mercoledì 26 marzo 2008

"SIGNORE MIO E DIO MIO!"

Commento alla lettura biblica - domenica 30 marzo 2008

Questa pagina è un quadro da guardare attentamente senza perderci nè l'insieme nè i particolari.


La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» E, detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli dunque, veduto il Signore, si rallegrarono. Allora Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi». Detto questo, soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti». Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli dunque gli dissero: «Abbiamo visto il Signore!» Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò». Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» Poi disse a Tommaso: «Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente». Tommaso gli rispose: «Signor mio e Dio mio!» Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri segni miracolosi, che non sono scritti in questo libro; ma questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome (Giovanni 20,19-31).



Quando da giovane prete ero alle prime “armi” negli studi di esegesi e di ermeneutica, avevo fatto mia una lettura istituzionale di questa pagina. Secondo questa interpretazione ufficiale Gesù, in questa apparizione, aveva conferito ai ministri della comunità (a noi sacerdoti!) il potere di rimettere i peccati, di “assolvere” o non assolvere…

Peccato che qui “discepoli” significa tutta la comunità e di sacerdoti proprio non c’è traccia. Pensiamo un po’ se Gesù, il Risorto, aveva come prima preoccupazione quella di “istituire un sacramento!”.

Lentamente gli studi biblici mi hanno insegnato che quel “pace a voi”, ripetuto tre volte, è la chiave di volta per interpretare il versetto in cui si parla della remissione dei peccati.

E’ la comunità intera che, secondo il Vangelo di Giovanni, ha il compito di annunciare al mondo la vicinanza perdonante di Dio. E’ la pace che viene da Dio che la comunità deve annunciare per le vie del mondo.

Ben altra cosa che dare assoluzioni o negarle. L’orizzonte della riconciliazione ha una diversa ampiezza, ben altro spessore.

Dio, che ha visto crocifiggere il Suo inviato, dopo averlo risvegliato a vita nuova, vuole che lo stesso “crocifisso” risuscitato diventi il segno e il messaggero del Suo perdono, della Sua pace, della Sua accoglienza senza misura.

Il “soffio” di Dio, il Suo vento deve spingere la comunità in questa direzione.


Con fiducia


Non si tratta quindi di rinchiudersi in cenacoli di gente ossessionata dalla presenza del male, ma di camminare incontro al futuro sapendo che Dio guarda alle persone, al mondo, anche dentro le vicende più conturbanti, con fiducia. Bisogna “soffiare” nelle vie del mondo questo calore di un Dio che ama.

Nel linguaggio tipico della letteratura evangelica, il messaggio è chiaro: Gesù, il testimone di Dio per eccellenza, ci invita a guardare al mondo, alla vita, al futuro con tanta fiducia. Certo, la realtà ha molti volti di morte e di angoscia, ma Dio non è una sorgente asciutta, un fiume disseccato, un fuoco spento, un padre deluso.

Spesso siamo noi cristiani che amiamo poco la vita e ne vediamo solo le ombre, i pericoli, le ambiguità. Gesù, come uomo e come credente, sprigiona amore alla vita nei suoi incontri con le persone. Questo "pace a voi", detto e ripetuto, è come un prendere in braccio i discepoli e rituffarli nelle vie del mondo, dopo averli liberati dalle catene paralizzanti dell'angoscia.

Lasciatelo dire a me che sono vecchio! Quanto è importante amare la vita e guardare con fiducia ciò che muove nelle vie del mondo. La nostra chiesa ufficiale ha gli occhi tristi e non sa più partecipare con calore alla passione di coloro che, pur tra limiti ed errori, cercano un mondo "altro".

C'è il sospetto, tipico di molta parte della predicazione, che tutto ciò che innova o mette in discussione il "paesaggio" al quale siamo abituati, sia erbaccia da sorvegliare o da estirpare. E così nasce quella chiesa della paura e dell'aggressività che diventa ed è percepita come nemico della vita e della felicità.

