A cinque secoli esatti dalla bolla Decet Romanum Pontificem con la qua-le Leone X, il 3 gennaio 1521, scomunicava Martin Lutero, sono enormemente cambiati, e in meglio, i rapporti tra i seguaci del “padre” (con Giovanni Calvino) della Riforma e il papato; tuttavia, in questo straordinario riavvicinamento che ha portato a sbriciolare montagne che fino al Novecento parevano invalicabili, è rimasto finora saldo, sul versante cattolico ufficiale, il rifiuto della “ospitalità eucaristica” come prassi normale con le Chiese evangeliche, pur se sul piano teologico da decenni sia stata dimostrata la piena legittimità di tale scelta.
Il Vaticano II, con il decreto Unitatis redintegratio (1964), volta pagina rispetto alle violentissime polemiche anti-protestanti del passato. Sull’Eucaristia afferma: «Le comunità ecclesiali da noi separate, specialmente per la mancanza del sacramento dell’ordine, non hanno conservata la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico; tuttavia, nella santa Cena fanno memoria della morte e della resurrezione del Signore». Le parole del Concilio favoriscono la disponibilità al dialogo da parte di quelle Chiese e comunità. Sul versante evangelico, di straordinaria importanza sarà la firma, il 31 ottobre 1999, ad Ausgsburg, dell’ accordo tra la Federazione luterana mondiale [Flm] e la Chiesa cattolica su punti-chiave della dottrina della giustificazione, il nodo teologico che aveva diviso irreparabilmente la Riforma e il Concilio di Trento.
Dati tali traguardi, la “ospitalità eucaristica” a poco a poco si è avviata sempre più, a livello di base, soprattutto nelle Mitteleuropa (per quanto riguarda l’Italia, si veda Confronti 12/20). Una domenica, la parrocchia di una cittadina invita la locale comunità evangelica alla messa, nella quale il pastore e chi lo segue si accosterà all’Eucaristia; un’altra domenica è il pastore che invita il parroco e i suoi fedeli alla Santa Cena, durante la quale il gruppo dei cattolici si comunicherà.
Ecumenismo “selvaggio”, come dirà qualcuno a Roma? Niente affatto. La meta, un tempo impensabile, è arrivata come logica conseguenza di un cammino che ha reso insostenibili, rispetto all’Evangelo, rigidità dogmatiche pur antiche di secoli. Ma Giovanni Paolo II cercò di sbarrare questa prassi e, con l’enciclica Ecclesia de Eucharistia, nel 2003 stabilì: «Solo in caso di una sua grave necessità spirituale, ad un non cattolico impedito di adire a ministri della sua Chiesa, è permesso dargli la comunione; in casi ana-loghi, anche al cattolico è permesso accostarsi alla comunione in altre Chiese, purché i loro sacramenti siano validi».
Importanti ambienti teologici contestarono questo “No” : Centre d’études oecuméniques di Strasburgo, della Flm; Institut für ökumenische Forschung legato alla Facoltà teologica cattolica di Tubinga; Konfessionskundliches Institut di Bensheim, della Chiesa evangelica in Germania. Essi, con un documento uscito quasi a ridosso dell’enciclica, affermarono: «Noi peroriamo la causa di un’ospitalità eucaristica aperta come regola generale della pratica ecumenica, poiché riteniamo che non esistano più ragioni teologiche sufficienti per rifiutare questo primo passo verso una comune vita eucaristica dei cristiani, là dove il vivere insieme è diventato una realtà normale e naturale».
Le proposte del Synodaler weg
La questione, ora, torna d’attualità con il Sinodo tedesco, il Synodaler Weg [cammino sinodale]. Esso – formato da 230 “padri” e “madri” – inaugurato il primo dicembre 2019 ed entrato nel vivo a fine gennaio 2020, prevedeva di concludersi entro due anni; la pandemia, però, ha scombussolato i piani, impedendo normali sessioni pubbliche. Ma la dilazione non ha alterato l’iter che conta di esaminare in distinti forum quattro temi (status del prete e celibato sacerdotale, normative del magistero sulla morale sessuale, ministeri delle donne nella Chiesa, riduzione del potere clericale), per poi approva-re, in assemblea generale, le distinte mozioni. Adesso dovrebbe esserci il voto di una mozione che di fatto renderebbe normale, e non più eccezionale, la “ospitalità eucaristica”. Proposta ritenuta legittima da monsignor Georg Bätzing, vescovo di Limburg e presidente della Conferenza episcopale tedesca [Dbk], dove ha con lui la grande maggioranza, mentre una minoranza si è opposta.
