Il Giorno del ricordo
Foibe, quei morti di tutti
In questo 10 febbraio dovremmo avere negli occhi, nella mente e nel cuore le intense immagini del luglio scorso, con il comune omaggio dei presidenti italiano e sloveno - Sergio Mattarella e Borut Pahor - a luoghi simbolo dei dolori e delle lacerazioni di quello che fu il nostro confine orientale. Luoghi simbolo di una tragedia del Novecento europeo: "Si sono scontrati qui - scriveva Ernesto Sestan, memore delle sue origini istriane - quei nazionalismi esasperati che hanno reso così feroce l'Europa contemporanea". E ripercorreva poi le fasi di una storia che ha avvio con l'esasperarsi dei nazionalismi di fine Ottocento, divampa nell'esplosione della Prima guerra mondiale e vede poi l'avvento di un "fascismo di confine" aggressivo e oltranzista.
Questo evoca l'incendio del Narodni Dom del 1920 (la Casa della cultura restituita a luglio alla comunità slovena). E i due luoghi di Basovizza cui hanno reso omaggio Mattarella e Pahor evocano i drammi successivi: la "italianizzazione forzata" delle popolazioni slovene e croate perseguita dal regime (a questo si opponevano i quattro giovani fucilati in quel luogo nel 1930) e poi una guerra che vede anche la feroce occupazione nazista e fascista della Jugoslavia. E un dopoguerra segnato dalla volontà di Tito di annettere alla Jugoslavia l'intera Venezia Giulia.
Fra le vittime delle foibe - di cui ancora Basovizza è un simbolo - non vi erano solo fascisti o solo italiani, ma presunti "nemici del popolo": cioè chiunque si opponesse o potesse opporsi al progetto di Tito, compresi esponenti dell'antifascismo. Con la stessa ferocia e per le stesse ragioni che avevano portato alla strage di partigiani cattolici e azionisti a Porzus.
È questo lo sfondo in cui prende avvio il colossale esodo istriano, e la sua dolente e intensa letteratura è un patrimonio dell'intera cultura nazionale. Non ci parla solo degli esuli: ci parla dell'Italia, della sua insensibilità di allora e dei decenni che sono seguiti. Della sua lunga incapacità di essere realmente nazione, perché altra doveva essere la fraterna capacità di accogliere di una nazione vera.
È stata davvero una grande lezione di storia, la visita dei due presidenti a quei luoghi, e al tempo stesso un momento solenne di educazione civile europea. Quella corona comune deposta a Basovizza ai simboli di opposte memorie non esprimeva solo il doveroso rispetto per il "dolore degli altri". Voleva dire qualcosa di molto più profondo: non ci sono vittime degli uni e degli altri, sono tutte vittime "nostre". Vittime di quel drammatico Novecento che dobbiamo lasciarci alle spalle per costruire realmente una comune casa europea. Si pensi al momento e al luogo in cui si parlò per la prima volta di un gesto di conciliazione: lo fece a Gorizia Romano Prodi - allora presidente della Commissione europea - nel maggio del 2004, nel momento cioè in cui la Slovenia entrava nell'Unione. L'impegno fu raccolto allora dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ma incontrò troppi ostacoli. E sarà possibile solo nel 2010 a Giorgio Napolitano rendere omaggio a Trieste, assieme ai presidenti di Slovenia e Croazia, sia al Narodni Dom che al monumento all'esodo istriano.
A luglio Sergio Mattarella e Borut Pahor hanno proseguito con forza quel percorso, ed esso è continuato nei mesi successivi con la decisione slovena di scegliere Nova Gorica e Gorizia come Capitale europea della cultura per il 2025: il luogo che più evoca le divisioni del passato diventerà così il simbolo della costruzione di futuro. Ce n'era un gran bisogno: negli ultimi anni una destra aggressiva e rozza ha cercato di riportare indietro la storia utilizzando anche questa occasione, riesumando toni e umori che credevamo sepolti.
E va detto al tempo stesso con forza che un vero dialogo di memorie non sarebbe stato possibile se quel dolore fosse stato ancora rimosso, come a lungo e avvenuto. Va detto cioè che l'importanza del Giorno del ricordo è di gran lunga superiore agli usi strumentali e talora indecenti che qualcuno a destra ha pur tentato e tenta. Solo la piena memoria di quella tragedia può portare al suo superamento, può costruire l'Europa: e in questo percorso le immagini di luglio sono un viatico potente.
