martedì 2 marzo 2021

PAPA BERGOGLIO FA VISITA ALLA POETESSA EBREA SOPRAVVISSUTA AL LAGER

 Il Papa nella casa romana della poetessa Edith Bruck "Perdono per la Shoah" 

di Paolo Rodari

La Repubbblica 21/02

CITTÀ DEL VATICANO — Ha letto "La memoria è vita, la scrittura è respiro", una sua lunga intervista concessa a Francesca Romana de’ Angelis il 26 gennaio scorso sull’ Osservatore Romano nella quale racconta dell’orrore vissuto da lei e dalla sua famiglia nel tempo della persecuzione nazista. 

Colpito dal passaggio in cui parla di quando il cuoco tedesco del campo di concentramento di Dacahu le regalò un pettinino perché le ricordava la figlia della sua stessa età, ha voluto ieri prendere la sua utilitaria e, con un autista, andarla a trovare nel suo appartamento in centro a Roma. Papa Francesco è arrivato ieri pomeriggio a casa della poetessa di origini ungheresi Edith Bruck, autore per La Nave di Teseo de Il pane perduto , un libro più volte da lui evocato. 

Sceso dall’auto, per non creare assembramenti, si è fatto largo velocemente fra i passanti increduli fuori dal palazzo ed è salito nell’appartamento dove è rimasto per circa due ore: «Sono venuto qui da lei per ringraziarla della sua testimonianza e rendere omaggio al popolo martire della pazzia del populismo nazista e con sincerità le ripeto le parole che ho pronunciato dal cuore allo Yad Vashem e che ripeto davanti ad ogni persona che come lei ha sofferto tanto a causa di questo: perdono Signore a nome dell’umanità », le ha detto una volta entrato, mentre le offriva in dono una Menorah, il candelabro ad olio a sette bracci della religione ebraica, e un volume del Talmud babilonese.

Nata nel 1931 in un piccolo villaggio ungherese, ultima di sei figli di una povera famiglia ebrea, Bruck si è commossa davanti al Papa e ha pianto più volte. 

È stato un incontro «inimmaginabile», ha detto. A lui ha raccontato la sua vita: la deportazione nell’aprile del 1944 insieme ai genitori e a due fratelli nel ghetto del capoluogo e poi nei lager di Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta insieme alla sorella Judit, è approdata dopo diversi anni in Italia e si è stabilita a Roma. 

Qui ha iniziato a scrivere in italiano, una «lingua non sua» che finirà per diventare la sua, per raccontare l’esperienza terribile della deportazione al presente, perché adesso, ha detto recentemente «è ancora più importante ricordare». Furono due sconosciuti, di cui raccolse l’ultima voce nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, a chiederle di testimoniare: «Racconta, non ti crederanno, ma se tu sopravvivi racconta, anche per noi». E così ha fatto, da quando è fuggita dalla Germania fino ad oggi.

Ci sono tante ombre nella vita di Bruck, ma anche molta luce. Scrive non a caso Vatican News che ciò che colpisce di lei «è lo sguardo di speranza che riesce a trasmettere». Anche quando racconta dei momenti più bui, dell’abisso di orrore nel quale lei, bambina, è stata immersa perdendo buona parte della sua famiglia, «non manca mai di fissare sempre il suo sguardo su un particolare bello e buono, su qualche accenno di umanità che le ha permesso di continuare a vivere e a sperare ».

Al Papa, Bruck ha raccontato della vita nel ghetto, di quando un uomo non ebreo le ha regalato un carro di viveri per aiutare i perseguitati, dei giorni a Dachau a scavare trincee, di un soldato tedesco che gli lanciò la sua gavetta da lavare, «ma al fondo aveva lasciato della marmellata per me». «Sono ancora sotto shock positivo — ha detto lei stessa ieri sempre a Vatican News — . Col Papa abbiamo parlato molto a lungo. Ha citato molte parti del libro. È stato un incontro inspiegabile. Io sono ancora emozionata. Ho pianto appena è arrivato. L’ho abbracciato, baciato. Il Papa ha parlato anche della Shoah. Ha chiesto perdono personalmente».

Nelle parole di Bruck al Papa c’è stato anche il ricordo di un soldato tedesco che separandola con forza dalla madre davanti al forno crematorio le salvò la vita. «È successo all’arrivo. Ero con mia madre. Mi hanno destinato con mia madre al crematorio nella parte sinistra. Ma l’ultimo soldato tedesco ha sussurrato e mi ha detto di andare a destra. Io in quel momento non ho capito cosa volesse dire. Mi sono aggrappata alla carne di mia madre. Non volevo lasciarla. Alla fine il soldato, non sapendo come separarci, ha colpito mia madre con un calcio del fucile. Lei è caduta e poi non l’ho più vista. Ha colpito anche me e mi ha trascinato fin quando poi non mi sono trovata a destra. In quel momento non sapevo che voleva salvarmi».