giovedì 25 maggio 2017

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA DI DOMENICA 28 MAGGIO

Cuore della missione è la testimonianza

16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18 Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Matteo 28,16-20

La chiusa del Vangelo di Matteo è solenne, perentoria, rassicurante. Il compito è preciso, il cammino è chiaramente indicato, soprattutto i discepoli sono rassicurati: "io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione del tempo". Gesù, secondo il Vangelo di Matteo, si congeda dai suoi discepoli con un progetto ed un equipaggiamento che non lascia spazio alle incertezze. Non posso tralasciare un accenno: nella lettura ufficiale cattolica e cristiana questi versetti sono stati utilizzati per "dimostrare" il dogma della Trinità. In alcuni miei libri (e su questo blog nel 2008) ho chiarito questo equivoco addirittura umoristico. Pensare che Gesù o Matteo avessero già in testa il dogma trinitario è una di quelle barzellette teologiche che vengono vendute come verità di fede.

Riscoprire il contesto di Matteo

Ovviamente noi siamo abituati a leggere questa conclusione come il "mandato missionario universale e il "superamento dell'ebraismo". Una simile lettura ingenua è storicamente e teologicamente falsa. Chiedo a chi legge uno sforzo per contestualizzare.
Il "cristianesimo", come religione separata dall'ebraismo, non è ancora nata.
Piuttosto la "chiesa" (che sta per assemblea locale) di cui parla Matteo è la qahal, l'assemblea degli israeliti radunata nel deserto che appartiene al vocabolario dell'alleanza. "Matteo è testimone di una separazione sempre più netta fra ebraismo messianico ed ebraismo rabbinico...... Matteo è un evangelo molto più "giudaico" di Marco. O meglio: è decisamente più rabbinico..... Vuol dire che Matteo ha "rigiudaizzato" Marco. Lo ha riscritto all'interno e per mezzo di categorie rabbiniche.
Quando ci dice che dobbiamo imparare dall'ebraismo farisaico, ci dice ciò che lui stesso ha fatto. Ci dice anche, implicitamente, che esistevano ancora le condizioni per farlo" (A. Mello, Evangelo secondo Matteo, pag. 40), cioè non era ancora avvenuta la rottura con l'ebraismo.
Matteo ha voluto riscrivere la Toràh (La legge mosaica) in senso messianico, cioè attualizzandola nella figura di Gesù il Messia. Questo non è un modo per abrogare la Toràh, o per ridurla a ciò che di essa si è realizzato nel Messia. Al contrario, essa è talmente vera da realizzarsi perfettamente in lui..... In questo modo, Matteo ha il merito teologico di avere salvaguardato la Toràh mosaica, nel concerto di un messianismo primitivo che non le era tutto favorevole" (Salem).
In questo scritto, eco della sua opera, Matteo inconsciamente ci lascia un autoritratto nel versetto 13,52: "Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile ad un uomo, padrone di casa, che trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie".
Matteo, nei decenni successivi alla morte di Gesù, su questo terreno occupa una posizione vicina a Giacomo e diversa da Paolo: "La problematizzazione della legge mosaica ha condotto Paolo a questa operazione inconcepibile per il pensiero giudaico: dissociare la legge dalla grazia; solo la grazia dono salvifico salva, non il comandamento. Questa disgiunzione ha avuto delle ripercussioni incalcolabili. Essa ha falsato la lettura cristiana dei testi giudaici, intesi il più delle volte come depositari di una religione strettamente legalista, sprovvista di ogni percezione della grazia. Al contrario, l'ambivalenza della legge, simultaneamente grazia ed esigenza, precetto e dono salvifico, è un dato costitutivo della tradizione veterotestamentaria e giudaica. Matteo non se n'è scostato" (D. Marguerat).
Paolo, nel suo stile polemico ed aggressivo, su questo punto prende un abbaglio. Del resto la polemica accesa  era assai diffusa all'interno del giudaismo del suo tempo.

Il dono invita all'impegno
Matteo non ha dimenticato che proprio il dono di Dio, ogni dono di Dio, diventa appello ad agire, ad assumere le nostre responsabilità. Ancora Matteo non ha mai dimenticato che solo l'amore rende fecondo e gradito a Dio ogni "adempimento" nelle opere. Egli esprime alla sua comunità la preoccupazione che l'annuncio dell'amore gratuito con cui Dio ci "salva", ci accoglie e ci accompagna non sia interpretato come disimpegno. Per lui l'annuncio di Gesù, che egli riconosce come il Messia di Israele, impegna la Comunità sul terreno delle scelte quotidiane. Gesù è il Maestro di vita: "Non chiunque mi dice "Signore, Signore!" entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio". (7, 21).
Ieri e oggi

Che cosa vuol dire essere fedeli alla nostra tradizione ebraico - cristiana oggi? La "lezione" di Matteo ci è preziosa.
Chi si rinchiude nel passato non ama la tradizione, ma è un "fanatico della tradizione", cioè un tradizionalista. Chi ama un albero, ne ama e ne cura la crescita e lo sviluppo.
Tradizione non ha nulla in comune con tradizionalismo. Tradizione deriva da due parole latine: Trans e ducere = portare oltre, andare oltre. Significa movimento, non immobilismo.
Matteo capisce che non c'è bisogno di archiviare il passato, ma di completarlo, continuarlo, superarlo.... Egli è in polemica contro quei correligionari, ebrei come lui, che non si aprono a prospettive nuove.
Questo genere di polemiche interne erano nel giudaismo molto frequenti e feconde. Matteo crede, anzi, che Gesù sia un Maestro e profeta che spinge la sua religione ad aprirsi a tutti i popoli..... e che questa sia la volontà di Dio.
Oggi il cristianesimo è da secoli una religione separata dall'ebraismo (purtroppo per me!), ma resta valida questa sfida a "proseguire la strada", a non rinchiuderci nel passato. Purtroppo le chiese cristiane, in larga misura, sembrano prigioniere della paura e si chiudono nelle loro torri dogmatiche, moralistiche e liturgiche.
Non si distruggono le nostre radici se si ha il coraggio di guardare in faccia la nuova realtà con i suoi problemi. Invece si soffoca la fede se non si crede che, attraverso il messaggio di Gesù, Dio ci accompagna verso il futuro.
E' la nostra "tradizione", nel senso vivo della parola, che esige un coraggioso andare oltre. In questo cammino Gesù ci precede. "Andate dunque" non è per noi l'invito a mandare dei missionari a battezzare e convertire al cristianesimo, ma l'esortazione, la chiamata a rinnovare la nostra testimonianza cristiana nelle vie del mondo, nell'esistenza quotidiana.

O Dio
Per continuare la strada di Gesù dobbiamo deporre qualche indumento imperiale, immergerci nel cammino degli appiedati, buttare dalla finestra un po' di madonne e un po' di santini e qualche dogma superfluo, inventato nei secoli e gabbato come verità, per avere il coraggio di ritornare radicalmente al Vangelo.