L’assemblea della chiesa cattolica italiana si è chiusa.
Qualche voce di dissenso è risuonata anche all’interno dei pochi spazi in cui gli scrematissimi e selezionatissimi delegati/e potevano intervenire.
Tutto sommato, è balzato in evidenza che questo genere di “assembramento cattolico” non ha più né senso, né valore alcuno rispetto alle sfide che la fede deve affrontare. Il metodo mortifica la libertà e rende irrilevante il discorso. Quelli/e che avrebbero qualcosa da dire sono stati prudentemente e deliberatamente esclusi/e.
Ora che questo irrilevante e inutile adempimento si è concluso, con una eucarestia in cui si è adorato il papa (= papolatria), resta un motivo in più per individuare altri percorsi di comunità, uscendo dalle solite canzoni e dai consueti trionfalismi, costruiti per coprire il vuoto.
E’ chiaro che da questa gerarchia non ci si può aspettare un briciolo di profezia.
Rilanciare la comunità
Da una chiesa àfona (=senza voce), monétona (=che ha una sola voce) ad una chiesa monòtona (=che ripete sempre le stesse cose) il passo è breve. Il frutto è una realtà ecclesiale “àtona” (=priva di vitalità).
Rilanciare la comunità significa riprendersi la parola e la responsabilità di decidere le scelte della propria esperienza comunitaria senza lasciare la “direzione” al clero. Si tratta di riprendere e costruire un cammino sinodale, cioè una pratica di corresponsabilità di decisione condivise. A volte esercitando anche il ministero profetico del dissenso.
Un pensiero ossessivo, debole, deviato
A Verona si è ascoltato un papa monotono, che non sa andare oltre le trite e ritrite considerazioni sulla famiglia e sulla secolarizzazione. Uno spettacolo penoso di un pontificato tetro, triste, terrificante.
Davvero il pensiero di Benedetto XVI è debole, incapace di guardare avanti, di spingersi oltre le sue categorie eurocentrice ed ellenistiche. Soprattutto è un pensiero “deviato”, cioè “fuori strada”. Fuori dal percorso della gente che cerca una vita adulta. “Deviato”, nell’etìmo latino, significa “fuori dalla strada”; io direi fuori da quella vita che si svolge nei sentieri dei comuni mortali.
Anziché bollare altre persone di amori deboli e deviati, il papa potrebbe cominciare a interrogarsi se per caso il suo ministero non si sia trasformato nel “mestiere del gufo tra le macerie”.
Incapace di imparare, questo pontificato sta pesando sulla istituzione cattolica come un’ombra densa e nera che prelude e preannuncia solo e sempre temporali, grandini, fulmini e saette.
La speranza che cresce
Ridotta la parola del papa a semplice opinione di un ministro della chiesa, possiamo cercare parole ben più autorevoli in tanti altri spazi ecclesiali, culturali e politici.
Soprattutto la speranza e la fiducia crescono in noi quando ci nutriamo del messaggio biblico e facciamo riferimento alla persona storica di Gesù di Nazareth e al suo messaggio.
Il vangelo deve occupare il nostro cuore. Allora anche il richiamo di monsignore Tettamanzi, a vivere più che a proclamare la nostra fede, avrà un senso.
Dalla Bibbia e dalla vita quotidiana, se il nostro cuore sa ascoltare, giungono continuamente a ciascuno/a di noi tanti inviti a “costruire” percorsi di giustizia e di solidarietà.
Qualche voce di dissenso è risuonata anche all’interno dei pochi spazi in cui gli scrematissimi e selezionatissimi delegati/e potevano intervenire.
Tutto sommato, è balzato in evidenza che questo genere di “assembramento cattolico” non ha più né senso, né valore alcuno rispetto alle sfide che la fede deve affrontare. Il metodo mortifica la libertà e rende irrilevante il discorso. Quelli/e che avrebbero qualcosa da dire sono stati prudentemente e deliberatamente esclusi/e.
Ora che questo irrilevante e inutile adempimento si è concluso, con una eucarestia in cui si è adorato il papa (= papolatria), resta un motivo in più per individuare altri percorsi di comunità, uscendo dalle solite canzoni e dai consueti trionfalismi, costruiti per coprire il vuoto.
E’ chiaro che da questa gerarchia non ci si può aspettare un briciolo di profezia.
Rilanciare la comunità
Da una chiesa àfona (=senza voce), monétona (=che ha una sola voce) ad una chiesa monòtona (=che ripete sempre le stesse cose) il passo è breve. Il frutto è una realtà ecclesiale “àtona” (=priva di vitalità).
Rilanciare la comunità significa riprendersi la parola e la responsabilità di decidere le scelte della propria esperienza comunitaria senza lasciare la “direzione” al clero. Si tratta di riprendere e costruire un cammino sinodale, cioè una pratica di corresponsabilità di decisione condivise. A volte esercitando anche il ministero profetico del dissenso.
Un pensiero ossessivo, debole, deviato
A Verona si è ascoltato un papa monotono, che non sa andare oltre le trite e ritrite considerazioni sulla famiglia e sulla secolarizzazione. Uno spettacolo penoso di un pontificato tetro, triste, terrificante.
Davvero il pensiero di Benedetto XVI è debole, incapace di guardare avanti, di spingersi oltre le sue categorie eurocentrice ed ellenistiche. Soprattutto è un pensiero “deviato”, cioè “fuori strada”. Fuori dal percorso della gente che cerca una vita adulta. “Deviato”, nell’etìmo latino, significa “fuori dalla strada”; io direi fuori da quella vita che si svolge nei sentieri dei comuni mortali.
Anziché bollare altre persone di amori deboli e deviati, il papa potrebbe cominciare a interrogarsi se per caso il suo ministero non si sia trasformato nel “mestiere del gufo tra le macerie”.
Incapace di imparare, questo pontificato sta pesando sulla istituzione cattolica come un’ombra densa e nera che prelude e preannuncia solo e sempre temporali, grandini, fulmini e saette.
La speranza che cresce
Ridotta la parola del papa a semplice opinione di un ministro della chiesa, possiamo cercare parole ben più autorevoli in tanti altri spazi ecclesiali, culturali e politici.
Soprattutto la speranza e la fiducia crescono in noi quando ci nutriamo del messaggio biblico e facciamo riferimento alla persona storica di Gesù di Nazareth e al suo messaggio.
Il vangelo deve occupare il nostro cuore. Allora anche il richiamo di monsignore Tettamanzi, a vivere più che a proclamare la nostra fede, avrà un senso.
Dalla Bibbia e dalla vita quotidiana, se il nostro cuore sa ascoltare, giungono continuamente a ciascuno/a di noi tanti inviti a “costruire” percorsi di giustizia e di solidarietà.
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