martedì 2 marzo 2021

RICEVO DAL GRUPPO PRIMAVERA- RIVALTA

 ISAIA 40-45 o Secondo Isaia,  Gruppo Primavera Sr., 28.02.2021

Il Secondo Isaia:

UN PROFETA SENZA NOME

CHE CI PARLA DEL DIO CHE SA CONSOLARE


Il libro di Isaia è composto da 3 parti, successive l’una all’altra.


  • Nel primo Isaia, dal cap. 1 al 39, si ipotizza la mano di un profeta di nome Isaia, vissuto dal 740 al 701 a.C., e della sua scuola. Il profeta Isaia vive dunque per circa 60 anni, collegato alla corte del Regno del Nord (probabilmente era un profeta di estrazione familiare benestante e dunque più facilmente riconosciuto a corte), in un tempo di relativo benessere per Israele, governato in regime monarchico (la monarchia in Israele si instaura attorno al 1000 a.C. e nel 931 a.C. c’è la separazione dei due regni in Regno del Nord e Regno del Sud). Isaia è un profeta che “affligge i consolati” e tuona con i suoi “Guai a voi...”, contro il re, che tradisce il popolo; contro i sacerdoti, che si arricchiscono; contro il popolo, che è un idolatra!


  • Dopo la scomparsa di Isaia, per circa 100 anni, nonostante prosegua la sua scuola, non emerge nessuna figura in grado di prenderne il testimone; compare poi il profeta Geremia, ma è di estrazione contadina, e viene presto ucciso dai potenti.


  • Intanto, nel Regno del Nord, si fa esperienza di esilio per mano degli Assiri, nel 734/32 a.C. Successivamente, l’impero assiro va verso il declino e, nel 612 a.C. la sua capitale, Ninive, viene saccheggiata dai babilonesi di Nabucodonosor. Nel giro di 20 anni, si assiste ad un cambio di superpotenze: agli Assiri si susseguono i Babilonesi.


  • Nabucodonosor arriva però anche a prendere Israele: una prima volta conquista Gerusalemme nel 597 a.C. (Geremia predica: “arrendiamoci a questo giogo, solo il Signore ci potrà liberare”). Dopo circa 10 anni di occupazione babilonese, Nabucodonosor, stufo dei moti di ribellione ebraici, nel 587 entra nuovamente a Gerusalemme: la città viene pesantemente distrutta e saccheggiata, il tempio raso al suolo, la popolazione più vigore e istruita deportata; rimane il loco la popolazione che lavora la terra.


  • I deportati vengono costretti a compiere un viaggio di circa 3000 chilometri a piedi. Infatti, tra Gerusalemme e Babilonia c’è un grande deserto, inattraversabile, dunque la strada si allunga: salendo verso Nord si costeggia l’Eufrate, sino a lambire la Siria - all’altezza di Carran o Aram- per poi ripiegare verso Sud, lungo la costa, e raggiungere Babilonia. Immaginate che viaggio: nella privazione, nella fatica, molti avranno perso la vita lungo il percorso. Una volta giunti a Babilonia, gli ebrei vengono confinati in una parte della città (simile a una riserva? A una baraccopoli?) e inizia il periodo della schiavitù, più o meno pesante, a seconda del lavoro attribuito (c’è anche chi é impiegato a corte o chi diventa funzionario del regime, i giovani più validi vengono istruiti direttamente a corte).


  • Il cuore della gente è molto pesante: il popolo ebraico sa che non rivedrà mai più la patria, poiché il viaggio di ritorno è impossibile, troppo lungo e faticoso.


  • In esilio il popolo è disperato e sente prossimo il rischio di estinzione. Cosa ci resta ancora? Moriremo tutti qui? I nostri figli adoreranno il dio dei Babilonesi, Marduch? Il nostro popolo è veramente, finito? Dio ci ha abbandonato?