Certo, occorre discernere e saper individuare i mille volti del male, ma il sole splende ancora e Dio non ha abbandonato il creato. Nel cuore degli uomini e delle donne si trovano tesori di amore e sorgenti d'acqua pura che potranno emergere solo in un clima di accoglienza, di fiducia, di calore.


Gli occhi della fede

A noi piacerebbe tanto poter avere le prove "visive", quasi fotografiche, della resurrezione di Gesù.

Invece, le cosiddette "apparizioni" non sono dei resoconti di cronaca, ma dei racconti teologici. Esse non riportano degli eventi visti con gli occhi della carne, ma sono la testimonianza di fede delle prime comunità.

Certo, Gesù è realmente risorto, ma egli è stato visto non con gli occhi della carne, ma con quelli, molto più penetranti, della fede.

Questi racconti delle "apparizioni" sono costruiti e composti per noi perché siamo invitati a credere, a fidarci di Dio e di quello che egli ha operato in Gesù, senza vedere. Questa è la "beatitudine" che l'evangelo annuncia: "beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno" (20,29).

La pagina del Vangelo di Giovanni, che ora abbiamo letto, non ci parla tanto di un tempo in cui ci furono persone fortunate come Tommaso che poterono toccare con mano il Risorto e poi tutte le nostre generazioni che avrebbero la difficile sorte di credere senza vedere.

L'episodio di Tommaso è piuttosto una costruzione narrativa che ci riporta ad un dato molto reale. E' una pagina di altissima e preziosa teologia, che contiene un messaggio straordinariamente limpido ed efficace.

Lentamente

Tommaso è la personificazione della nostra "fatica di credere", della nostra difficoltà di affidarci all'azione di Dio e alla parola di Gesù.

Per quanto Gesù avesse detto e ripetuto ai discepoli che Dio non lo avrebbe dimenticato nella morte, essi impiegarono probabilmente parecchio tempo a far riemergere con chiarezza la memoria di queste parole di Gesù.

I Vangeli contraggono i tempi e ci fanno subito giungere alla meta, alla conclusione. Come quando Gesù chiama Pietro e Andrea alla sequela ed essi "subito" lo seguono, così qui tutto sembra compiersi in un baleno. La realtà è stata certamente meno rapida: avranno pur dovuto parlarne con moglie e figli prima di mettersi al seguito di Gesù.

Così è nel caso della risurrezione: essa è stata accolta come realtà profonda e, quindi, vista con gli occhi della fede, molto più lentamente. Le composizioni letterarie, cioè i quadri pittorici della risurrezione, svolgono la funzione di dirci dov'è giunto alla fine il cuore dei discepoli e delle donne, ma ci portano forse troppo velocemente al traguardo facendoci saltare alcuni passaggi, alcune tappe.

Il racconto della incredulità di Tommaso ci aiuta a colmare i tempi che vanno dall'incredulità al dubbio, alla fede. Il percorso di Tommaso è, in qualche modo, il cammino di ciascuno/a di noi. Qui lo si intravede.

Questa è la "chiamata" che Dio ci rivolge: il passaggio alla fiducia. Tutta l'esperienza cristiana deve fare i conti con la "tentazione di Tommaso" , quella di credere solo a ciò che si vede e si tocca, ma la fede è in un'altra direzione: anzi è un'altra dimensione.

Credere nel Risorto, aver fiducia che Dio continua ad operare in mille modi la risurrezione nel mondo di oggi, significa "scommettere" ben oltre ciò che si vede e si tocca.

Ciò che si tocca e si vede dappertutto è il potere onnipresente del denaro, del mercato, delle multinazionali. Eppure noi siamo chiamati/e a credere nel regno di Dio che viene ed è già in mezzo a noi.

Ciò che si vede è il trionfo della potenza militare. Eppure noi siamo chiamati/e a credere che sono beati i miti, i nonviolenti.

Ciò che trionfa è la menzogna telediffusa, invasiva, suadente. Eppure noi siamo chiamati/e a credere nella forza disarmata della verità del Vangelo. La fede è una chiamata sulla strada della più assoluta inevidenza.