Guido Crainz
La Repubblica 10 febbraio
Foibe, quei morti di tutti
In questo 10 febbraio dovremmo avere negli occhi, nella mente e nel cuore le intense immagini del luglio scorso, con il comune omaggio dei presidenti italiano e sloveno - Sergio Mattarella e Borut Pahor - a luoghi simbolo dei dolori e delle lacerazioni di quello che fu il nostro confine orientale. Luoghi simbolo di una tragedia del Novecento europeo: "Si sono scontrati qui - scriveva Ernesto Sestan, memore delle sue origini istriane - quei nazionalismi esasperati che hanno reso così feroce l'Europa contemporanea". E ripercorreva poi le fasi di una storia che ha avvio con l'esasperarsi dei nazionalismi di fine Ottocento, divampa nell'esplosione della Prima guerra mondiale e vede poi l'avvento di un "fascismo di confine" aggressivo e oltranzista.
Questo evoca l'incendio del Narodni Dom del 1920 (la Casa della cultura restituita a luglio alla comunità slovena). E i due luoghi di Basovizza cui hanno reso omaggio Mattarella e Pahor evocano i drammi successivi: la "italianizzazione forzata" delle popolazioni slovene e croate perseguita dal regime (a questo si opponevano i quattro giovani fucilati in quel luogo nel 1930) e poi una guerra che vede anche la feroce occupazione nazista e fascista della Jugoslavia. E un dopoguerra segnato dalla volontà di Tito di annettere alla Jugoslavia l'intera Venezia Giulia.
Fra le vittime delle foibe - di cui ancora Basovizza è un simbolo - non vi erano solo fascisti o solo italiani, ma presunti "nemici del popolo": cioè chiunque si opponesse o potesse opporsi al progetto di Tito, compresi esponenti dell'antifascismo. Con la stessa ferocia e per le stesse ragioni che avevano portato alla strage di partigiani cattolici e azionisti a Porzus.
È questo lo sfondo in cui prende avvio il colossale esodo istriano, e la sua dolente e intensa letteratura è un patrimonio dell'intera cultura nazionale. Non ci parla solo degli esuli: ci parla dell'Italia, della sua insensibilità di allora e dei decenni che sono seguiti. Della sua lunga incapacità di essere realmente nazione, perché altra doveva essere la fraterna capacità di accogliere di una nazione vera.
È stata davvero una grande lezione di storia, la visita dei due presidenti a quei luoghi, e al tempo stesso un momento solenne di educazione civile europea. Quella corona comune deposta a Basovizza ai simboli di opposte memorie non esprimeva solo il doveroso rispetto per il "dolore degli altri". Voleva dire qualcosa di molto più profondo: non ci sono vittime degli uni e degli altri, sono tutte vittime "nostre". Vittime di quel drammatico Novecento che dobbiamo lasciarci alle spalle per costruire realmente una comune casa europea. Si pensi al momento e al luogo in cui si parlò per la prima volta di un gesto di conciliazione: lo fece a Gorizia Romano Prodi - allora presidente della Commissione europea - nel maggio del 2004, nel momento cioè in cui la Slovenia entrava nell'Unione. L'impegno fu raccolto allora dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ma incontrò troppi ostacoli. E sarà possibile solo nel 2010 a Giorgio Napolitano rendere omaggio a Trieste, assieme ai presidenti di Slovenia e Croazia, sia al Narodni Dom che al monumento all'esodo istriano.
A luglio Sergio Mattarella e Borut Pahor hanno proseguito con forza quel percorso, ed esso è continuato nei mesi successivi con la decisione slovena di scegliere Nova Gorica e Gorizia come Capitale europea della cultura per il 2025: il luogo che più evoca le divisioni del passato diventerà così il simbolo della costruzione di futuro. Ce n'era un gran bisogno: negli ultimi anni una destra aggressiva e rozza ha cercato di riportare indietro la storia utilizzando anche questa occasione, riesumando toni e umori che credevamo sepolti.
E va detto al tempo stesso con forza che un vero dialogo di memorie non sarebbe stato possibile se quel dolore fosse stato ancora rimosso, come a lungo e avvenuto. Va detto cioè che l'importanza del Giorno del ricordo è di gran lunga superiore agli usi strumentali e talora indecenti che qualcuno a destra ha pur tentato e tenta. Solo la piena memoria di quella tragedia può portare al suo superamento, può costruire l'Europa: e in questo percorso le immagini di luglio sono un viatico potente.
Guido Crainz
La Repubblica 10 febbraio