domenica 16 aprile 2017

APPUNTI PER MEGLIO RCORDARE

Corso Biblico. Torino, 07.04.2017.
Giosuè.
(Appunti presi durante la conferenza di Franco Barbero).
Il libro di Giosuè è stato redatto al tempo dell'esilio in Babilonia, quando sorge tra gli esuli israeliti una domanda decisiva: la storia è chiusa definitivamente o c'è ancora un futuro? Per alcuni disillusi non c'era più speranza: Dio aveva abbandonato il popolo ebraico e bisognava allontanare l'illusione del futuro. Altri erano esitanti, propendevano per rimanere e vivere in terra di esilio la fede dei padri e divennero ebrei della diaspora. Un'altra parte invece, guidata dai profeti Ezechiele e Deuteroisaia, credeva che la storia fosse ancora nelle mani di Dio. L'esilio era stato meritato dal popolo a causa delle sue colpe, ma c'era ancora una risorsa: la fede in Dio che ci vuole liberi. Bisognava tornare alla tradizione e riprendere la promessa fatta da Dio di dare al popolo una terra di libertà. Il libro evoca in forma epica il ritorno nella terra promessa dopo la schiavitù d'Egitto, avvenuto molti anni prima. Non è un libro storico, ma una meditazione teologica per spronare gli esuli a non rassegnarsi, perchè Dio non ha abbandonato il popolo, ed a avere il coraggio di ricominciare un nuovo esodo verso la libertà. E' una narrazione di fatti per lo più fantasiosi e che hanno un riscontro storico molto limitato, ma che contiene un profondo insegnamento teologico, che va colto andando oltre la lettera del racconto.
Il libro si compone di tre parti ben distinte: la prima, fino al cap. 12, tratta della conquista della terra; la seconda, dal cap. 13 al cap. 22 tratta della divisione della terra tra le varie tribù; la terza, dal cap. 23 alla fine, narra i discorsi di congedo e la morte di Giosuè.
L'inizio è un discorso fatto da Dio a Giosuè per esortarlo a proseguire l'opera di guida del popolo fatta da Mosè e ad entrare nella terra promessa attraversando il Giordano e prendere possesso della terra. Un discorso in termini epici, dove si annuncia una grande conquista di una terra estesa dal mare fino all'Eufrate (1, 4); sappiamo che in realtà le cose furono molto diverse: l'insediamento fu per lo più pacifico, parziale ed avvenne in tempi lunghi; alcune tribù si stanziarono per lo più nei territori lasciati liberi dalle popolazioni preesistenti. Ma il significato del discorso sta nell'esortazione di Dio ad essere forti e coraggiosi, che viene ripetuta per ben tre volte (1, 6 – 7 e 9), a non deviare “nè a destra né a sinistra” (1, 7) e nella rassicurazione della sua presenza protettrice. Giosuè, il cui nome significa “Dio salva” è l'eroe epico che trasmette l'energia che gli viene da Dio al popolo trasmettendone i comandi (1, 10 e sgg.) e incitandolo a non perdersi di coraggio, nonostante l'avversità della situazione, ed a perseverare nell'osservanza dei comandi del Signore, perchè solo con il suo aiuto il successo sarà garantito: da soli gli uomini non sono in grado di raggiungere la libertà.
L'ingresso nella terra promessa viene collegato con l'annuncio che il Signore concederà al popolo il riposo dopo tanti travagli (1, 12 - 15). Il tema ricorre anche nei profeti che annunciano riposo per i poveri che si affaticano in questa terra; chi si trova in difficoltà sa bene che il riposo è un bene prezioso.
La risposta del popolo (1, 16 – 18) è una adesione incondizionata ai comandi del Signore, ma in un contesto dove le trasgressioni sono continue, questo testo appare sottilmente ironico: si tratta di facili promesse e di effimeri entusiasmi che si spengono alla prima prova; in questo punto l'epica di Israele è originale, perché contiene in sé la consapevolezza degli errori e delle deviazioni che viene espressa con l'ironia.
Il capitolo 2 contiene il suggestivo episodio di Raab, la prostituta di Gerico che accoglie nella sua casa le spie inviate da Giosuè per esplorare il territorio e ne agevola la fuga. Non è l'unico personaggio non ebreo che svolge un ruolo decisivo per la salvezza: lo sguardo di Dio si rivolge oltre al popolo amato. E' una prostituta, ma è anche una tessitrice, come dimostrano gli steli di lino ammucchiati sulla terrazza dove nasconde gli inviati da Giosuè (2, 6). E' quindi una donna dalle molte risorse. Riecheggia qui l'elogio alla donna tessitrice di Proverbi 31, 13.19.22.24. Tradisce il suo popolo e vive ai margini della città, contro le mura, ma apre le porte ad Israele e perciò è un liberatrice, e per questo avrà la sua ricompensa, lei e il suo clan (2, 17 e sgg.; 6, 22 e sgg.). E' una prostituta, ma è anche una convertita alla fede, che sa tutto della storia del popolo eletto (2, 9 sgg.); viene citata da Matteo nella dinastia di Gesù (Mt. 1,5); nel Midrash viene indicata come la sposa di Giosuè e capostipite di un discendenza di 7 re e 9 profeti. Il personaggio è evocato nel colloquio tra Gesù e la samaritana, avvenuto nell'ora in cui non vi era nessuno ad attingere al pozzo (ma secondo un'altra interpretazione, nell'ora della prostituzione). Anche la samaritana si rivela esperta delle questioni religiose del tempo e disponibile alla conversione.
