mercoledì 1 novembre 2006

RIPENSARE L’AFGHANISTAN

In realtà questi sono giorni in cui non mancano argomenti su cui riflettere.

C’è, anzi, da essere letteralmente tramortiti e sgomenti nel venire a conoscenza dei comportamenti dei nostri servizi segreti e della protezione loro accordata dal governo Berlusconi.

Sapere che a Vicenza la base militare vuole costruire un raddoppio, lascia il sospetto che anche l’Italia sia una nazione militarmente occupata da una potenza straniera. Non sono queste vere e proprio truppe di occupazione? Un governo criminale come quello USA pensa che l’Italia prosegua nella sua politica di sudditanza? Saremo servili fino a questo punto?

Ormai è tempo di ripesare l’intera vicenda delle nostre truppe in Afghanistan. Non basta dire che c’è l’ombrello dell’ONU e c’è il comando NATO.

Siamo a servizio del governo USA, collaboriamo al suo progetto di occupazione e per quanto cerchiamo di nascondercelo, siamo invasori e colonizzatori, violentatori di donne, sterminatori di interi villaggi... esattamente come le truppe statunitensi. Si tratta di soldati stupratori, pieni di cocaina e affini, pagati per uccidere. I divertimenti delle truppe tedesche aggiungono altri particolari raccapriccianti: giocano con i teschi.

Questa sarebbe la missione per instaurare la democrazia e salvare la civiltà? Esportiamo inciviltà e violenza, seminiamo stragi di civili, disastri, morte. E la gerarchia cattolica continua con le solite tiritere, con le più trite e ritrite lagne e le consuete sbrodolature dei discorsi retorici del papa. Si deplora la violenza senza nominare le centrali della guerra.

E’ tempo di tornare a casa, di ritirare le truppe, di dissociarsi da questa occupazione illegittima e criminale. L’ONU e la NATO, che finora sono sempre state manipolate dagli USA, non rappresentato più alcuna garanzia di legittimità . Ma, aldilà di questo dato, la guerra si sta dimostrando per quello che è: distruzione e morte. I fatti sono sotto gli occhi di tutti. Il terrorismo USA è più talebano dei talebani.

Pentirsi dell’occupazione e dare voce alla politica anziché alle armi, diventa un imperativo morale inprorogabile e serve un guizzo di fantasia unito al coraggio di cambiare rotta decisamente.

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