domenica 4 dicembre 2016

Ruminare… e poi parlare

Nelle storie rabbiniche troviamo un passo che ci invita a compiere con impegno il nostro servizio di annuncio dell'evangelo ai bambini. Non si tratta, se leggiamo tra le righe, di un semplice suggerimento metodologico, ma di uno stimolo ad investire il nostro cuore, a coinvolgerci in una fede attiva, consapevoli della nostra inadeguatezza e, soprattutto, pieni di fiducia nell'azione di Dio. Si tratta di una storia rabbinica che richiama alla serietà chiunque svolga un servizio nella comunità credente.
«Avvenne una volta che durante una funzione religiosa pubblica il capo della sinagoga chiamasse Rabbi Akivà a leggere un pezzo della Torah. Ma egli non volle salire sul pulpito. I suoi discepoli gli dissero: "Maestro, non ci hai insegnato tu stesso che la Torah è la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni? Perché allora ti rifiuti di salire sul pulpito?". Rabbi Akivà rispose: "Per il Tempio! Io mi rifiuto di leggere un brano della Torah soltanto perché non ho preparato la pericope (il passo) di oggi meditandola due o tre volte da solo. Non si possono presentare le parole della Torah alla comunità senza averle chiarite due o tre volte a se stessi..."» (Da Midrash Tanchuma, Jithro, 15 citato in I nostri maestri insegnavano, Morcelliana, Brescia 1983, pag. 152).
«La Torah ti insegna che, qualora tu sia dottore della Legge, non puoi essere tanto superbo da dire alla comunità qualcosa che tu non abbia prima chiarito due o tre volte a te stesso» (idem). Possiamo forse aggiungere a questo lavoro personale di «ruminatio» e di chiarimento un impegno, non meno utile, a livello comunitario.
Se l'improvvisazione non era possibile nemmeno per un sommo maestro come Akivà, probabilmente lo sarà ancor meno per tutti noi.
F. B. in Lazzaro, vieni fuori

La Torah = i primi cinque libri della Bibbia.