Il capitolo 3 descrive l'attraversamento del fiume Giordano da parte del popolo di Israele, descritto come un rito liturgico, racconto mitico pieno di enfasi che riecheggia il racconto del passaggio attraverso le acque del Mar Rosso. In sostanza il Signore rinnova a Giosuè la promessa già fatta a Mosè (3,7) e l'insegnamento sotteso è che bisogna osare anche nelle situazioni che ci sembrano impraticabili.
Il capitolo 4 narra l'ordine del Signore di collocare dodici pietre commemorative a ricordo del passaggio del Giordano: è necessario far memoria dei momenti importanti: noi abbiamo facilità a dimenticare, siamo esseri della smemoratezza e perciò occorrono dei segni visibili che facciano da memoriale (4, 7); le pietre, dice il testo, sono rimaste come testimonianza fino ad oggi (4,9). Anche Gesù richiamerà l'importanza di fare memoria (Lc, 22,19; I Cor 11, 24 – 25).
Il brano del cap. 5, 1 – 9 narra della circoncisione degli israeliani nati durante il viaggio e che non erano stati circoncisi; si tratta di un atto di rifondazione, per consolidare l'identità del popolo. Si celebra la Pasqua, cessa di cadere la manna ed il popolo inizia a mangiare i prodotti della terra (è l'inizio della vita sedentaria) (5, 10 – 12). I versetti 5, 13 – 15 che precedono l'episodio della presa di Gerico riecheggiano l'episodio del roveto ardente di Es 3, 1 – 6: in entrambi gli episodi il Signore ordina (prima a Mosè e poi a Giosuè) di togliersi i sandali perché il luogo dove si trovano è santo.
Segue da 5,13 a 6,27 la straordinaria narrazione della caduta di Gerico, evento inventato poiché la città doveva essere a quel tempo già distrutta da circa un secolo. La presa avviene dopo sette processioni attorno alle mura che cadono al settimo giro ed al grido di guerra: a quel punto le mura della città sbarrata e terrorizzata crollano come d'incanto. Si tratta di un inno alla fiducia in Dio, come dice un midrash per il quale la fede in Dio fa cadere i muri e fa sopravvivere alle più dure oppressioni.
La città conquistata è votata allo sterminio: qui c'è uno dei passi oscuri della Bibbia che vanno letti per il messaggio che sottendono; l'impadronirsi dei beni della conquista viene interpretato come un atto di idolatria; portarsi a casa oro e argento o bestiame razziato significa cedere alla seduzione della ricchezza e violare l'obbligo di amare Dio “con tutto il cuore”. Perciò non è consentito nessun compromesso e la violazione di Acan, che si impadronisce di una parte del bottino (7, 1), attira l'ira del Signore e la punizione con la sconfitta nel tentativo di conquistare la città di Ai, fino allo smascheramento e alla punizione del colpevole (cap. 7). Segue al cap. 8 la conquista della città di Ai ed il conseguente sterminio dei suoi abitanti (anche questo fatto è smentito dalle risultanze storiche), la costruzione di un altare sul monte Ebal (8, 30-31) e la lettura della legge da parte di Giosuè (8, 32 – 35). Questi passi suggeriscono la necessità di scelte radicali; allo stesso modo nei salmi ricorre spesso il contrasto tra la via degli empi e quella dei giusti; così in Matteo 25 la separazione tra le pecore alla destra e le capre alla sinistra del Figlio dell'uomo nel giudizio finale. Spesso Israele (ovvero l'umanità) non riesce a fare una scelta e si lascia sedurre dagli idoli. Anche le istituzioni hanno una forte capacità seduttiva.
Il capitolo 9 narra dei Gabaoniti, un popolo che inganna Israele dicendo di venire da lontano e chiedendo alleanza. Giosuè accetta, poi si accorge di essere stato ingannato, non li uccide, ma li riduce in schiavitù.
Al capitolo 10 si narra della guerra vittoriosa condotta da Israele contro gli Amorrei che avevano attaccato i Gabaoniti, uno dei pochi episodi bellici di cui si hanno conferme negli scavi archeologici. Qui avviene il famoso episodio del sole che si ferma per intervento di Dio per consentire l'annientamento dei nemici (10, 12 - 13), passo utilizzato contro Galileo dai detrattori della teoria copernicana. Un episodio simile si trova anche nell'Iliade, quando Agamennone prega che il sole non tramonti sulla vittoria degli Achei.
E' del tutto evidente che qui siamo di fronte a testi nei quali la struttura narrativa è l'epica, in assoluto contrasto con la realtà storica che fu un insediamento progressivo e pacifico, per nulla vittorioso. L'epica, per il lettore meno attrezzato alla lettura della Bibbia, presenta un Dio vittorioso che sconfigge i nemici di Israele. Ogni vicenda popolare costruisce nei secoli un'epica e mette a Dio i panni del Dio delle vittorie. Questi passi hanno trovato tanti utilizzi fuorvianti nelle tradizioni religiose.
Guido Allice.