Che rapporto c'è tra la tragicità dei Greci e lo sguardo lucido dei giovani d'oggi?
Risponde Umberto Galimberti
Il Venerdì 30/1
Può
bastare la tragicità greca per consentire ai giovani di uscire dal
nichilismo, dalla prospettiva della morte, del nulla e della
insensatezza irresolubile del vivere? A mio parere l'interiorizzazione
della tragicità greca non è di per se sufficiente. Il mondo si decompone
certamente davanti nostri occhi, ma è altrettanto capace di comporsi
con abiti impensabili e sempre alla moda.
Se
è vero che la prospettiva di un tempo eterno di redenzione ci appare
discorso afono, se non trito ricatto di più o meno noti poteri, è
altrettanto vero che per tutti e per i giovani in particolare deve
essere indicata una ragionevole strada, non certa ma plausibile, di
uscita di sicurezza.
Progetto di questo e non di un altro mondo.
E'
l'unica prospettiva di serietà, se non di felicità, che comprime
effettivamente il passato-futuro in un presente dinamico di serenità.
Angelo Botturi
Mi
spiace aver dovuto tagliare la sua lunghissima lettera e soprattutto i
riferimenti a Carlo Sini e a Ivan Dionigi, che con il loro insegnamento
hanno dato tanto ai giovani, non solo in termini di conoscenze, ma anche
di educazione su come condurre la loro esistenza. Per venire alla sua
domanda che chiede se può bastare la tragicità greca per offrire ai
giovani una via di uscita dalla condizione nichilista in cui oggi si
trovano, perché per il loro futuro non è una promessa, ma qualcosa di
imprevedibile e quindi tale da non motivare un sufficiente impegno, se
non addirittura, nei casi estremi, una sufficiente ragione per vivere,
le dico che tra le due cose non c'è nessuna connessione se non quella di
guardare bene in faccia alla realtà che è già un passo avanti rispetto a
chi, non accettandola, guarda al futuro, come dicevano i greci con
"cieche speranze".
La dimensione tragica
dei Greci consiste nel fatto che, a differenza dell'animale, l'uomo per
vivere ha bisogno di un senso, quando poi lo attende la morte che è
l'implosione di ogni senso.
Per questo a
re Mida che chiedeva al satiro Sileno "Quale fosse la cosa migliore e
più desiderabile per l'uomo" il saggio Sileno risponde: "Stirpe
miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi
costringi a dirti ciò che per te è vantaggioso non sapere.
Il meglio per
te è assolutamente irraggiungibile.
Non essere nato, non essere, non
essere niente. Ma la seconda cosa migliore per te è morire presto".
La
dimensione tragica dei Greci, come dice Nietzsche non è un genere
letterario ma la cifra della grecità perché "i Greci sono l'unico popolo
che ha avuto il coraggio di guardare in faccia il dolore". E Jaspers a
sua volta dice che neppure Shakespeare è un vero tragico, perché vive
ormai nella cultura cristiana, dove il futuro è una promessa di
redenzione per la religione, di progresso per la scienza, di giustizia
sociale per l'utopia, di guarigione per la malattia fisica o psichica
che sia.
Nietzsche definisce il
nichilismo in questi termini: "Manca lo scopo. Manca la risposta al
perché? Tutti i valori si svalutano". E chiama il nichilismo "ospite
inquietante", a proposito del quale Heidegger scrive: "Nietzsche chiama
il nichilismo il più inquietante degli ospiti perché ciò che esso vuole è
lo spaesamento come tale.Per questo non serve a niente metterlo alla
porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile esso si aggira
per la casa.
Ciò che occorre e accorgersi di questo ospite e guardarlo
bene in faccia". Tra i giovani che guardano bene in faccia il
nichilismo alcuni si rassegnano, altri si attivano, ma senza negare
l'atmosfera nichilista del nostro tempo, per non falsificare la realtà e
prendere mosse sbagliate a partire da questa falsificazione.
E sotto
questo profilo c'è una significativa affinità tra i greci che guardavano
in faccia il dolore e i giovani che guardano in faccia il nichilismo e
si attivano senza affidarsi a cieche speranze. La via d'uscita non
l'attendono da noi, ma la cercano loro, persuasi come sono che se non
altro per ragioni biologiche il futuro è loro.
A noi chiedono solo di non
spezzar loro le ali, di non trattare i loro progetti come sogni o vuote
utopie, di non proporre a loro unicamente quel sano realismo che prevede come unici scopi della vita la carriera e il denaro.