnia di Dio. Ha ragione Qohelet. Anche il flusso dei nostri giorni, il nostro “banale” mangiare e bere, anche il godere un po' di felicità in mezzo alla fatica, “anche questo viene dalla mano di Dio. Infatti, chi senza di Lui può mangiare e godere?" (Qohelet 2,24-25). Ecco la strada che Dio ci indica: godere delle realtà che sono felicemente fruibili senza dimenticare che esse sono doni Suoi. Il saggio Qohelet ci ammenisce. Secondo lui il vero “godimento” e la pace “possibile” si radicano nella consapevolezza che senza Dio l’uomo e la donna non esperimentano la gioia del vivere. Gesù, andando oltre, ci testimonierà come Dio ci accompagna per entrare con noi nelle nostre gioie e nelle nostre sofferenze.

 

"Cercate me e vivrete”

E' nostro compito irrinunciabile “predicare” al nostro cuore e dire apertamente agli uomini e alle donne di oggi ciò che il profeta Amos annunciava ad Israele: “Cercate me e vivrete. Non cercate Bethel, non andate a Ghilgal, non vi recate fino a Beersceba...Cercate Dio e vivrete” (5,4-6).

Possiamo utilmente cercare tante “cose”, tante esperienze, tante terapie nella vita. Ma se carichiamo di attese salvifiche queste realtà umane, se facciamo di esse dei luoghi sacri e idolatrici come Bethel....sbagliamo bersaglio.

Per fondare lnostra casa sulla roccia o, se vogliamo, per sorreggere le nostre gambe vacillanti, bisogna “cercare l’Eterno”.

Le pillole o le botteghe della felicità stanno esaurendo le loro scorte e lasciano intravedere, tra crepe enormi, una montagna di illusioni. “Ormai solo un Dio ci può salvare”.

I “new agers” ci offrono i mantra, la respirazione olotropica, la sofrologia, il channelling, il rebirth, il tanta sky dancing, il viaggio astrale...e un infinito arsenale di tecniche.

Ancora una volta vogliono dirci che la salvezza è un insieme di tecniche e un fiorente mercato. A questo costoso mercato preferisco l’amore gratuito di Dio.

don Franco Barbero, 1970

Il seminatore pazzo

Un seminatlore uscì a seminare. Vide una terra ben irrigata e passò oltre; vide una terra feconda e passò oltre; vide una terra dolcemente esposta al sole e passò oltre; vide una terra ridente e amena e ancora passò oltre. Vide finalmente una terra secca, pietrosa e sconnessa. Amò quella terra, le sorrise, le parlò, la baciò, aprì la mano e lasciò cadere il seme con abbondanza, con larghezza, senza misura.

Tutti ridevano di quel folle che seminava sulle pietre, ma egli quella notte sognò: sognò acqua che zampillava nel deserto e spighe che brillavano tra le pietre. Trascorse molto tempo. La terra era sempre una desolata pietraia che succhiava ruscelli d'’acqua faticosamente immessi tra i sassi. Il seminatore continuò ad  amare quella terra.

Un mattino, un mattino come mille altri, il seminatlore fu meraviglialto: quella terra arida e pietrosa biondeggiava di messi e in essa scorrevano torrentelli di latte e miele.

Franco Barbero, 1970