E per il “No” è la Curia romana. In settembre il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, aveva affermato: il papa condivide la lettera della Congrega-zione per la dottrina della fede [Cdf], guidata dal cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, al presidente della DBK: «Le differenze dottrinali sono ancora così importanti che attualmente escludono la reciproca partecipazione alla Cena del Signore e all’Eucaristia”; inoltre questa prassi «renderebbe più ar-duo il dialogo con l’Ortodossia», fermamente ad essa contraria.
Koch ha poi condiviso le critiche della Cdf a Insieme alla mensa del Signore, documento del Gruppo di studio cattolico-evangelico (Öak), del settembre 2019, schierato per la “ospitalità”.
Il testo potrebbe forse essere “attuato” in modo corale nel prossimo maggio a Francoforte dove, pur con i limiti imposti dal Covid – che riducono a sole trentamila le persone partecipanti – è in programma il Terzo Congresso della Chiesa ecumenica, la grande riunione dei cristiani tedeschi, cattolici e legati alla Riforma.
In merito alle critiche di Roma, la teologa catto-lica Dorothea Sattler, coautrice di Insieme…, ha notato che troppo spesso, quando dalla teoria [dei grandi accordi teologici sulla comprensione dei ministeri e dei sacramenti] si è trattato di scendere alla pratica del dialogo ecumenico, molti si sono ritirati: «Non si può ricominciare ogni volta. Siamo certamente pronti a esaminare teologicamente il nostro testo e a svilupparlo ulteriormente, ma solo se c’è almeno la prospettiva che qualcosa cambierà nella pratica».
Ma nei concili, e al conclave, si vota, e allora?
Una prospettiva che il papa non sembra voler accogliere.
Egli, infatti, parlando all’udienza generale del 25 novembre, ha fatto delle osservazioni che, pur vaghe, in Germania sono state considerate sottili critiche al Synodaler Weg là in atto. Commentando il secondo capi-tolo degli Atti degli Apostoli, che descrivono la Chiesa nascente («Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere»), Bergoglio ha detto: «Tutto ciò che nella Chiesa cresce fuori da queste “coordinate”, è privo di fondamenta… Sento qualche tristezza quan-do vedo qualche comunità che, con buona volontà, sbaglia la strada perché pensa di fare la Chiesa in raduni, come se fosse un partito politico. “Ma, la maggioranza, la minoranza, cosa pensa di questo, di quello… Io mi domando: “Ma dove c’è lo Spirito Santo, lì? Dove c’è l’Eucaristia?”». Esponenti del Synodaler Weg e stampa tedesca hanno interpretato così… la canzone: «Il papa ha rifiutato le riforme della Chiesa basate su standard puramente democratici» (Süddeutsche Zeitung).
Del resto è un fatto che Francesco su riforme strutturali – celibato opzionale, donne nei ministeri “alti”, “ospitalità eucaristica” – pone un freno (come ha dimostrato, in merito, nella sua ricezione restrittiva del Sinodo amazzonico, pur preparato con ampia partecipazione popolare). Ma, e non solo in Germania, ci si domanda: dunque, se il pueblo chiede riforme con metodi democratici, snatura la Chiesa? Ma nei Concili e nei Sinodi romani non ci si misura, infine, col voto? E al conclave, non si sceglie forse con il voto? Forse, sui citati “temi sensibili”, Bergoglio intende rinviare tutto al Sinodo dei vescovi del 2022 dedicato a Per una Chie-sa sinodale: comunione, partecipazione e missione. Programma quanto mai impegnativo; è possibile, infatti, che scelte a Roma, ora indesiderate, seppur auspicate ovunque, cacciate dalla porta rientrino dalla fine-stra. E, chissà, una Decet Franciscum Pontificem, una bolla totalmente diversa, le accoglierà.
Ospitalità
Luigi Sandri, Confronti gennaio 2021