  • Se il vecchio Isaia, in tempo di relativa sicurezza, voleva scuotere dal torpore e dall’indifferenza i governanti e il popolo, ora emerge una scuola profetica che vuole risollevare il morale, dare speranza, annunciare che la schiavitù non è l’unica e non è l’ultima prospettiva.


  • Emerge, in esilio, la figura del profeta Ezechiele, alla cui scuola probabilmente si forma l’autore o gli autori del Secondo Isaia. Ezechiele e il suo gruppo, la sua comunità più prossima, promuovono uno spirito di resistenza e di resilienza, ma soprattutto promuovono la narrazione della memoria e dell’identità del popolo; ad es., il mito della creazione dei 6 giorni all’inizio del Libro della Genesi, pare sia stato scritto durante l’esilio.


  • Esiste insomma un gruppo profetico che compie un prezioso lavoro di creatività: i contenuti che formano l’identità del passato (i racconti mitici e teologici, le memorie della storia del popolo...) vengono arricchiti con una prospettiva che va verso il futuro (potremo tornare ad essere liberi e a vivere nella nostra Terra), per poter sopportare il presente. Questo humus permette di non perdere la consapevolezza della propria dignità e della possibilità di riconquistare libertà e diritto all’autodeterminazione. La frase famosa: “Il Signore aprirà una strada nel deserto per noi” non è solo una bella immagine simbolica, ma la possibilità di giungere dritti a casa tagliando per il deserto e camminando per meno di 1000 km, anziché percorrerne 3000 a ritroso, rifacendo tutta la strada del viaggio verso Babilonia!


  • È in questo clima che cresce l’autore, o gli autori, del Secondo Isaia, di cui non abbiamo un nome riassuntivo né notizie di sorta, come se la realtà storica si sottraesse per far emergere il messaggio del testo stesso, scritto circa 150 anni dopo il Primo Isaia.


  • I capitoli dal 40 al 55 si differenziano nettamente dai primi 39: emerge l'immagine di un Dio creatore che va oltre il caos e il disorientamento che gli ebrei avevano nel cuore; di un Dio che non sgrida, ma consola gli afflitti; di un Dio che partecipa alla sofferenza del popolo e promette la salvezza.


  • Consolate il mio popolo!” (non maledite) (Is 40,1)

  • Io ti prendo per mano e ti dico: non temere, sono qui per aiutarti” (Is 42,13)

  • Un Dio che vede le sofferenze degli uomini e delle donne e sogna di spianare loro la strada: “Non temere, io ti ho chiamato per nome (gli schiavi non hanno più nome) e ti ho liberato: tu sei mio” (Is 43, 1)

  • Ecco il Signore viene come un pastore, fa pascolare il gregge, porta gli agnellini sul petto (che tenerezza!), conduce dolcemente le pecore madri” (il femminile è citato non per il dolore del parto!) (Is 40,11). Un Dio, dunque, che cura e governa il suo popolo, che protegge i più piccoli e i più fragili, che si prende cura di chi cura.


  • In esilio si rinforza inoltre il concetto di un’unico Dio, non inteso come “il nostro Dio è il più potente tra gli dei”, bensì come “esiste un unico Dio per tutta l’umanità”: è il Dio dei potenti e dei perdenti; è il Dio di chi crede in lui, ma è anche il Dio di chi non lo conosce o di chi non crede in lui. “Egli dispiega il cielo come una tenda” (Is 40,22) perché l'umanità possa abitare la Terra.


  • Dio parla il linguaggio della possibilità e i verbi sono al futuro (potrai/potremo): “Il mio servo” in accezione di “colui che amo, colui che io sostengo” (dunque anche chi non crede in me, è un messaggio universale). Colui che amo:

  • Diffonderà la legge dell’amore,

  • Non griderà (non sarà prepotente),

  • Se una canna è incrinata, non la spezzerà,

  • Se una fiamma è debole, non la spegnerà,

  • Non perderà speranza e coraggio.

