venerdì 24 febbraio 2017

"Per noi troppe delusioni. Giuliano, facci cambiare idea"

MILANO. Eccolo l'uomo della sinistra «che non vuole suicidarsi» ma governare, «il federatore», il politico «gentile». La sala del Santeria Social Club, locale alternativo poco adatto alla gauche caviar (brunch con falafel e bruschetta), si riempie per il battesimo milanese della creatura di Giuliano Pisapia. Inizia il suo viaggio ufficiale "Campo progressista" che non è un partito né vuole esserlo. Così come l'ex sindaco di Milano non vuole diventare «l'uomo solo al comando, esuberante, che non ascolta nessuno e non fa autocritica quando sbaglia». Davvero distante Pisapia da Matteo Renzi. Sul palco, vestito scuro e cravatta sobria, a contrasto con la giacca rosso vermiglio di Laura Boldrini, sbaglia persino a pronunciare il verbo rottamare. Per due volte ci prova e gli viene sempre fuori «rottamatare», tra le risate della platea. Sta spiegando che, secondo lui, la battaglia per far ripartire la sinistra e riaggregare milioni di delusi deve partire dal basso e non dall'alto «senza rottamatare nessuno».
É fatto così, Pisapia, un po' timido, «un sognatore concreto», come si autodefinisce, regalando un'immagine che piace molto alle persone accorse per sentirlo: «C'è un campo tutto da arare a sinistra. E un giorno diventerà un campo fiorito. Ce la possiamo fare». Troppa speranza? Forse, ma la sala ha bisogno di credere, soprattutto dopo la cupa assemblea Pd, che non tutto è perduto. Sono venuti davvero in tanti. Ecco Carlo Feltrinelli, Corrado Stajano, Guido Galardi delle Coop, il notaio Paolo Lazzati, molta Sel che non apprezza lo sbocco di Sinistra Unita. Platea mediamente canuta, ma ti fanno notare che alle 18 i ragazzi sono ancora impegnati. «Perché siamo qui? Perché crediamo che Giuliano sia l'unico che può unire e siamo stufi di risse, correnti, autoreferenzialità», dice Mario, 48 anni, impiegato ed elettore deluso. Isabella ha portato anche il suo Jack Russel, nome Oliver, e lo ha vestito di arancione, il colore della sinistra vincente: «Vediamo se questa nuova offerta ci fa uscire dal tunnel». «Se Pisapia si butta mi butto anch'io» giura Isabella Musacchia, 39 anni, militante e già candidata al consiglio comunale con Sinistra per Milano».
É Pisapia il «giovane Prodi» evocato da Bersani? No, se non altro perché ha i capelli bianchi e nessuna attitudine alla nostalgia. Vicino a lui, Franco Monaco, ulivista della prima ora, stimolato da Gad Lerner, conferma: «L'Ulivo è un'esperienza finita. Però qualche elemento di affinità con quella stagione eroica lo vedo». «La sinistra fa la destra», denuncia Laura Boldrini, con una voce rauca che preoccupa le signore in platea («datele da bere»). Boldrini e Pisapia sono sul palco in gran confidenza. Anche lei, come l'ex sindaco, dice che bisogna andare nelle periferie, sporcarsi le mani, «togliere l'Imu solo a chi ne ha veramente bisogno». «Confesso che volevo andare in pensione - dice Pisapia - ma poi è scattato qualcosa, ho visto che c'è un bisogno forte di buona politica, di legalità, sobrietà». E dunque «si riparte dal basso, dai territori», annuncia Bruno Tabacci, che non è un compagno (a parte la parentesi goliardica dei marxisti per Tabacci) ma è diventato subito testimonial di questa nuova offerta politica. «Il Paese sta male», dice Massimo Smeriglio. Vice presidente della Regione Lazio.
Anche la signora Flavia, 82 anni, sta male: «Non ho rinnovato la tessera. Vediamo un po' se qui mi fanno cambiare idea». Ci si aggrappa al sorriso di Pisapia che mette in agenda, senza enfasi, «la sconfitta della povertà», la solidarietà, la legalità, la rinuncia ai privilegi. Tutto quello che il pubblico di Milano vuol sentirsi dire, incluso che la sinistra di "Campo progressista" non andrà con la destra. Pancrazio, 80 anni, già dirigente del Comune, si beve la manifestazione, un unico dubbio lo incupisce; «Speriamo che non arrivino Bersani e Speranza». Ma no, gli dicono, stai tranquillo. C'è la Mariuccia, una vita alla Camera del Lavoro e il Luigi, cardiologo con simpatie di Sel. Se ne vanno sognando di riuscire a vedere «il campo fiorito».
Alessandra Longo

(la Repubblica 15 febbraio)