Impariamo a sostenerci


Il brano è costruito anche per darci un'altra lezione. Se, senza cadere in una lettura che faccia del brano evangelico una cronaca, ne cogliamo il messaggio, ci accorgiamo che Gesù anche qui è il maestro che educa pazientemente alla fede. Gesù dà a Tommaso il tempo di far crescere nel suo cuore la fiducia, la capacità di affidarsi: ecco che cosa significa il versetto 26: "otto giorni dopo".

Nel cammino del vangelo la comunità cristiana è il luogo in cui ci educhiamo a vicenda, ci sosteniamo, ci pungoliamo. A volte dobbiamo darci il tempo per crescere ed è necessaria tanta pazienza con noi stessi e con gli altri.

Gesù, in questo brano di costruzione teologica, è colui che capisce la debolezza di Tommaso, la corregge e addita una strada diversa. Anche quando i discepoli si sono dimostrati sordi e ciechi al suo insegnamento, Gesù non si è stancato di loro. Li ha corretti, amati, aiutati a crescere.

La comunità cristiana anche oggi, alle prese con mille difficoltà e mille deviazioni, può leggere questo brano anche per imparare quel dialogo interno, franco e coraggioso, che offre a ogni persona la possibilità e il tempo di crescere e di riorientare la propria vita.

Anche quando tutte le porte sono chiuse (come ripete Giovanni ai versetti 19 e 27), anche quando le possibilità di cambiamento sembrano sbarrate e impossibili, la parola di Gesù può fare breccia nei nostri cuori. La partita non è mai chiusa e può riaprirsi ad ogni istante della nostra vita.

La strada della fede-fiducia in Dio si riapre... L’immagine di Gesù che, come dicevamo da bambini, passa attraverso il buco della serratura, è la testimonianza di quell’amore con cui Dio, attraverso Gesù e in mille modi, cerca i nostri cuori e vuole riaprire un dialogo con noi.

Gesù è insieme esigente e misericordioso: apre ai discepoli strade audaci e radicali, ma sa rispettare le gambe e i tempi di ognuno. Non stabilisce il tempo del percorso e non assegna il premio al più veloce. Anche in questo Gesù è il testimone fedele del modo con cui Dio ci ama.

La comunità di Giovanni lo stava già imparando. Essa non è la palestra di quattro "atleti della virtù" ma un'assemblea in cui ci sono molti che arrivano e corrono fuori tempo massimo. Ma, nel sostegno reciproco, si può camminare... sapendo fare i conti con il dubbio, l'esitazione, l'incertezza, la stanchezza...

La meraviglia


Ogni volta che un qualsiasi Tommaso (uno/a di noi) scopre il messaggio di Gesù e, affidandosi a Dio, si decide per il suo cammino, viene fuori lo stupore che l'evangelo registra al versetto 28: "Mio Signore e mio Dio!".

Con questa esclamazione non vengono resi onori divini a Gesù. Si tratta piuttosto di una espressione con cui Tommaso ringrazia Dio perchè attraverso Gesù ha toccato il suo cuore. Gesù risorto è un dono meraviglioso di Dio, è "trasparenza" di Dio, Sua icona. La lode a Dio fiorisce ed esplode, calda e gioiosa, sulle labbra di Tommaso. Il rimando a Dio è immediato.

Anch'io voglio imparare a gustare e ad esprimere la stessa meraviglia, lo stesso stupore ogni volta che vedo un cuore aprirsi al vangelo, ogni volta che constato qualche passo sul sentiero delle beatitudini.

Chi non conosce la meraviglia perde i più preziosi appuntamenti con la vita. Chi non sa meravigliarsi non vedrà mai che, oltre le nubi più dense, splende sempre il sole.


Ti prego


Mio Signore e mio Dio, voglio imparare da Gesù a stare davanti a Te nella mia piccola esistenza quotidiana con il cuore aperto allo stupore per scorgerTi presente nei tanti segni del Tuo amore. Tu sei "il padre che opera senza interruzione" (Gv. 5, 17). Apri i miei occhi, o Dio, perchè spesso siamo vicini al ruscello e non vediamo l'acqua.

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