lunedì 8 marzo 2021

ANCORA CALPESTATI I DIRITTI DELLE PERSONE DISABILI

 Se i disabili non esistono


Il caso del signor Dongo, che, costretto in carrozzella, ha rischiato di rimanere intrappolato sotto la stazione Termini a Roma perché l’ascensore è, al solito, guasto è esemplare dell’incuria ormai strutturale in cui versa il sistema dei trasporti – la metropolitana, ma non solo - nella capitale. 

È una situazione di quotidiana anormalità che lede i più elementari diritti alla mobilità non solo delle persone impossibilitate ad usare le proprie gambe, ma anche di chi, anziano, fatica a salire o scendere le scale, o di chi accompagna un bambino piccolo in carrozzina o passeggino, o delle donne incinte, e che complica la vita a tutti per irregolarità e imprevedibilità del servizio. 

Le responsabilità sono probabilmente distribuite su più soggetti. Ma è indubbio che la responsabilità politica di un disservizio così sistematico e duraturo è in capo al governo capitolino, in primis alla sindaca che, nonostante periodiche promesse e annunci, non è riuscita ad individuare e tanto meno a sciogliere i nodi gestionali che consentono al sistema dei trasporti di tenere in scacco la città, i suoi abitanti e visitatori.

Ma il caso del signor Dongo è anche esemplare di una più generale disattenzione, nelle politiche non solo dei trasporti, ma urbanistiche, dell’edilizia, dell’organizzazione dello spazio e della distribuzione dei servizi, per le persone non in perfetta forma fisica o mentale. 

Quando, nei primi anni 2000, a livello sia Ocse sua Ue si iniziò a porsi il problema di definire diversamente le politiche per le persone con disabilità, molte associazioni di costoro fecero presente che in molti casi la loro disabilità veniva, viene, resa tale, o comunque rafforzata, da scelte costruttive, spaziali, di arredamento e così via che costituiscono vere e proprie barriere per chi viceversa sarebbe in grado di vivere, lavorare, muoversi autonomamente.

Marciapiedi che non permettono a chi gira in carrozzella di salire gradini che impediscono di accedere a un marciapiede, a una scuola, ad un’aula universitaria, autobus, tram, treni senza pedana per consentire ad una carrozzina di entrare, o con scalini troppo alti perché chi usa un bastone o è malfermo sulle gambe possa salire agevolmente e in sicurezza. Negli ultimi anni si sono fatti molti progressi, senza dubbio. Gli uffici pubblici si sono dotati obbligatoriamente di pedane e montascale, dove necessario. In modo non sempre sistematico vengono adattati i marciapiedi per consentire salite e discese agevoli.

Anche nei condomini è diventato obbligatorio, a richiesta di uno solo, installare rampe o montascale a spese di tutti (anche perché a chiunque può capitare di rompersi una gamba e diventare temporaneamente disabile, scoprendo così che la "normalità" può essere molto faticosa).

Alcuni mezzi pubblici sono dotati di pedane per la salita e discesa di chi si muove in carrozzina e dispongono di spazi dedicati perché possano viaggiare in sicurezza. Ma fa ancora fatica a passare l’idea che la predisposizione di contesti fisici e organizzativi – dai trasporti, alla scuola, ai luoghi di lavoro, ai servizi sanitari – non vadano pensati e progettati solo per "normodotati" (di fatto maschi adulti di altezza media e in buona salute) e che l’eliminazione degli ostacoli debba essere frutto di decisioni e misure ad hoc, circoscritte caso per caso e a seconda della disponibilità finanziaria e della sensibilità di singole amministrazioni, o a seguito di mobilitazioni a parte di associazioni o singoli cittadini. La predisposizione di luoghi e servizi accessibili va pensata come modalità normale in una società in cui le persone sono variamente - e variabilmente nel corso della vita - dotate di capacità fisiche e psichiche. Pensarla come oggetto di politiche e servizi separati rischia non solo di produrre ghettizzazione. Rischia anche, come il caso romano ben dimostra, di indurre a sottovalutare, quando a non vedere, l’enormità dell’impatto negativo di un disservizio sulla vita delle persone, perché considerate casi particolari.

Anche per questo diverse associazioni di persone con disabilità non guardano con favore all’istituzione di un ministero ad hoc: perché rischia di ghettizzarne i problemi invece di inserirli nelle politiche che riguardano tutti, non perché ignorano le differenze, ma perché le comprendono.

Chiara Saraceno, La Repubblica 25 febbraio