mercoledì 26 maggio 2021

UNA STORIA SENZA FINE

 La storia di un’espulsione senza fine

Soulayma Mardam Bey, L’Orient-Le Jour, Libano

"Stiamo diventando invisibili a Gerusalemme, relegati fuori dalla città, fuori dalla vista, nascosti dietro muri di cemento. Ma noi non ce ne andremo da nessuna parte in silenzio". Jalal Aboukhater, uno scrittore di 26 anni, viene da Beit Hanina, un quartiere palestinese a nord di Gerusalemme. Partecipa alle mobilitazioni per sostenere e difendere gli abitanti palestinesi di un altro quartiere della zona est di Gerusalemme, Sheikh Jarrah, in ebollizione da alcune settimane. Con l’inizio del Ramadan, Gerusalemme Est si è trasformata in un terreno di scontro tra i palestinesi e i poliziotti israeliani che gli impediscono l’accesso ai luoghi di culto. Mentre gruppi israeliani di estrema destra invocano l’espulsione della popolazione araba della città, il caso di Sheikh Jarrah si aggiunge a una situazione già esplosiva.

I palestinesi si sono mobilitati per quattro famiglie: Al Kurd, Iskafi, Qassim e Jaouni, per le quali un tribunale israeliano all'inizio dell’anno ha ordinato l’espulsione, abbracciando le argomentazioni delle associazioni di coloni ebrei che reclamano dei diritti di proprietà nel quartiere. Ai palestinesi di Gerusalemme è parsa l’ennesima dimostrazione del piano israeliano per sradicare la loro presenza in città. Il verdetto della Corte suprema era previsto il 10 maggio, ma la giustizia israeliana ha annullato l’udienza, con il pretesto di un calendario poco favorevole: il 10 maggio per Israele è la "giornata di Gerusalemme”, che commemora l’annessione della città da parte dello stato ebraico nel 1967. Le famiglie minacciate per ora sembrano avere due scelte: o consegnano le loro case ai coloni o raggiungono un accordo pagando un affitto e riconoscendoli come proprietari.

A Gerusalemme Est vivono più di 300mila palestinesi e quasi 210mila coloni israeliani. Considerate illegali in base al diritto internazionale - che difende il paradigma dei due stati, con Gerusalemme Ovest capitale israeliana e Gerusalemme Est capitale palestinese - le colonie sono incoraggiate dallo stato ebraico.

Le manovre dei coloni

“Tutti conosciamo Sheikh Jarrah. Ci passiamo per andare verso la città vecchia", dice Aboukhater. Il quartiere ospita una moschea e una tomba omonima del dodicesimo secolo (lo sheikh Al Jarrah era uno dei medici di Saladino), missioni diplomatiche e uffici delle organizzazioni internazionali, oltre al sepolcro di Simeone il Giusto, sommo sacerdote venerato dagli ultraortodossi e invocato per difendere i progetti di espansione coloniale.

Da decenni gli abitanti palestinesi del quartiere devono far fronte alle manovre dei coloni che vogliono prendere possesso di questi luoghi. Negli anni settanta alcune organizzazioni di coloni tentarono un’azione giudiziaria sostenendo che in origine l’area apparteneva a delle famiglie ebree e poi cercando di espellere le famiglie palestinesi che ci vivevano. Così Sheikh Jarrah è diventato il simbolo della via crucis dei palestinesi di Gerusalemme, la storia della lenta espropriazione di un popolo, spogliato della sua “indigenità” e ridotto alla condizione di “invitato”. “Prima del 1948 c’era un piccolo quartiere ebraico, abitato principalmente da ebrei yemeniti. Ma oggi i coloni sono in maggioranza ashkenaziti, occidentali. Ci sono francesi e statunitensi, molto religiosi e nazionalisti, che vogliono rendere la loro presenza il più visibile possibile, in mezzo ai quartieri palestinesi”, dice Aboukhater.

Questa nakba senza fine è esasperata dalla violenza dei discorsi dei coloni. "Io voglio che Gerusalemme sia ebraica".


Internazionale, 14 maggio