  • E le popolazioni lontane (da questa prospettiva) staranno in attesa dell’insegnamento del Signore” (Is 42, 1-4). Dio riconosce il bisogno profondo di ognuna/o di dare e ricevere amore, protezione, ascolto. Dio sa che a volte rivestiamo i panni di chi lotta, di chi protegge i deboli, di chi non si scoraggia... ma possiamo anche stare nei panni di chi “attende”, di chi si sente “lontano” e ha bisogno di sentirsi accolto nel profondo per ritrovare senso e indirizzare le sue energie.

  • Dio è come se dicesse: Umanità, ce la puoi fare! “Ti ho chiamato e ti ho dato il potere di portare giustizia sulla terra” (Is 42,5) e di fare alleanze per la pace e la libertà!


  • Poi parla il popolo, ma non si rivolge a Dio, bensì ai suoi simili: “Cantate al Signore un canto nuovo...lodatelo anche voi popolazioni lontane...” (Is 42,10). Immaginate quei momenti della vita che sono come salire su un monte e ridiscenderne con una diversa consapevolezza, o avere una illuminazione o un’intuizione profonda, che vi fa dire: vedo la possibilità di un mondo nuovo, di uno stile di vita diverso e più autentico, di uscire da un dolore ripiegato su se stesso, di rinascere... Ognuno può dare un contenuto proprio a tale esperienza. E allora si scende dal monte con una fiamma nel cuore, per se stessi e per gli altri, e veramente ci si dice: un canto nuovo è possibile: trovare nuove parole, nuove modalità di vita è possibile, trovare nuove parole per raccontare la nostra vita è possibile. E il testo non dice solo FATE, AGITE, ma dice CANTATE, cioè la vostra voce (espressione particolare e unica di ognuno di noi), il vostro corpo, la vostra quotidianità materiale, sia connessa alla vostra anima, al vostro spirito. Il canto arriva ovunque, più del parlato.


  • Il popolo continua il suo dialogo drammatico, viene il DUBBIO DI FARCELA. In Is 42, 25 il popolo dice: non ci siamo accorti, non abbiamo prestato attenzione... all’appello di Dio, che potevamo vivere diversamente.

  • Allora Dio, al capitolo 43, interviene per incoraggiare e ridare fiducia: non temere, sarò con te ovunque sarai!”. “Io non sono uno straniero in mezzo a voi” (Is 43,12). Pace, giustizia, libertà sono una possibilità per questo mondo, nel qui e ora. Nel testo tanti esempi...


  • Nel capitolo 44 un’espressione di amore enorme:

  • Ti ho preso a cuore

  • Non temere

  • Ti amo

  • Ti darò acqua in abbondanza

  • Benedirò i tuoi figli

  • Non seguite gli idoli che non possono darvi niente

  • Io non ti dimentico

  • Cancello i tuoi errori

  • Ritorna da me!


  • Nel cap. 45 un monito a chi ha potere ( come il re Ciro che libererà il popolo):

  • Quando le cose ti vanno bene, non pensare che sia tutto merito tuo

  • E un richiamo alla responsabilità: “Ti ho affidato un incarico!” (45,3).

  • ; La terra è fatta “per far germogliare la giustizia e fiorire la salvezza” (Is 45,8)


  • Ma anche un monito per chi si sente fragile come “un semplice vaso di argilla” o si crogiola nella sua rabbia o impotenza e chiede: “Perché mi hai generato?”. Piuttosto, ONORA la vita, la possibilità di vivere


  • Solo nel Signore, inteso come nello Spirito, nella connessione profonda con noi stessi, con la nostra identità… possiamo trovare “la vittoria e la forza” per praticare la giustizia e sentirci liberi, anche in condizioni di esilio.


  • Dio costantemente ci lancia delle possibilità e vicino ci pone delle occasioni: il nuovo è già qui, se te ne accorgi. “Fra poco farò qualcosa di nuovo, anzi, ho già cominciato, non ve ne accorgete? Costruisco una strada nel deserto” (is 43,19).


PREGHIERA FINALE: Is 42, 10-13